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Voltaire

Facebook e Web: convergenze parallele? (1.0)


04/02/2014
 

Il celebre ossimoro attribuito ad Aldo Moro era – ed è – talmente attuale da essere perfettamente applicabile ancor oggi. Come fosse una riflessione contemporanea.

 

Una volta – ero più giovane: diciamo una quindicina d’anni fa, almeno – si diceva: se mi dovesse accadere la tale cosa, magari lo scrivo sul mio sitarello, così evito a qualcuno di incappare nello stesso problema. E accadeva, in effetti: ancora non c’era nemmeno il concetto di “commento” a una pagina, né quello di blog, e magari ti scrivevano per posta elettronica, ringraziandoti per aver reso pubblica quella tale cosa e aver evitato il problema ad altri. Cioè, eravamo due entità: io e il Web, quel pubblico indefinito là fuori, di consistenza qualitativamente e quantitativamente impercettibile, di cui “si avvertiva” la presenza, anche senza che desse un segnale costante e riconoscibile di sé.

Oggi quella dinamica esiste ancora, ma è cambiata. Se mi accorgessi – per esempio – di un’App per smartphone birbante che mette troppo a repentaglio la privacy, non avrei più tanta voglia di scriverlo sul mio blog. Lo scriverei su Facebook, invece, scegliendo di impostare il livello di condivisione su “pubblico”. Al di là dei miei social-amici, diversi dei quali sono anche amici nella vita reale e leggerebbero anche se condividessi in modalità “solo amici” o “solo amici e amici degli amici”, oltre a questi ciascuno di noi, su Facebook, può avere dei “follower”. Sono persone con le quali non abbiamo alcun social-rapporto ma che “ci seguono” e dunque hanno deciso di leggere tutti i nostri aggiornamenti “pubblici”. Oggi io dovrei averne una quarantina, circa (e sono anche tanti, vista la mia non proprio così assidua attività).

Riflettevo proprio su questo: è accaduto che Facebook è diventato “il Web” di prima, mentre esso stesso è un pezzo del Web, di certo non tutto, ne fa parte e in parte lo costituisce, ma in altra parte ha sottratto al vecchio Web una porzione della sua funzione e l’ha inglobata, aggiungendovi altro “valore” e rendendola così più appetibile. Pur tuttavia il Web continua a esistere, nella sua forma per così dire “tradizionale”, e convive tranquillamente con il “nuovo Web”. Per chi non lo sapesse, è in questi ragionamenti che risiedono le radici concettuali dell’idea di “Web 1.0”, “Web 2.0” e altre numerazioni più o meno fantasiose ma concrete e in qualche maniera comunque specchio della realtà della Rete. Avevo dunque ragione quando nella mia tesina universitaria di Scienza Politica scrivevo che la Rete (idealmente personificata) meriterebbe un “premio Nobel per la democrazia”.

Per questo mi è tornato in mente il concetto di convergenze parallele, l’ossimoro attribuito all’On.le Aldo Moro quando proprio nell’anno in cui il sottoscritto era in gestazione (tra il 1959 e il 1960) egli, dal lato dell’allora Democrazia Cristiana, sosteneva l’idea di convergere a lungo termine con le sinistre pur senza accogliere mai le forme totalitarie comuniste. Era una posizione, quella dell’On.le Moro, talmente avanzata dal punto di vista filosofico-politico, da restare a lungo incompresa e venire alla luce solo dopo accurate riflessioni e dotte dissertazioni.

Oggi, tornando alla mia modesta riflessione su Facebook e il Web, quel concetto si riapplica, per l’ennesima volta. Facebook converge con il Web: ne fa parte, lo usa, lo costituisce ma, al contempo, “è” il (nuovo) Web, senza per questo sovrapporsi ad esso e, dunque, camminandovi parallelo.

La domanda di chi legge a questo punto potrebbe essere: perché ho voluto rifletterci ad alta voce? Per tanti motivi. Per esempio, questo ragionamento spiega perché oggi un sito Internet di tipo divulgativo o culturale ha voce non tanto (anzi, quasi per niente) in funzione della qualità degli scritti che pubblica – ossia la menzogna che per anni Google ha propalato – quanto per il suo elevato grado di specializzazione argomentativa ovvero di concentrazione di saperi e di culture.

Prendiamo per esempio questo stesso sito: non so, in termini numerici, quante visite abbia ma la sua consistenza ha senso perché è, in certo qual modo, un “concentrato di teste” (a cui di quando in quando si aggiunge indegnamente la mia) che i suoi estensori hanno voluto creare e che gli conferisce quell’alone di dotto salotto di riflessione, sulla scia delle Preziose del XVII secolo. Tuttavia, la maggior parte degli autori che ci scrivono sono anche su Facebook: ossia, svolgono un’attività parallela, pur convergendo verso un punto di concentrazione con parametri qualitativi orientati a una sintonia fine concettuale e con parametri quantitativi orientati a privilegiare la cultura e il ragionamento – ciascuno nel proprio – piuttosto che la massificazione.

I grandi “luoghi di visibilità”, come i siti dei giornali e delle riviste più noti, se ci si riflette, sono una sede naturale di concentrazione e amplificazione mediale ed essi hanno una vita propria sul Web. Tuttavia, oggi non esiste più alcun sito, essi compresi, che non abbia pienamente integrato una convergenza con il mondo social, in particolare con Facebook: tutti hanno come minimo il pulsante “Mi piace” o “Consiglia” (alcuni addirittura hanno scelto di avere commenti solo su/da Facebook), pressoché tutti hanno l’integrazione con Twitter, moltissimi anche con Google Plus, e via discorrendo. Eppure, nessuno di essi si è “trasferito” su Facebook: piuttosto, viaggiano paralleli, dialogando e interagendo con il mondo social.

Al contempo, salvi i casi particolari di estrema specializzazione, di grande popolarità argomentativa o di inclinazione populistico-demagogica, per la stessa ragione i siti minori sono in progressiva desertificazione e per la medesima ragione sono destinati presto o tardi a soccombere, restando presenti – forse – in qualche strumento al servizio della memoria, come Web Archive, oppure racchiusi in qualche archivio compresso (“zippato”, si direbbe oggi) e scaricabile a volontà ma, sostanzialmente, scomparsi dall’impianto semiotico pubblicamente riconosciuto dai giganti della Rete.

Mark Zuckerberg, co-fondatore di Facebook, verrà alla luce solo sei anni dopo la morte di Aldo Moro: nel 1984. Sei anni prima, in quel tragico 9 maggio del 1978, Aldo Moro fu strappato alla vita. I suoi sicari evidentemente ritenevano che avesse intuito troppo. Troppo al punto da essere ancora applicabile oggi. A trentasei anni dalla sua morte.

 

Inserito il:01/11/2015 15:53:51
Ultimo aggiornamento:22/03/2022 16:06:50
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