RIFLESSIONI 2025
29 luglio 2025 Achille De Tommaso
Dazi: la Von der Leyen ha fatto tutto da sola
Pensate che la Presidente della Commissione Europea si sia consultata con i singoli stati per negoziare con Trump? No, ha fatto tutto da sola!
Nel nuovo accordo commerciale sui dazi tra Unione Europea e Stati Uniti, la Presidente della Commissione Ursula Von der Leyen ha agito in una modalità che molti diplomatici e osservatori non esitano a definire “solitaria”, “centralizzata” e, per certi versi, “escludente”. Altro che trattativa condivisa: i governi degli Stati membri sono stati informati tardi, male e in modo incompleto.
Secondo fonti riportate da Politico.eu il 25 luglio 2025, numerosi ambasciatori presso il Consiglio dell’Unione hanno lamentato l’assenza di briefing approfonditi prima della chiusura dell’intesa con la Casa Bianca. In particolare, le delegazioni di Francia, Italia e Paesi Bassi hanno espresso preoccupazione per essere state “coinvolte solo a decisioni già prese”. Anche Le Monde (26/07/2025) sottolinea come l’Eliseo non fosse stato consultato sui dettagli più sensibili riguardanti le quote agricole, e che il governo polacco abbia definito l’approccio “impositivo, non cooperativo”.
Von der Leyen ha scelto di negoziare direttamente con l’amministrazione americana – inclusi i membri del team Trump – in un clima di emergenza costruita ad arte, con la giustificazione di “evitare una guerra commerciale”. Ma il prezzo pagato, dicono in molti, è un’Europa messa in un angolo: l’accordo prevede concessioni unilaterali sulle esportazioni tecnologiche e una dilazione minima sui dazi per l’industria automobilistica europea, con vantaggi asimmetrici per Washington.
Non solo: anche al Parlamento europeo è stato impedito un vero dibattito preventivo. I gruppi S&D e Verdi hanno protestato per la “mancanza di trasparenza”, mentre Renew Europe – il gruppo centrista da cui proviene la stessa von der Leyen – si è spaccato sul testo finale (Euractiv, 24/07/2025).
In sintesi: non è vero che “tutti erano a bordo dell’aereo Europa”. Molti sono stati tenuti in sala d’attesa.
La Commissione ha firmato da sola, e ora cerca di condividere la responsabilità politica solo quando il piatto servito si rivela indigesto. Ma la verità resta: Von der Leyen ha deciso per tutti, senza tutti.
23 luglio 2025 Achille De Tommaso
Cosa vogliono in cambio i PM?
Lo scenario resta oggi sorprendente: i pubblici ministeri hanno acceso i riflettori sull’area riformista del centrosinistra — Matteo Ricci, ex sindaco di Pesaro, e Beppe Sala, sindaco di Milano — sollevando inevitabili interrogativi. Ma cosa vogliono davvero ottenere?
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Tempismo e curricula: un segnale chiaro
- Matteo Ricci ha ricevuto un avviso di garanzia per presunti affidamenti “clientelari” nel Comune di Pesaro, quando era sindaco, vicino al periodo elettorale per la Regione Marche (l’indagine – definita “Affidopoli” – coinvolgerebbe 24 persone e riguarda un presunto scambio tra affidamenti a due associazioni e consenso politico) .
- Beppe Sala, invece, è indagato nell’ambito di un’inchiesta sull’urbanistica milanese, che ha portato alla richiesta di arresti domiciliari per un assessore e all’emissione dell’avviso di garanzia al sindaco per false dichiarazioni.
Entrambi i fatti emergono in momenti critici: Ricci a due mesi dalle elezioni regionali, Sala proprio nel bel mezzo di una fase politica delicata per Milano, in vista delle decisioni su grandi progetti urbanistici.
Ostentare potere, o rimodellare il gioco politico?
Da una parte si tratta di un classico “mostra i muscoli”: le procure dimostrano la propria indipendenza, a volte colpendo trasversalmente la politica istituzionale. Ma c’è un dettaglio inquietante: entrambi i protagonisti appartengono al PD, lo stesso partito che ha sovente sostenuto il ruolo della magistratura. Oggi, però, vede indagati i suoi sindaci più rappresentativi, figure di centro e visibilmente “autonome” rispetto alla dirigenza nazionale.
- Ricci ha dichiarato: “…non mi sono mai occupato di affidamenti pubblici, mi sono sempre fidato dei miei dirigenti e collaboratori” .
- Sala, dal canto suo, ha difeso la propria condotta: “le mie mani sono pulite… non esiste una singola azione attribuibile a un mio vantaggio” .
Eppure, le inchieste avanzano, molto prima che emergano prove concrete.
I sospetti: cosa vogliono ottenere i PM?
- Rimodellare l’equilibrio democratico locale. Colpire sindaci rilevanti significa ridisegnare capitali di consenso, indebolendo correnti interne autonome rispetto al PD nazionale. Forse si punta a spazi nuovi per tendenze interne più allineate o, sul lungo periodo, a penetrare forze moderate che affermano la propria autonomia.
- Inviare un segnale alla politica tutta. Anche le inchieste preventive (avvisi di garanzia) affilano i riflettori, innalzano la pressione pubblica e fanno intendere che nessuno è immune.
- Risvegliare l’opinione pubblica. Per i PM è rilevante dimostrare un controllo attivo: colpire il centro-sinistra facilita la narrazione imparziale, persino “equidistante”, a costo però di creare illusioni – quella di una magistratura neutrale che però colpisce sempre più spesso dal campo progressista.
Allora: cosa vogliono i PM?
- Potere? Stampare una firma forte sulla scena politica, dimostrando che la legge sa star dietro a chi esercita responsabilità.
- Equilibrio politico? Respirare quando emergono correnti che sfuggono ai condizionamenti della dirigenza nazionale, specialmente quando sono indipendenti, urbane, dal forte consenso.
- Legittimazione? Delegittimare correnti riformiste, con la vana narrazione del “nessuno è immune”, ma che incidentalmente colpisce un campo preciso.
Conclusione
Veder i PM esaminare con attenzione figure come Sala e Ricci – proprio mentre il PD si riallinea e si riordina – suscita non solo sorpresa, ma anche sospetto. Non è uno scontro politico tradizionale, ma un uso sottile della leva giudiziaria per ribalti possibile nel consenso e nell’autonomia. La domanda resta aperta: i magistrati mirano davvero solo alla trasparenza, oppure vogliono ridefinire le pedine del gioco politico?
Con quale obiettivo, e per conto di chi?
23 luglio 2025 Achille De Tommaso
La giustizia che non finisce mai
Una riflessione sul principio del ‘double jeopardy’ e sul volto inquisitorio del diritto italiano
Traggo questa riflessione dal recente caso del ricorso di alcuni giudici circa assoluzione del Ministro Salvini, non per qui criticarlo (anche se ce ne sarebbero i motivi), ma per giudicare il sistema dei tre livelli di giudizio che vigono in Italia alla luce di sistemi di paesi anglosassoni.
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Nel sistema giuridico anglosassone – negli Stati Uniti come nel Regno Unito – un processo penale si celebra una volta. Una sola. È una verità che può sorprendere, abituati come siamo, in Italia, all’idea che la giustizia sia un percorso potenzialmente infinito, disseminato di gradi, ricorsi, controricorsi, annullamenti e rinvii. Ma nei Paesi anglofoni, il principio fondamentale che regola il processo penale è chiaro e saldo: double jeopardy. Nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso fatto. Se sei assolto, la tua libertà è intangibile. Se sei condannato, è stato un processo, e solo uno, a stabilirlo.
Tale principio è scolpito nella Costituzione americana, nel Quinto Emendamento, che rappresenta una delle più forti garanzie contro l’arbitrio del potere statale. L’appello penale non è un diritto automatico: può presentarlo solo il condannato, e deve dimostrare che durante il processo si sono verificate violazioni gravi – errori di diritto, vizi procedurali, abusi evidenti. Lo Stato, invece, non può appellare una sentenza di assoluzione. Non può tentare nuovamente la sorte, nella speranza che un altro giudice “veda le cose diversamente”.
La logica è semplice e profonda: la giustizia penale non è un gioco a ripetizione, non è una lotteria con infiniti tentativi per far vincere lo Stato.
Curiosamente, questo principio – che oggi consideriamo pilastro del diritto anglosassone – non nasce nel mondo anglosassone, ma trova radici nel diritto romano classico, ossia proprio nella nostra tradizione giuridica. Già i Romani affermavano: “bis de eadem re ne sit actio”, ovvero che non debba esservi azione giudiziaria due volte per la stessa cosa. Il processo era unico, la sentenza definitiva, e l’appello inesistente. Non perché mancasse la volontà di fare giustizia, ma perché si riconosceva che la giustizia deve avere un limite, un termine. Una società civile non può vivere nella perenne incertezza. Il diritto, per essere tale, deve rispettare un equilibrio delicato tra la ricerca della verità e la necessità di garantire pace sociale e certezza del diritto.
La parabola si complica quando si guarda all’Italia. Nel nostro Paese, il sistema giuridico penale non ha mantenuto quel principio romano, ma si è deformato nel corso dei secoli, fino ad assorbire profondamente l’influenza del diritto canonico medievale, erede diretto delle pratiche inquisitorie. In tale concezione, la verità processuale è elevata a fine assoluto, anche a costo di sacrificare la certezza del diritto e la serenità del cittadino. L’impianto è quello della redenzione, non della tutela. Il processo diventa un cammino morale, una forma di penitenza o accertamento indefinito, piuttosto che uno strumento razionale di protezione delle libertà individuali.
Ed ecco che arrivano gli appelli infiniti, i processi decennali, la moltiplicazione dei gradi di giudizio, il trionfo della burocrazia sulla persona. Un sistema in cui l’individuo, anche assolto, non può mai dirsi davvero libero, perché il suo destino resta sospeso. In cui l’accusa, se sconfitta, può sempre tornare alla carica. In cui il processo non finisce finché l’apparato non vince.
Ma questo non è giustizia. È una forma di potere.
La giustizia, per essere tale, deve finire. Deve poter chiudersi con una sentenza definitiva, che sancisca, nel bene o nel male, la sorte dell’imputato. E deve farlo nel nome dell’individuo, della sua dignità, della sua libertà, non nel nome dell’apparato, dell’ideologia moralizzatrice o dell’accanimento punitivo.
Recuperare lo spirito del double jeopardy – che poi è semplicemente il buon senso del diritto romano – non significa essere indulgenti con chi sbaglia, ma riconoscere che lo Stato non può avere infinite possibilità contro il cittadino. Una volta che il giudizio è stato pronunciato, la partita è chiusa. Perché la giustizia vera non è quella che insiste, ma quella che decide. E si ferma.
23 luglio 2025 Achille De Tommaso
Gaza e gli Arabi
È uno dei paradossi più sorprendenti e, per certi versi, grotteschi della contemporaneità: mentre l’opinione pubblica occidentale — sospinta da media, università e movimenti progressisti — si schiera con veemenza a favore della causa palestinese, sono molti i paesi arabi a mostrarsi oggi silenziosi, se non apertamente ostili ad Hamas e freddamente neutrali rispetto al destino di Gaza.
Da una parte, nelle piazze europee e americane si scandiscono slogan come “From the river to the sea…” e si denuncia a gran voce quello che viene chiamato “genocidio” israeliano, dimenticando il massacro del 7 ottobre e ignorando sistematicamente le prove della militarizzazione degli ospedali e delle scuole da parte di Hamas. Dall’altra, governi come quelli di Egitto, Giordania, Arabia Saudita e perfino Qatar — storico sostenitore della leadership di Gaza — mantengono una prudenza diplomatica che rasenta il disinteresse. L’Egitto, per esempio, tiene chiuso il valico di Rafah e rifiuta l’ingresso di profughi palestinesi nel Sinai (cfr. Al Jazeera, 2023), mentre gli Emirati Arabi e il Bahrein continuano la normalizzazione avviata con gli Accordi di Abramo. Persino la Lega Araba, in una dichiarazione del novembre 2023, ha evitato di condannare apertamente Israele, limitandosi a generici appelli alla “moderazione”.
La contraddizione è profonda: mentre negli Stati Uniti studenti privilegiati delle Ivy League (ma anche in Europa e in Italia) si travestono da partigiani di una causa di cui, a mio parere, ignorano molto, nei corridoi del potere arabo si valuta Hamas come un ostacolo alla stabilità regionale e una longa manus iraniana. Il ministro saudita degli Esteri, Faisal bin Farhan, ha dichiarato nel 2024 che “Hamas non rappresenta il popolo palestinese” (Financial Times, 18 maggio 2024), mentre il re di Giordania ha espresso “preoccupazione” per l’espansione dell’Iran via Gaza (The National, UAE, 2024).
In sintesi, il fronte è capovolto: giovani radicalizzati in Occidente difendono una causa che molti paesi arabi non sentono più loro, mentre Israele — lungi dall’essere isolato — trova interlocutori più comprensivi proprio tra i suoi storici nemici. È la geopolitica dell’ipocrisia, dove il mondo si divide non tra arabi e israeliani, ma tra chi guarda alla realtà e chi si affida a narrazioni ideologiche.
16 luglio 2025 Romeo Gazzaniga
Suggeritami dall’articolo sul Rublo Russo di Achille (Silvio) De Tommaso.
Questa interessante informazione del collega Silvio, rivelatrice di nuove e inattese realtà espresse dal pragmatismo dei russi, mi ha sollecitato ad evidenziare lo spirito estremamente pacifico di questo popolo.
Pacifismo estremo, autolesionista al punto di esser privo del concetto paranoico del sospetto, con conseguente mancato allestimento di difese precauzionali.
Mi riferisco a due momenti storici:
- Il primo che si espresse con il trattato di pace di Brest-Litovsk stipulato con gli Imperi centrali europei che imposero gravosissime condizioni al neo governo sovietico (enormi perdite territoriali, riparazioni economiche, e cessione di gran parte delle produzioni industriali e dell’estrazione mineraria) che su mandato delle classi popolari non voleva continuare l’entrata nella prima guerra mondiale della Russia promossa dal deposto Zar Nicola secondo.
- il secondo aspetto riguarda le abnormi perdite (oltre 20 milioni di morti) subite nella 2a guerra mondiale, rispetto alle perdite delle altre nazioni belligeranti.
Evidentemente la paciosa vita rurale, l’inesperienza, la mancata formazione scolare per ex servi della gleba, li ha privati di antenne percettrici dei potenziali pericoli. Lo dimostra il fatto che non abbiano allestito, sia pur in una minima forma precauzionale, alcun baluardo per la propria difesa.
Tendenza immutata e reiterata anche ai giorni nostri dove l ‘imperdonabile ingenuità di Gorbaciov e Yeltsin ha solleticato i torbidi appetiti del capitalismo mondiale al punto di portarci alla soglia, sempre più vicina, del terzo conflitto mondiale che per la presenza del nucleare segnerà la fine del genere umano. Non invidio gli eventuali superstiti.
16 giugno 2025 Achille De Tommaso
Osservare il mutamento: la strana lezione quantistica sull’atto di guardare
Nella nostra esperienza quotidiana, guardare il mondo equivale a prenderne atto. Osservare significa constatare ciò che accade, senza influenzarlo. Se un pendolo oscilla, il nostro sguardo ne registra il moto, ma non lo altera. È questa l’illusione epistemica che la fisica classica ci ha insegnato per secoli: l’osservatore è esterno, neutro, irrilevante.
Ma la realtà è anche diversa.
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Poi arrivò la meccanica quantistica, a incrinare questa sicurezza millenaria. Nel mondo subatomico, l’atto di osservare non è mai neutro. La misura — cioè, l’interrogazione del reale — modifica lo stato dell’oggetto osservato. La particella, finché non viene osservata, esiste in una sovrapposizione di possibilità; ma nel momento stesso in cui ne misuriamo una proprietà, come si dice in fisica: la funzione d’onda collassa, e, ciò che poteva essere, smette di essere, e si attualizza solo un esito.
Ma la sorpresa più sottile è ancora un’altra. Paradossalmente, in certi casi, proprio l’osservazione ripetuta, insistita, ossessiva, può congelare il mutamento stesso. È ciò che il formalismo quantistico chiama Effetto Zenone: come il paradosso dell’antico filosofo greco, in cui il movimento viene bloccato dalla divisione infinita del tempo, anche la particella quantistica può essere imprigionata dal nostro sguardo. Se la si misura costantemente, il suo stato tende a non evolvere. Guardare, qui, significa inibire il divenire.
Siamo così di fronte, non solo ad una lezione fisica, ma anche ad una lezione filosofica profonda: l’osservazione non è mai un atto passivo. Osservare è un’interazione, una forma di partecipazione al reale. Ogni conoscenza è, in qualche misura, anche un’interferenza.
La fisica quantistica ci costringe così a rivedere il concetto stesso di oggettività. Non esiste un “mondo là fuori” del tutto indipendente dal nostro sguardo, ma una rete complessa di relazioni in cui l’osservatore e l’osservato si co-determinano. Il soggetto non è esterno al fenomeno: è parte del fenomeno.
Nell’antico oracolo di Delfi era scritto: conosci te stesso. La meccanica quantistica ci suggerisce oggi un corollario: riconosci che, conoscendo il mondo, lo trasformi. E che talvolta — come nell’effetto Zenone — lo trattieni nel suo divenire, semplicemente insistendo nel guardarlo.
16 giugno 2025 Maurizio Merlo
Cultura del potere e intelligenza esistenziale
Azzardo una teoria: la mente umana è divisa in due, mente esistenziale e mente di potere.
Facessimo una semplice ricerca statistica, a campione, dimostreremmo scientificamente che gli uomini di potere spesso sono stupidi esistenzialmente.
Un indizio chiaro è che raramente la selezione della classe politica porta al vertice i migliori. Le divisioni attuali del potenziale centrosinistra hanno radici lontane nel tempo e io mi porto dietro il trauma degli anni '70-'80.
Veramente pensiamo che i grandi leader del mondo progressista (Craxi, Saragat, La Malfa, Zanone, Moro e Berlinguer) non potessero trovare una sintesi?
Il problema non fu "riformismo e rivoluzione" e nemmeno "i rapporti con l'URSS" (dal '75 Berlinguer aveva rifiutato i finanziamenti russi e aveva subito un attentato in Bulgaria).
Temo che il problema fosse di natura esistenziale (ho testimonianze dirette di grandi personaggi dell'epoca), e credo che dall’analisi del fenomeno potremmo concludere, più in generale, che dietro a un'apparente vivacità intellettuale dei grandi politici progressisti si manifesti un sostanziale egotismo.
Diversamente il Centrodestra attuale è una realtà politica nel Paese (lo scrivo infatti con la C maiuscola).
Da indagini non testate scientificamente, ma sostenute da robuste testimonianze e indizi, sembrerebbe che i leader di destra abbiano la parte cerebrale che coordina le relazioni di potere molto più estesa di quella esistenziale, ciò genera cultura politico-mercantile e quindi maggiore stabilità degli interessi e di governo.
Poi il cretinismo di destra in opposizione all’egotismo di sinistra meriterebbe un approfondimento di ricerca.
14 giugno 2025 Gianni Di Quattro
Il coraggio della verità
Quando le democrazie decadono perché trascurate e diventano lente, burocratiche, non attente alla giustizia sociale, piene di corruzione, trascurano la cultura e con una partecipazione popolare sempre più lenta, allora si sviluppano le autarchie, i regimi illiberali che mantengono le apparenze con il voto periodico dei cittadini, ma che nella sostanza sono sempre più duri ed accentrati, sempre più fedeli agli slogan legge e ordine o Dio, Patria e Famiglia. I cittadini sempre più spaventati votano per il potente di turno, tacciono, cercano di infilarsi nelle pieghe di una vita che non conosce la libertà.
Ecco succede nel mondo di questi tempi e il mondo brucia senza che ci siano pompieri disponibili, il mondo finisce sempre più nelle mani di poche persone e sempre più caratterizzato da violenza (la legge del più forte), cinismo, disumanizzato.
Queste poche persone non sistemeranno le economie dei loro paesi ed invece sfasceranno quelle di tutto il mondo, faranno fare un passo indietro alla cultura ed alla civiltà in generale. Molti di questi personaggi spingeranno anche tendenze religiose e cercheranno di spiegare che loro interpretano un disegno divino (è sempre stato così nella storia).
Non è questione di destra o di sinistra, di qualche ideologia contro un’altra, è potere che arriva e si installa sulle macerie di conquiste umane, sociali e politiche e che si possono rappresentare nella democrazia.
Bisogna dire insomma che così è se vi pare come diceva un grande, bisogna cioè avere il coraggio della verità.
12 giugno 2025 Ruggero Cerizza
I mesi precedenti la votazione per il recente referendum ed i giorni attuali a seguito del suo esito sono stati caratterizzati, com’è naturale, da un fiume in piena di inviti e commenti di ogni tipo: dotti, accademici, dottrinari, politici, partitici, sociologici, sindacali, di distinguo, di schieramento, da tifo, ironici, sarcastici, trionfali, vittoriosi, .…
Non voglio aggiungere anche il mio bla-bla all’effluvio di parole già straripante, ma limitarmi solo ad una semplice riflessione.
Gli organizzatori erano assolutamente consapevoli che non avrebbero mai e poi mai raggiunto il quorum necessario per la validità del risultato, ma lo hanno indetto lo stesso. Questo è il vero busillis.
Credo che il loro scopo non fosse realmente quello di ottenere l’”abrogazione di alcuni articoli di legge ritenuti negativi” quanto, piuttosto quello di “contarsi per provare a dare una spallata all’odiato governo attuale”.
Ora, al di là del fatto di cui non sono convinto, che lo scopo dell’”opposizione” sia quello di tentare con ogni mezzo di far cadere un governo democraticamente eletto, ma, anche ammesso ciò, reputo davvero “stupido” (nel senso indicato dall’ottimo articolo di Nazareno Lasagno) aver pensato di utilizzare lo strumento del referendum.
Infatti dal suo svolgimento ci hanno rimesso tutti:
- gli articoli di legge non sono stati abrogati,
- il numero di votanti non si è tradotto in una leva efficace per far saltare il governo, anzi forse lo ha rafforzato,
- il sindacalista federatore non ha convinto,
- i cittadini hanno trovato un nuovo motivo per disertare le urne,
- sono stati spesi inutilmente qualche centinaio di milioni di euro delle nostre tasse.
Ma l’effetto peggiore è, mi scuseranno i lettori per il termine poco educato, aver “sputtanato” un importante istituto, quello referendario, che non è certo stato introdotto nel nostro ordinamento democratico per queste basse finalità di lotta partitica.
11 giugno 2025 Ruggero Cerizza
Gli stati moderni hanno via via concentrato nelle loro mani sempre più potere,
ingerendosi progressivamente in ogni ambito della vita privata dei singoli individui.
Questo processo appare oggi inarrestabile.
La bulimia di potere e la conseguente ipertrofia legislativa e regolamentare hanno prodotto una gigantesca struttura burocratica molto complessa, molto articolata e naturalmente estremamente costosa.
La sua alimentazione ha generato una inarrestabile esigenza di drenare sempre più ricchezza dal settore privato, incrementando il prelievo fiscale a tal punto da aver trasformato in “mezzadro” il produttore di ricchezza, costretto a lavorare più di sei mesi all’anno solamente per sfamare la macchina statale.
Non paga di ciò, la macchina statale ha dapprima provveduto alla svendita dei beni nazionali più monetizzabili, per poi passare ad un sistematico incremento dell’indebitamento che, a differenza di come vogliono farcelo vedere, non è garantito dalle amministrazioni pubbliche, bensì grava sulla testa di ogni cittadino.
Questo processo, negli anni, è stato accettato e anche condiviso dalla maggioranza dei cittadini illudendoli, attraverso una sistematica azione di propaganda, che tutto questo potere venisse esercitato nel loro interesse e che, comunque, potesse essere da loro “effettivamente” controllato attraverso i meccanismi di elezione democratica.
In realtà, è di tutta evidenza logica che il gigantismo statale, ancorché insediato in un sistema nominalmente democratico, conduce inesorabilmente verso un regime “totalitario”, nel senso etimologico del termine, un regime, cioè, caratterizzato dall’eliminazione della distinzione tra Stato e Società e da un controllo capillare sulla vita pubblica e privata, con l'obiettivo di ottenere il consenso e l'obbedienza totali dei cittadini.
Un tale macchina, se messa nelle mani di autisti impreparati o peggio scellerati, può causare danni di portata epocale tali da portare al declino l’intera nazione.
Non confidando nell’esistenza di uno strumento in grado di garantire la selezione di una classe dirigente capace, oculata e, più importante, lungimirante, a cui affidare con serenità una macchina così voluminosa, potente e totalizzante, auspico l’avvio di un programma di riduzione progressiva del potere e degli ambiti di ingerenza della macchina statale al fine di favorire una maggiore e più efficace dialettica tra la sfera pubblica e la sfera privata.
Dialettica questa che ridurrebbe il livello di pericolosità e dannosità di sempre possibili scelte sbagliate.
In estrema sintesi : “Meno stato per più Democrazia”
P.S. la ridotta affluenza alle votazioni più recenti, potrebbe essere un segnale che molti cittadini, magari inconsapevolmente, condividono il mio pensiero?
11 giugno 2025 Davide Torrielli
Referendum: un autentico successo.
A valle della consultazione referendaria, possiamo ancora una volta e contrariamente a quanto leggo da altri commenti, constatare un vero ed autentico successo.
Non è difficile intuire il perché e se qualche cittadino non ne comprende le ragioni sarà solo un problema suo di natura, probabilmente, culturale.
Ancora con questa sinistra, destra, sinistra, destra, in un continuo sbandare sulla carreggiata sbagliata!
La strada corretta non è quella dell’appartenenza a fazioni, di qualsiasi si tratti ma di una lotta per la conservazione di quello che abbiamo e che vale tanto!
Questo referendum, così come gli altri prima e non sappiamo quelli dopo, è stato un successo per il solo motivo che esiste, che è stato fatto, che si sia data la possibilità di esprimersi, di votare, di far sentire il proprio parere; se poi questo incredibile vantaggio democratico non viene colto da una certa fetta di cittadini un po’ pigri, questo diniego non ha nulla a che fare con l’alto valore democratico della possibilità che ci viene, ancora, concessa.
Chi scrive non crede alla natura strategica della scelta astensionistica quanto alla natura italiana di maggior propensione alla lasagna della nonna quanto all’ascolto di chi riesce nel maggior abbaiare sulle maggiori reti televisive tra un grande fratello, un’un’isola dei famosi ed una partita di pallone di serie C.
Invito chi pensa che l’astensionismo sia stata una strategia a verificare dove si sia raggiunto il più alto tasso di astensione e mettere su una tabella la corrispondente percentuale di abbandono scolastico, di n.e.e.t. se si fa eccezione per l’alto est Italia che non sono di fatto, italiani.
Ne rimarrete stupiti. Tanta strada da fare tanta etica da ritrovare.
Nel frattempo turiamoci il naso ed andiamo avanti in mezzo a cumuli di monnezza culturale.
Chissà che un giorno il presidente del consiglio lo si decida ad un falò di confronto.
10 giugno 2025 Nazzareno Lasagno
Referendum dell’8 e 9 giugno: tanto rumore per nulla!
Spiace constatare che la sinistra non impara mai dalle lezioni del passato. I referendum spesso sono un boomerang e creano un danno di ritorno a chi li ha promossi. Matteo Renzi ne sa qualcosa!
Non sempre gli elettori hanno ignorato i referendum, la partecipazione avviene quando sono in ballo questioni importanti che toccano tutti, come nel caso del divorzio o dell’aborto.
Purtroppo la sinistra ha perso il contato con il popolo elettore e pensa che basti riempire qualche piazza di persone e di bandiere per assicurarsi una vittoria politica.
Così finisce per scivolare nel ridicolo quando si arrampica sui vetri, giocando sui numeri e cercando di spacciare una sonora sconfitta per una vittoria (si vedano le dichiarazioni di Schlein, Boccia, Landini & co.).
E la destra non esulti. Anche se i numeri le danno ragione, i problemi ci sono e devono essere risolti. Le cattive leggi vanno migliorate e le istanze reali della popolazione non si risolvono con la propaganda trionfalistica.
Insomma, per citare un fine commentatore politico, come Adriano Celentano: “La situazione politica non è buona”.
6 giugno 2025 Davide Torrielli
Poche ma schiette parole per sostenere in pieno quanto leggo negli scritti di Ghidelli in diretto contrasto con la rabbia insensata di Achille.
Un fiume in piena da parte di Achille che, in tema di geopolitica, dimentica la necessità di una visione equilibrata, lucida ed equidistante da pregiudizi, i quali, mi spiace, emergono a piene mani.
Achille, sei tanto efficace in fisica quanto poco in geopolitica. Lo dico da amico quale mi ritengo.
Un errore nel comportarsi è tale da qualsiasi parte arrivi, da destra da sinistra o da sopra o sotto: l’invito ad astenersi è sbagliato, contro la nostra costituzione, sulla quale i signori che oggi occupano il governo, come quelli che furono prima, hanno giurato.
L’articolo è il 48 e loro non lo conoscono, come forse non lo conoscevano quelli di prima ed è inutile profondere fiumi di inchiostro per cercare di dimostrare che anche quelli di prima …. Ma chi se ne importa? Un errore è un errore e invitare a non votare è in ultima analisi, sbagliato, anti democratico ed anti costituzionale, nonostante si cerchi di arrampicarsi sui vetri.
Io lo posso fare, tu anche, Ghidelli pure, i nostri rappresentanti istituzionali NO.
Loro devono ricordare ai cittadini che il voto è un dovere civico e non riderci sopra in modo grasso come ho visto fare.
Non esiste altra interpretazione. Questo è permettimi, facile da capire.
Possiamo passare ad altro e non cercare di dimostrare cose indimostrabili?
Ghidelli, ottima risposta.
Saluti
3 giugno 2025 Bruno Lamborghini
Dove porta il riarmo tedesco?
Federico Rampini intitola un suo articolo: “Putin ha “svegliato” la Germania e rimpiangerà la Nato” che ben descrive il nuovo contesto della guerra russo-ucraina dopo l’elezione a Cancelliere tedesco di Merz ed il suo programma di riarmo con l’obiettivo di dare alla Germania il maggiore ruolo nella difesa europea.
Si tratta di un cambiamento radicale del ruolo militare tedesco, sin dalla fine della seconda guerra mondiale e la disfatta hitleriana, quando a Jalta ci si preoccupava da parte delle due potenze vincitrici, l’America di Roosevelt e l’Unione Sovietica di Stalin, di impedire un possibile riarmo tedesco.
Rampini riporta la famosa frase di Lord Ismay, primo segretario della Nato, “Keep the Americans in, the Russian out and the Germans down”, una frase molto significativa che ha caratterizzato tutti gli scorsi 80 anni.
Ora la Germania di Merz, superando i vincoli di pareggio di bilancio imposti dalla Costituzione tedesca e certamente voluti dagli Alleati, intende recuperare un ruolo centrale nella incerta e confusa difesa europea nei confronti della Russia di Putin, non tanto per una specifica ambizione bellica o in parte per un rilancio produttivo tedesco con gli armamenti, ma perché in Germania si percepisce reale paura di una escalation russa non solo in qualche paese europeo, ma più propriamente anche verso la Germania.
Questo avviene in un momento di particolare preoccupazione soprattutto dopo i pesanti attacchi dei droni ucraini negli aeroporti russi con la distruzione di un terzo dell’aviazione militare, per cui si teme un gravissimo contrattacco russo e comunque un definitivo rinvio dei negoziati. Peraltro, occorre anche considerare che la Russia di Putin non è nelle sue maggiori posizioni di forza, dopo tre anni di guerra con ingenti costi anche umani.
Il riarmo tedesco richiede tempi lunghi, sia per il passaggio delle spese militari dall’attuale 2% del Pil al previsto 5% che per la crescita produttiva dell’industria degli armamenti da parte di Rheinmetall ed altre industrie, ma certamente può costituire un fattore importante per il rafforzamento del ruolo della Nato europea, a fronte del relativo disimpegno USA e quindi un segnale forte nei confronti di Putin, che invece contava molto sulle incertezze nella difesa europea e sul distacco americano.
Di fronte a questa nuova politica tedesca si possono aprire due scenari alternativi con riferimento al conflitto ucraino:
- una maggiore consapevolezza di Putin circa una Nato che si rafforza ed un conseguente rallentamento della sua politica di continui ritardi per accordi di tregua, ritardi finalizzati ad acquisire maggiori territori.
- all’opposto Putin può ulteriormente rinviare una tregua con un crescente rilancio di conquiste territoriali sfruttando una fase di ancora poco definito ruolo della Germania nella Nato e di confuse decisioni da parte di Trump.
Per quanto riguarda la politica interna tedesca, le decisioni di Merz anche in materia di spese per la difesa possono scontrarsi in Parlamento a causa della relativa debolezza numerica del governo Merz, oltre che per il crescente peso politico del partito di estrema destra AfD.
1 giugno 2025 Achille De Tommaso
Vedi articolo al link https://www.nelfuturo.com/Riflessione-sulle-riflessioni : pagina commentabile.
1 giugno 2025 Giacomo D. Ghidelli
Riflessioni sulla riflessione di Achille.
Ironicamente potrei dire che l'odio di Achille verso il "branco progressista" (parole sue) gli fa perdere sia il lume della ragione, tanto da fargli usare il termine "branco" per definire raggruppamenti umani, tanto il lume degli occhi, visto che non gli fa nemmeno leggere ciò che è pubblicato da tutti. Qui, ad esempio, il Corriere della sera (neretti del Corriere): "il sostegno arriva da tutto l’arco parlamentare.
Da destra è un diluvio di dichiarazioni, ma anche le opposizioni non lasciano cadere. Il presidente Pd Stefano Bonaccini parla di «ignobili parole di odio e violenza», la senatrice Simona Malpezzi definisce «incredibile dove possa arrivare l’odio politico. Prendersela con una bambina per attaccare la madre. Non si fa mai, non si deve fare». Dai 5 stelle, con i capigruppo Riccardo Ricciardi e Stefano Patuanelli, si definiscono le minacce «ripugnanti, disgustose, ingiustificabili». Mentre Giuseppe Conte ricorda: «Purtroppo sono passato anche io per orribili e inaccettabili minacce ai figli. Piena solidarietà a Meloni e a Piantedosi». Da Avs, Angelo Bonelli ritiene il post «ripugnante, non si può far finta di nulla e lo condanno senza alcuna esitazione»".
Così, tanto per dire dove alligna l'odio... E la cosa, francamente, mi spiace, vista l'intelligenza di Achille.
1 giugno 2025 Achille De Tommaso
L’Italia “campolargata” col cappuccio in testa
Ora l’odio non ha più bisogno di bastoni. Gli basta un titolo accademico e un profilo social.
Augurare la morte a sassate a una bambina — sì, una bambina, non un ministro, non una riforma — lo fa un docente, un educatore, uno stipendiato dallo Stato che avrebbe il dovere di istruire, non di istigare.
Ma se la figlia è di Giorgia Meloni, il branco progressista tace. Ipocrisia selettiva.
Vent'anni fa ridevano di Berlusconi “psicodemente”, urlavano coi vaffa di Grillo, battevano le mani alle statuette scagliate in piazza. Oggi non fiata nessuno. Perché? Perché l’odio è legittimo se il bersaglio è “il fascista”.
L’antifascismo usato come scudo per giustificare ogni bassezza.
La democrazia ridotta a zona riservata: vale solo per chi la pensa giusto — cioè come loro.
Gli altri? Nemici da demolire. E i figli? Danni collaterali del livore etico.
L’Italia che odia non ha più nemmeno il coraggio dell’insulto frontale: sputa veleno travestito da superiorità morale; e da docente.
Ha perso il senso, l’onore e perfino la vergogna.
Ma continua a guardarsi allo specchio, convinta di essere "dalla parte giusta".
30 maggio 2025 Gianni Di Quattro
Sempre meno se ne può fare a meno.
Il mondo è cambiato, saltano le politiche del secolo scorso, perdono potere Enti e Istituzioni internazionali, avanzano nuovi protagonisti che pensano che l’unica arma, l’unico valore è la forza, quella che dà il privilegio di comandare e fare quello che si vuole, la tecnologia ha sposato la finanza, hanno perso la globalizzazione e la multiculturalità.
Le giovani generazioni che conoscono poco il passato e non si rendono conto degli sforzi fatti per conquistare libertà e almeno in buona parte una certa giustizia sociale, si adeguano, si integrano, protestano relativamente in casi molto dolorosi, cercano di trovare il loro spazio nel mondo, parlano le lingue e non si sentono legati al proprio paese oltre alcuni ricordi che il tempo rende sempre più opachi.
I vecchi soffrono, capiscono che ormai sono fuori dalle cose, capiscono poco quello che succede, faticano a vivere nella nuova società, cercano di esistere senza resistere, sperano di continuare a vedere la bellezza della vita. Naturalmente il riferimento è a tutti i vecchi con esclusione di quelli che godono di grandi ricchezze e che vivono in un loro mondo che poi è quello in cui hanno sempre vissuto e non sanno che esiste un altro mondo con tanta gente.
Comunque questo nuovo mondo anche per coloro che riescono a viverci senza traumi pur non capendolo (forse soprattutto per quello) sta diventando freddo, i sentimenti sono come gli algoritmi, la solitudine cresce senza che ci si renda conto di questo perché si vive attaccati alla tecnologia che illude e che fa vivere una vita sempre meno umana e sempre più da automi viventi.
Come fare per condizionare la tecnologia? Come fare per riportare la vita dentro l’umanità, i sentimenti sempre dentro la vita, ridare spazio alle emozioni che riempiono la vita? L’unica strada è la filosofia. Filosofia significa ragionare, pensare, dubitare, inventare, fare passi avanti e passi indietro, cercare le ragioni dell’uomo, guidare la vita, le relazioni, il piacere di vivere.
Non può esistere una società umana solo tecnologica, senza filosofia non può esserci la politica (ecco solo la forza), non ci possono essere sentimenti ed emozioni personalizzati, non ci può essere persino una religione perché gli uomini potrebbero non avere più bisogno di credere.
22 maggio 2025 Gianni Di Quattro
Se ne vanno.
I giornali riferiscono dei tanti laureati che lasciano il nostro paese ogni anno, vuol dire che da una parte si spendono tanti soldi per prepararli evidentemente inutilmente e dall’altra si perde lavoro giovane, professionalità, futuro.
Ma si parla poco del fatto che non solo giovani laureati stanno lasciando il paese, ma giovani anche non laureati se ne vanno alla ricerca di ambienti di lavoro diversi, di retribuzioni diverse, di opportunità in genere e di una società più accogliente. In tanti paesi del Meridione ormai ci sono solo anziani.
Inoltre calano come ormai tutti sanno le nascite anno per anno. Siamo dunque il paese più vecchio dopo il Giappone e dove comincia a mancare forza lavoro per intraprendere, per nuove attività, per fare ricerca, per garantire i servizi sociali.
Mentre succede tutto questo si cerca di respingere immigrati che arrivano scappando dai loro paesi per fame e da guerre feroci, non si organizzano centri di accoglienza e di inserimento di questi giovani che arrivano e che potrebbero servire per garantire pensioni agli anziani, forza lavoro, crisi da spopolamento, in poche parole futuro al paese.
Non si capisce perché non si parla di tutto questo, si ha la sensazione che il mondo politico che dovrebbe vedere il futuro non abbia alcun interesse per il futuro e pensi solo al potere di oggi.
Soprattutto non si capisce tutta la polemica sugli immigrati che comunque ogni anno sono inferiori agli emigrati, non si capisce tanta intelligenza sprecata, come è possibile non capire se si riflette con obbiettività, laicamente e non con pregiudizi ideologici o, ancora peggio, umani e culturali.
18 maggio 2025 Gianni Di Quattro
I partiti e la politica oggi.
Intanto per partiti si intende anche movimenti o gruppi, insomma qualsiasi forma di aggregazione politica. Ecco, una volta questi gruppi preparavano un programma, studiavano soluzioni per l’economia, la società, il lavoro, i servizi e si presentavano agli elettori nelle campagne elettorali chiedendo il voto sulla base dei progetti che presentavano e su cui si impegnavano Questo era democrazia e comportava anche la creazione di classi dirigenti competenti e la scelta di valori professionali cui affidare le attività.
Oggi non è più così. I partiti si impegnano solo per vincere. Chi è al governo cerca di gestire al meglio, interviene nei casi in cui non si può fare a meno, propone riforme che poi n0n vengono attuate o attuate solo in parte e continuano a parlare come se fossero in campagna elettorale perché il loro problema è mantener quel consenso che ha permesso loro di andare al governo. L’opposizione non presenta un programma alternativo, ma fa opposizione giorno per giorno, provvedimento per provvedimento puntando sulle cose che pensa possono avere più interesse per la gente.
Insomma i partiti non fanno politica nell’interesse del paese, non difendono ideologie. Fanno politica per vincere, vincere a qualunque costo e dopo che si è vinto il problema è mantenere il consenso.
Ecco perché questa democrazia non è democrazia anche se gli somiglia debolmente, questa politica punta solo sul business dei protagonisti, degli amici, dei gruppi di potere. Il resto della popolazione va tenuta calma con le parole, va illusa e va trattata come si trattano i bambini come quando devono fare una iniezione e gli si promettono straordinari giocattoli che poi non ci saranno.
16 maggio 2025 Gianni Di Quattro
A proposito di telecomunicazioni.
Su Nel Futuro si sta parlando di telecomunicazioni con articoli e con incontri ed i principali protagonisti stanno dimostrando tutta la loro esperienza, competenza e conoscenza anche perché tutti hanno ricoperto ruoli di primissimo piano nel settore. Personalmente non intervengo anche perché è difficile competere o solo dialogare con così prestigiosi protagonisti.
Tuttavia di questo mondo vorrei ricordare un personaggio che io considero uno dei principali manager del settore negli anni passati e cioè Ernesto Pascale, amministratore delegato della Stet. La Stet era la finanziaria che deteneva la Telecom Italia (all’epoca SIP) e a sua volta era detenuta dall’IRI. Pascale con la sua illuminata visione aveva portato il mondo italiano delle telecomunicazioni all’avanguardia a livello mondiale anche grazie alla sua grande attenzione verso la ricerca e la formazione. Pascale lanciò anche l’idea di un grande progetto, il progetto Socrate, per cablare l’intero territorio nazionale. Tale progetto che dimostra la capacità di visione di Pascale fu bocciato.
Se fosse stato approvato avrebbe cambiato la storia italiana delle telecomunicazioni, certamente la storia di Telecom Italia che, pur se privatizzata, non sarebbe stata preda di alcuni spregiudicati investitori, tra cui i famosi capitani coraggiosi come li definì un importante politico italiano allora in voga.
16 maggio 2025 Davide Torrielli
NAUSEA.
Nausea, dal vocabolario Treccani: "Sensazione di malessere, spesso con conati di vomito, provocata da cause fisiche o psichiche; per estensione, stato di forte disgusto o repulsione morale."
Ecco il sentimento che pervade molti cittadini italiani dinanzi alle recenti dichiarazioni del presidente del Senato Ignazio La Russa, che ha esplicitamente invitato gli italiani a non andare a votare ai prossimi referendum. Non si tratta di un'opinione qualunque: La Russa ricopre la seconda carica dello Stato e, in assenza del Presidente della Repubblica, ne assume le funzioni. È dunque una figura istituzionale che dovrebbe incarnare, al massimo grado, i valori costituzionali della partecipazione democratica e del rispetto delle istituzioni.
Invece, le sue parole rappresentano uno schiaffo alla democrazia. Invitare all'astensionismo non è soltanto una grave mancanza di responsabilità politica, ma un atto di disprezzo verso il principio della sovranità popolare, sancito dall'art. 1 della Costituzione: "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione." Tra queste forme c’è, innanzitutto, il voto.
In un momento storico in cui l’astensionismo dilaga e la sfiducia nelle istituzioni è crescente, le parole di La Russa non sono neutrali, né innocue: sono pericolose. Esse minano ulteriormente la già fragile relazione tra cittadini e politica, e lo fanno con il peso simbolico di una carica che dovrebbe invece sostenere, difendere e rafforzare il tessuto democratico del Paese.
Stigmatizzare la posizione di La Russa è doveroso, non per partigianeria, ma per difesa della democrazia stessa. Che il presidente del Senato, la figura che in caso di impedimento del Capo dello Stato ne assume le funzioni, si esprima in questo modo è un segnale allarmante. È la spia di un degrado istituzionale che non può essere ignorato né normalizzato.
Chi occupa certe cariche ha il dovere morale e politico di essere esempio, non fonte di disillusione. E invece, ancora una volta, tocca ai cittadini – quelli che credono ancora nella partecipazione – provare nausea.
14 maggio 2025 Gianni Di Quattro
Il significato di Trump.
Alcune idee di Trump da quello che si capisce dai suoi discorsi e dalle sue azioni:
- La politica va bene praticarla solo in campagna elettorale ma se si fa il governo si deve fare economia, solo economia, insomma business
- Il conflitto di interesse è un retaggio ideologico del passato. Il governante deve pensare a fare affari per il suo paese ed anche per se stesso (anzi più è attirato dagli affari personali più farà affari anche per il paese)
- Non esistono amici o alleati o partners, ma solo interlocutori con i quali si fanno o si possono fare affari e che possono cambiare anche spesso
- Le guerre sono un impedimento per il business e quindi è opportuno impegnarsi per risolverle. A meno che le guerre non siano propedeutiche a possibili affari successivi come potrebbe essere il caso israeliano e palestinese.
- Chi è ricco lo è perché lo merita ed è una risorsa per il paese, chi è povero è colpevole e non merita attenzione
- La cultura non produce utili, fa perdere tempo, guasta la mente di giovani indirizzabili in modo diverso
Ma il significato di Trump può essere soprattutto il fatto che rappresenta un prototipo per tutti coloro che fanno politica o che vogliono fare politica, in pratica che vogliono esercitare il potere e fare affari che deve essere il fine ultimo di chi scende in campo.
Inoltre, Trump può essere considerato come l’inizio di un nuovo mondo, una nuova era sociale. Un mondo che già si intravedeva e che ora Trump ha capito, impersonato e rappresentato. Forse così lo ricorderanno i libri di storia (ammesso che si studierà ancora la storia).
13 maggio 2025 Maurizio Merlo
Bene il Papa sull'AI.
Affinché i programmi di AI (intelligenza artificiale) siano strumenti per la costruzione di un domani migliore devono avere un’ispirazione etica ...
... e quindi il potere politico deve trarne conclusioni culturali e scientifiche, poi politiche e di regolamentazione giuridica e sociale, capaci di coniugare tutti gli elementi di valutazione di uno sviluppo economico che salvaguardi e accresca la dignità umana.
Ma tutto ciò è regola prima di un'armoniosa crescita della società.
Se prevale l'affarismo, prevale la barbarie.
L'affarismo è utile al servizio della società, non viceversa.
Altrimenti si arriva a Trump travestito da Papa e alle tante forme di decadenza dell'Occidente.
... peraltro il capitalismo predatorio non ha mai costruito sviluppo economico sano e duraturo.