Professione radio.
Il predominio commerciale delle reti di telefonia cellulare hanno oscurato, negli ultimi anni, le reti per comunicazioni radio "di servizio". Ma il walkie-talkie mantiene le sue vitali prerogative.
La prima parte di una serie dedicata al settore Pmr (Professional mobile radio).
Molto spesso le tecnologie e le loro applicazioni nascono in settori e per usi altamente specifici.
A questa regola non sfuggono neppure le comunicazioni radio, oggi così universali.
La tecnologia che Marconi riuscì per primo a industrializzare aveva un preciso obiettivo commerciale: indirizzare due settori fondamentali come i servizi postali e il trasporto marittimo, entrambi potenzialmente interessati a uno strumento che permetteva di inviare, a considerevole distanza e in un tempo praticamente istantaneo, un messaggio di testo che prima dell'invenzione della radio, del telefono e del telegrafo, richiedeva sistemi trasporto in grado di funzionare a velocità molto bassa e sensibili al minimo ostacolo.
Sopprimendo anche i cavi che trasportavano la corrente della telegrafia elettrica e della telefonia, o i limiti di distanza che penalizzavano i sistemi di segnalamento ottico, la radio diventò subito molto importante nella trasmissione di messaggi, nella gestione di operazioni logistiche e - Titanic docet - nel coordinamento degli interventi di soccorso in mare.
Prima di diventare un mezzo diffusivo capace di diffondere contenuti parlati e musicali nelle case, le radiocomunicazioni ebbero dunque un ruolo che oggi definiremmo "mission critical", cioè fondamentale per la corretta esecuzione di operazioni complesse, come poteva essere la gestione di un carico trasportato su una nave in servizio tra diversi porti, o l'intervento di una squadra di soccorso in seguito alla chiamata di emergenza di bastimenti e velivoli in urgente stato di difficoltà.
Un aspetto fondamentale della criticità di questo strumento è legato alla possibilità di rendere istantaneo lo scambio di messaggi consecutivi: l'elemento vincente, per uno strumento di radiocomunicazione mission critical, è dunque il suo carattere a "due vie", di andata e immediato ritorno.
Una modalità che autorizza gli operatori a interagire con informazioni, ordini e feedback in tempo reale.
Circa trent'anni dopo l'entrata in servizio dei primi marconisti, le radiocomunicazioni critiche vissero un secondo fondamentale punto di svolta: la portabilità.
I primi apparati riceventi - per non parlare delle stazioni trasmittenti - della telegrafia senza fili erano di dimensioni considerevoli, inizialmente fu possibile adattarli solo parzialmente al cosiddetto "uso in campo".
In questo caso uno dei pionieri riconosciuti fu Paul Galvin che nel 1936, entrando nel nascente mercato americano delle comunicazioni per le forze di polizia, portò l'esperienza maturata nel corso degli anni dal proprio marchio Motorola nel settore dei primi ricevitori da installare in un'altra recente invenzione: l'automobile.
L'avvento della trasmissione in modulazione di frequenza e l'ulteriore miniaturizzazione dell'elettronica dei tubi a vuoto e delle batterie, consentì a Galvin Manufacturing di compiere rapidi progressi nelle radiocomunicazioni a due vie, integrando a bordo delle autopattuglie un trasmettitore e sviluppando già all'inizio della seconda guerra mondiale i primi "handie-talkie", apparati ricetrasmittenti non soltanto compatibili per un impiego sul campo, ma di dimensioni e peso sufficientemente ridotti da assicurare una manovrabilità "in palmo di mano". L'handie-talkie (oggi diremmo "palmare") Galvin Manufacturing modello SCR-536 pesava, con le sue batterie, poco meno di due chili e mezzo, ma trovò un impiego intensivo per le truppe americane impegnate negli sbarchi in Italia tra il '43 e il '44.
Nel dopoguerra e fino all'inizio degli anni Ottanta, le radiocomunicazioni professionali mission critical vissero una formidabile fase di espansione, in campo militare e civile, con il diffondersi di vere e proprie infrastrutture radiomobili che abilitavano la comunicazione radio a due vie in piena portabilità, veicolare o palmare, in aree geografiche più o meno estese, fino ad arrivare a coperture regionali o addirittura nazionali per infrastrutture progettate da aziende e operatori di settori come le utilities elettriche, la distribuzione di petrolio e gas, i trasporti su strada, ferro, mare e aria, la sanità, la pubblica sicurezza; assicurando un vitale supporto all'organizzazione e sicurezza del lavoro, ai servizi di manutenzione e riparazione, al pronto intervento a salvaguardia dell'incolumità delle persone e impianti.
Inquadrate in specifici assetti normativi, i sistemi di comunicazione critica a due vie continuano a servire una grande varietà di bacini d'utenza e professioni, dagli istituti di vigilanza alla cantieristica, dalle aziende di trasporto urbano alle associazioni di volontari, dalla Protezione Civile alle forze di polizia locale, dagli autotrasportatori alle cooperative di "dispaccio" dei taxi.
Sempre rispondendo puntualmente ai requisiti tipici di una applicazione "mission critical": affidabilità, sicurezza, gestibilità, flessibilità, riservatezza e tolleranza alle condizioni operative più difficili.
L'avvento degli standard per reti radiomobili di tipo telefonico non ha arrestato né lo sviluppo tecnologico né la specificità e criticità delle radiocomunicazioni professionali a due vie.
La grande diffusione dei telefonini e la capillarità delle infrastrutture ormai digitali che ne supportano il funzionamento hanno esercitato una certa pressione competitiva sull'alternativa rappresentata dai sistemi di Professional Mobile Radio, almeno nelle situazioni meno critiche.
Ma al di là delle considerazioni di costo e efficienza - che spesso premiano l'impiego di risorse non genericamente destinate al grande pubblico - anche sul piano operativo una rete radiomobile di tipo telefonico si distingue nettamente da una rete professionale per comunicazioni a due vie.
Queste ultime prevedono l'impiego di terminali utente particolarmente resistenti a condizioni di stress meccanico o ambientale, rendono possibile l'accesso istantaneo alla risorsa di rete ("push to talk"), abilitano nativamente funzioni essenziali come la chiamata di gruppo, si prestano in modo flessibile sia a contatti instradati attraverso l'infrastruttura delle stazioni base e alla sala operativa centrale, sia a comunicazioni dirette, istantanee, tra singoli terminali.
E come vedremo in successivi articoli dedicati al tema delle comunicazioni mission critical digitali, rendono possibile funzionalità e scenari d'uso ancora più avanzati, come la protezione delle comunicazioni, la creazione di sottogruppi di utenti o, viceversa, l'aggregazione di gruppi di intervento diversi, l'interoperabilità tra reti professionali diverse, la condivisione di una unica infrastruttura, l'unificazione con sistemi di comunicazione telefonica o Internet.
Le radiocomunicazioni mission critical continuano infine a preservare un significativo margine di robustezza, sicurezza, rapidità di deployment e resilienza in situazioni di intervento e negli ambienti più estremi.
Il carattere sempre molto specifico del traffico, i livelli di ottimizzazione, la robustezza degli standard e dei protocolli di trasmissione, l'ottimizzazione delle infrastrutture, consentono agli utilizzatori dei terminali di poter accedere alle risorse comunicative con soglie molto elevate di affidabilità e senza attese.
I sistemi radiomobili mission critical devono per definizione funzionare nel preciso momento in cui può davvero essere di vitale importanza ricevere o comunicare una informazione, da rendere eventualmente disponibile a più operatori sul campo, senza che nessuna delle parti coinvolte sia costretta a subire ritardi e latenze.
Che si tratti di inviare una squadra di riparatori verso un traliccio danneggiato in alta montagna, coordinare l'azione di soccorritori e pubblici ufficiali in caso di incidente, supportare l'intervento di una guardia di sicurezza incaricato di sorvegliare una struttura sensibile, o, semplicemente, ritirare e consegnare un plico all'indirizzo giusto.