Aggiornato al 29/04/2024

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Voltaire

 

La connettività che crea informazione: Internet of Things e gli oggetti intelligenti

di Anna Noci – Action Institute

 

Il 21 settembre 2016 il ministro per lo Sviluppo Economico Carlo Calenda ha presentato il nuovo progetto per rilanciare la crescita in Italia, il piano “Industry 4.0”.

La parola chiave è connessione: comprendere il nostro tempo significa comprendere la quarta rivoluzione industriale, caratterizzata dalla connessione di oggetti alla rete in modo da moltiplicarne le potenzialità. Internet of Things e Big Data sono le tecnologie che rivoluzioneranno il mondo, ed è cruciale che l’Italia non rimanga a guardare.

“Internet of Things” (letteralmente “internet delle cose”), termine coniato nel 1999 da Kevin Ashton, designa tutti gli oggetti connessi alla rete, ma non solo: indica anche un nuovo modo di concepire gli oggetti stessi, poiché accanto alla realtà tangibile si affianca quella digitale dell’oggetto stesso, che, anche in autonomia, raccoglie e trasmette dati.

 

Il meccanismo è apparentemente semplice: tramite il supporto fisico, uno smartphone o un tablet, si possono inviare comandi in remoto all’oggetto, il quale esegue il comando o invia le informazioni richieste. I dati raccolti possono essere registrati nell’oggetto stesso o in appositi database. Esempi potrebbero essere treni e tram senza guidatore, che, connessi al network dei trasporti, possano calibrare i tempi di percorrenza in base al traffico, oppure termostati che si attivano e si spengono autonomamente quando la temperatura ha raggiunto il livello richiesto.
 L’uso di tecnologie IoT è più comune di quanto si pensi: nel 2015 gli oggetti connessi alla rete erano 10 miliardi e si stima che nel 2020 saranno 34 miliardi. Le applicazioni di questa tecnologia spaziano dall’industria al settore medico, senza apparenti limiti, e proprio per questo il potenziale di diffusione è enorme, tanto da essere stato definito “Internet of Everything”.

 

 


Per quanto riguarda il potenziale economico, un report di Business Insider Intelligence stima che l’intero settore delle IoT avrà un valore di 11,1 mila miliardi di dollari entro il 2025, con un ROI (Return On Investments) di 13 mila miliardi di dollari per investimenti fatti nei prossimi 5 anni.


Ma chi sono e chi saranno gli utenti di questi device? Sempre Business Insider prevede che i principali acquirenti di tecnologie IoT saranno le industrie: esse vedrebbero infatti diminuire i costi, aumentare l’efficienza produttiva, implementare sistemi di produzione volti al risparmio energetico, senza contare le enormi possibilità di sviluppo di nuovi prodotti. Al secondo posto ci sono i governi, che potrebbero usarli per implementare politiche di welfare a costi ridotti, e solo da ultimo si avrebbero i singoli individui, che comunque investiranno nell’IoT un ammontare considerevole di risorse.

Secondo Adam Sager, le tecnologie IoT per le abitazioni private sono spesso “fun but not essential” (divertenti, ma non essenziali), lasciando ad intendere che forse lo sviluppo di queste tecnologie per il settore domestico è più legato a margini di guadagno che a un’effettiva utilità. All’inizio di aprile, Amazon ha annunciato lo sviluppo dei Dash buttons, bottoni digitali e wireless da installare sugli oggetti quotidiani di uso domestico: quando il detersivo o le bottiglie d’acqua finiscono, grazie al device si può mandare direttamente l’ordine a Amazon, che quindi diverrebbe non solo un sostituto dei supermercati. La tecnologia IoT permetterebbe di semplificare molti aspetti della vita quotidiana, rispondendo a quel desiderio di immediatezza e semplificazione che caratterizza il nostro tempo. Ma potrebbe cambiare sensibilmente il modo di rapportarsi alla quotidianità: ad esempio, una medicina che avvisa quando è l’ora di prenderla, scarica una considerevole dose di responsabilità dal singolo, facendo risparmiare tempo e fatica. 
Per Lucy Kellaway del Financial Times, invece, la domanda di device non necessari rimane un mistero: sicuramente il fatto che ci sia un’offerta in qualche modo crea la propria domanda (come vuole la famosa legge di Say), ma forse si è semplicemente di fronte a una delle prove dell’irrazionalità dei consumatori. Oppure, abbiamo bisogno di oggetti intelligenti “because we are stupid” (perché siamo stupidi).


Le preoccupazioni maggiori per questa nuova tecnologia riguardano la sicurezza e la privacy. Gli oggetti connessi alla rete raccolgono infatti enormi quantità di dati, che possono essere messi a disposizione di governi o imprese. I primi potrebbero usarli per controlli più rigorosi in termini di evasione fiscale o di lotta alla criminalità, mentre le seconde potrebbero sempre di più personalizzare le pubblicità in base alle esigenze del singolo cliente, anticipando letteralmente i suoi bisogni sulla base delle abitudini di consumo. Suggerimenti invadenti di cui, probabilmente, nessuno ha realmente bisogno.
 Molte istituzioni denunciano infatti che lo sviluppo delle tecnologie IoT sta avvenendo in modo troppo rapido, senza una visione di lungo periodo del fenomeno, e quindi senza un adeguato piano di regolamentazione. L’Economist, in un articolo dello scorso anno, suggerisce tre azioni da intraprendere quanto prima: creare innanzitutto un sistema base di regole e norme, introdurre un regime di responsabilità per gli sviluppatori e creatori di tecnologie IoT e lo sviluppo della cultura dell’openness, in quanto è provato che scrivere un codice completamente sicuro è impossibile, quindi meglio puntare su risorse aperte e liberamente modificabili. La minaccia di un attacco da parte di hacker rimane infatti la minaccia più immediata: chi riuscisse ad accedere ai database potrebbe non solo rubare i dati raccolti, ma anche usarli per scopi illeciti o causare la paralisi di interi network. 
L’IoT potrebbe quindi cambiare anche il modo stesso in cui si concepisce e si usa la rete: non più cercare la sicurezza assoluta, ma imparare a gestire la trasparenza.
 Un altro aspetto da non sottovalutare è che la galoppante diffusione delle tecnologie IoT e la creazione di network di oggetti potrebbero creare nel lungo periodo una serie di esternalità negative nel mercato del lavoro. I lavoratori poco qualificati vedrebbero infatti le proprie occupazioni diventare automatizzate, con conseguente aumento sia della disoccupazione, che della polarizzazione dei salari.


L’uso di oggetti intelligenti richiede un forte senso di responsabilità, sia da parte degli utenti che da parte degli sviluppatori. Regolamentare non significa limitare, significa chiedersi il senso di ciò che si sta creando, in modo da evitare che venga usato nel modo sbagliato e che la tecnologia sia davvero progresso e non un cieco positivismo.

Autore: Anna Noci

Inserito il:10/10/2016 21:21:21
Ultimo aggiornamento:10/10/2016 21:36:52
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