Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

 

La rivoluzione industriale II - Finanza, trasporti, etica protestante. Borghesia mercantile e capitalista.

di Mauro Lanzi

 

La rivoluzione agricola e la rivoluzione demografica avevano cambiato i fondamenti della società inglese, ma altri cambiamenti erano alle porte.

  1. La Rivoluzione finanziaria.   

Con il diffondersi del benessere nelle campagne cresce il numero di persone che dispongono di un piccolo capitale da investire ed anche da questa circostanza nasce l’epoca del credito sovrano, della grande finanza pubblica prima, privata poi.

Il mercato del credito era sempre esistito; i re ed i governi del medioevo avevano sempre fatto ricorso all’indebitamento, soprattutto per finanziare le ricorrenti campagne militari.

I primi finanziatori erano stati gli ebrei, presto scartati per il pregiudizio religioso, e sostituiti dagli italiani, fiorentini in particolare; poi il declino politico della penisola, travagliata da guerre ed invasioni aveva aperto la strada a fiamminghi, tedeschi ed infine olandesi, la grande finanza del XVII secolo era tutta in mano agli olandesi. I durissimi scontri sui mari, che opposero Inghilterra ed Olanda nella seconda metà del XVII secolo, bloccarono ovviamente questa fonte di finanziamento ed obbligarono i governi inglesi a fare affidamento quasi esclusivamente sul credito interno.

Fondare la finanza pubblica sul credito interno presenta vantaggi e svantaggi: all’attivo va sicuramente un aspetto economico, il paese non viene complessivamente impoverito dal drenaggio di risorse originato dal pagamento di interessi ai creditori esteri. L’altra faccia della medaglia è che una eventuale bancarotta non colpisce banchieri stranieri (esemplare il fallimento delle banche Bardi Peruzzi) ma tocca gli interessi dei sudditi del regno; vale la pena ricordare che la Rivoluzione Francese fu aperta dalla dichiarazione d’insolvenza del governo di Luigi XVI.

I governi inglesi furono attenti ad evitare questo errore; nel 1694 viene fondata la Banca d’Inghilterra, tra l’altro in un momento particolarmente difficile della storia del Paese: la flotta inglese era stata sconfitta e distrutta dai francesi in una grande battaglia navale e somme ingenti erano richieste per riportare l’Inghilterra al rango che le spettava sui mari.  Alla Banca fu affidata, oltre che la ricerca dei fondi necessari alla flotta, la gestione totale del debito pubblico ed il privilegio di stampare carta moneta, garantita dalle riserve auree della Banca stessa.

La vecchia signora di Threadneedle Street, come veniva e viene tuttora chiamata, assolse egregiamente al suo compito; non solo fu in grado di reperire le somme necessarie alla guerra, ma, con successive emissioni di titoli di credito garantiti dalle future entrate fiscali, riuscì a ridurre gli interessi sul debito pubblico da un’iniziale 8% al 3% già nel 1757.

Più importante ancora della riduzione della spesa per interessi fu però l’iniezione di fiducia nei risparmiatori; la BoE assunse un ruolo centrale in uno scenario in cui si assisteva ad un costante, considerevole incremento del numero di istituti di credito sia a Londra che in provincia; il fenomeno era sostenuto dalla necessità di far circolare banconote e lettere di cambio, ma anche dall’offerta di risparmio disponibile per il miglioramento delle condizioni economiche nelle campagne. Alla fine del ‘700 si contavano in Inghilterra più di 600 istituti bancari, alcuni dei quali erano anche abilitati ad emettere banconote a fronte di un corrispondente deposito di valuta metallica. Infine, nel 1794, William Pitt il Giovane (tra l’altro protagonista delle guerre napoleoniche), istituì il corso forzoso della lira sterlina, unico emittente la Banca d’Inghilterra.

Non è questa la sede per ripercorrere il cammino della finanza britannica, merita però sottolineare un aspetto; accanto all’abbondanza della forza lavoro esposta nel precedente articolo, si era venuta a creare in questo periodo la seconda premessa essenziale allo sviluppo dell’industria, la disponibilità di capitali, raccolti e gestiti dalle banche.

 

  1. La Rivoluzione dei trasporti

I sistemi di comunicazione sono da sempre una delle componenti essenziali di ogni civiltà: non a caso l’impero romano aveva basato il suo dominio che si estendeva a regioni lontane su di una rete viaria eccezionale per quei tempi.

All’inizio del XVIII secolo la rete viaria inglese era molto arretrata rispetto, ad esempio, a quella francese; le uniche strade agibili con una certa regolarità erano proprio le antiche strade romane, tutti gli altri percorsi erano dei tracciati impervi, dal fondo sconnesso, che nei mesi invernali si trasformavano in veri e propri pantani. Il trasporto di merci e soprattutto del carbone, che stava divenendo una componente essenziale nella vita economica del Paese, era in queste condizioni arduo e molto costoso.

La necessità di assicurare vie di comunicazione più sicure spinse il Parlamento a legiferare, autorizzando nel 1760 l’apertura di strade a pagamento, dette “turnpike roads”, il cui tracciato era reso più facile proprio dalle ”enclosures”, che, delimitando con precisione i terreni coltivati, indicavano i percorsi possibili.

Restava però il problema del fondo stradale, il lastricato usato dai romani era una realizzazione troppo costosa per quei tempi: la soluzione fu individuata da un ingegnere scozzese, il cui nome è divenuto un sostantivo di uso comune nel settore delle costruzioni, John McAdam. Il macadam impiega pietrisco pressato e reso uniforme da un legante, che assicura una buona resistenza al fondo stradale e lo rende impermeabile, favorendo il deflusso delle acque; il macadam si diffuse rapidamente in tutta Europa, divenendo il metodo più usato nella pavimentazione stradale, almeno fino all’introduzione dell’asfalto.

Oltre alle strade si sperimentano in questo periodo altre vie di comunicazione: non le ferrovie che arriveranno nel secolo successivo, ma i canali. Il primo fu realizzato da un pioniere, Lord Bridgewater, sull’esempio francese, per portare il carbone dalle sue miniere alla città di Manchester: il successo di questa iniziativa scatenò la cosiddetta “febbre dei canali” che in breve dotò l’Inghilterra di un sistema di trasporto merci rapido ed economico.

Come conseguenza di queste nuove vie di traffico il costo del carbone crollò, con benefici immediati per l’economia nazionale, ma anche la circolazione di tutte le altre derrate, in primo luogo quelle alimentari, ne fu ampiamente favorita.

La Rivoluzione dei trasporti fu una componente essenziale nel successo della Rivoluzione industriale.

 

  1. La rivoluzione etica ed intellettuale.

Dalla prima metà del ‘500 l’Europa venne scossa da un vasto moto di rinnovamento etico, religioso e culturale, la Riforma protestante: di questo fenomeno noi siamo abituati a vedere gli aspetti negativi, quali la lacerazione nella comunità cristiana o le guerre di religione che insanguinarono per oltre un secolo il continente; non siamo stati, viceversa, abituati a considerare nella giusta luce i suoi effetti positivi, in particolare il poderoso rinnovamento della cultura e del pensiero, grazie al quale innovazione e progresso scientifico, nati in Italia, che per secoli era stata all’avanguardia della rivoluzione commerciale, finanziaria e scientifica nel Medioevo, traslocarono infine nei paesi del Nord.

Molto più tardi, nel 1800, un grande storico francese, Alexis de Tocqueville osserverà che lo sviluppo della democrazia e della crescita economica degli Stati Uniti erano dovute proprio alla formazione religiosa di gente, che non riconoscendo né gerarchie né dogmi, era di fatto portata a crearsi da sola strutture amministrative e politiche, come pure schemi nuovi di pensiero.

Gerarchie e dogmi erano invece i pilastri portanti della Controriforma; fin dal XVI secolo potere politico e potere religioso si allearono in Italia, Spagna ed altri paesi di osservanza cattolica, per acquisire il pieno controllo della conoscenza e del pensiero. Ogni idea di abolire i tribunali dell’Inquisizione fu accantonata, anzi si creò a Roma una nuova Inquisizione, il Sant’Uffizio, fu istituita la pena di morte per chi importava libri stranieri: nel 1557 fu creato l’Indice (Index librorum prohibitorum), che verrà abolito, pensate, sotto il pontificato di Papa Montini!!

Due sono gli episodi che illuminano significativamente l’atteggiamento delle Autorità ecclesiastiche in quel periodo; il primo, il rogo, nel 1600, di Giordano Bruno; Bruno era un ex-domenicano, un filosofo nella cui immaginarie concezioni Dio coincideva con l’universo, a sua volta costituito da infiniti infiniti; tesi che sembra anticipare alcune delle teorie diffuse ai nostri tempi, forse non condivisibili, ma che certo non giustificano una condanna a morte.

Il secondo, il processo a Galileo Galilei del 1633, fu un fatto ancora più grave e sconvolgente del primo perché Galileo non si era permesso, come Bruno, di entrare in materie attinenti la fede o il trascendente; aveva solamente propugnato la tesi eliocentrica a fronte della dottrina geocentrica, che non risulta sia in qualche modo citata o avallata dai Vangeli: la Chiesa, semplicemente, con queste due sentenze, intese riaffermare la superiorità di dottrina e dogmi sul libero pensiero e sul progresso scientifico, che dovevano, quindi, restare al guinzaglio dell’autorità ecclesiastica.

Come meravigliarsi allora se innovazione e progresso cambiarono patria, identificandosi con una Riforma, che promuovendo il dissenso, dissacrando l’autorità costituita, rifiutando le verità imposte, dava spazio e respiro alla creatività della mente umana?

C’è stato chi è andato oltre queste ovvie considerazioni: nel 1904, un grande storico e filosofo tedesco, Max Weber, pubblicò uno dei saggi più influenti e provocatori mai scritti: “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. Secondo le tesi di questo libro, il protestantesimo, e più specificatamente la sua ramificazione calvinista, fu alla base dell’ascesa del capitalismo moderno, cioè del capitalismo industriale.

La riforma calvinista fu dovuta a Giovanni Calvino, (Jean Cauvin), un filosofo e teologo francese, nato in Francia a Noyon e morto a Ginevra, che proprio in Svizzera sviluppò e predicò i principi fondamentali della sua dottrina. Calvino non si limita a riprendere e ampliare alcuni concetti fondamentali della Chiesa riformata, come libero arbitrio, chiesa come comunità dei credenti, quindi rifiuto delle gerarchie ecclesiastiche, ma sviluppa e porta alle estreme conseguenze l’idea agostiniana della predestinazione: secondo Calvino la salvezza non si conquista con le opere e la fede, si salva unicamente chi è predestinato. Questo non vuol dire abbandonarsi al fatalismo; compito del buon cristiano, secondo Calvino, è di ricercare e coltivare in sé i germogli della predestinazione, conducendo una vita ispirata alla rettitudine, all’onestà, alla laboriosità, all’utilizzo parsimonioso di tempo e denaro: tutti questi connotati comportamentali, erano, secondo Calvino, indizi di predestinazione; in ultima analisi, anche una ricchezza acquisita secondo principi di rettitudine ed onestà era un segno del favore divino.

La tesi di Weber è che queste teorie, che si trasformarono presto in una sorta di etica civile, produssero un nuovo tipo d’imprenditore ed un nuovo mondo degli affari; il calvinista vedeva come fine ultimo dell’uomo il volere di Dio, il suo spirito era spinto ad una incessante attività, perché il tempo è un dono divino e non lo si può sprecare con l’ozio, accumulava guadagni, in assoluta onestà di comportamenti, ma non per spendere, perché Dio non permette i vani piaceri della carne. In un mondo così popolato, la presunzione di correttezza e rettitudine delle controparti non poteva che favorire gli accordi ed il progresso civile della società.

Le idee di Max Weber sono state duramente contestate, spesso a ragione, negli aspetti estremizzanti, ma ci sono almeno due punti del suo pensiero su cui non si può non concordare.

Il primo riguarda l’importanza dell’alfabetizzazione, generalizzata tra tutti i seguaci della Chiesa riformata; secondo Lutero e Calvino l’approccio diretto alla Bibbia è privilegio e dovere di ogni credente, questo comportava che tutti dovessero apprendere a leggere e scrivere per conoscere le scritture.

Non a caso la traduzione in tedesco della Bibbia fu la prima preoccupazione di Lutero; ad essa ne seguirono altre nelle principali lingue europee, tranne, ovviamente, italiano e spagnolo, vista la netta contrarietà della Chiesa di Roma che scoraggiava la conoscenza diretta dei testi sacri senza l’intermediazione del clero. Di più, Lutero attribuiva ai genitori l’obbligo dell’educazione religiosa dei figli; poiché l’uomo era generalmente occupato nel lavoro sui campi, l’obbligo dell’istruzione religiosa dei figli ricadeva sulla donna, che doveva quindi anche lei essere in grado di leggere le Scritture.

Proprio questo fu il primo passo verso l’emancipazione della donna, da sempre premessa fondamentale del progresso; in ogni famiglia c’erano due teste pensanti, la circolazione delle idee e dell’informazione ne ricevette un impulso decisivo, ma, soprattutto avere madri istruite, consce dei principi etici, rese migliori anche i figli.

L’altro punto che discende dalle teorie di Weber e che non possiamo ignorare o sottovalutare, è il ruolo della pressione del gruppo sul comportamento del singolo; occorre riconoscere che il controllo reciproco garantisce standard di moralità, laboriosità ed efficienza più di quanto possa qualsiasi legge.

In Inghilterra la situazione religiosa  era alquanto diversa dal resto dei paesi di fede protestante, perché lo scisma voluto da Enrico VIII non aveva contenuti dottrinari, consisteva  originariamente in una pura e semplice separazione dalla Chiesa di Roma della Chiesa d’Inghilterra, tutto il resto sarebbe dovuto restare immutato; a capo della Chiesa si poneva il Sovrano (Re o Regina) d’Inghilterra, da lui dipendeva la gerarchia ecclesiale, che rimaneva al suo posto dopo avergli giurato obbedienza, a lui spettava decidere gli indirizzi fondamentali in materia di fede, a lui spettava il titolo di “Defensor fidei”, strana anomalia che si perpetua ancora oggi.

Da questa posizione iniziale, la separazione da Roma favorì l’assimilazione progressiva di molte idee e concetti propri delle religioni riformate, in particolare l’importanza del libero arbitrio, l’approccio alle Scritture, il permanere o meno di alcuni sacramenti, le nuove liturgie codificate nel “Prayers Book” elisabettiano; intangibile restava sempre la gerarchia ecclesiale con al vertice il Re.

Malgrado queste aperture, gruppi radicalmente dissenzienti dall’ortodossia anglicana si diffusero largamente in Inghilterra: si trattava di gruppi, che si ispiravano al “congregazionalismo”, una visione secondo cui ogni chiesa è una libera associazione di credenti, che si scelgono, pastori e diaconi, decidono obblighi e liturgie, con il solo vincolo del rispetto dei Vangeli. Ovviamente questa visione collideva in toto con l’istituto della Chiesa Anglicana, ragione per cui questi gruppi furono anche duramente perseguitati o costretti ad emigrare, come i puritani del Mayflower o i quaccheri che, al seguito di William Penn, fondarono la Pennsylvania: alle migrazioni religiose è legata in larga misura la colonizzazione dell’America del Nord. Molti dissenzienti però rimasero in Inghilterra, infine anche tollerati dopo la Rivoluzione del 1689, ma trattati come cittadini di serie “B”, privi di diritti civili; parliamo di una molteplicità di sette religiose, puritani, quaccheri, metodisti, battisti, unitari e poi anche presbiteriani, provenienti dalla Scozia.

Ma proprio da questi gruppi nacquero, in qualche misura, innovazione e pensiero imprenditoriale.  

Gruppi puritani avviarono importanti attività nel settore tessile, le famiglie quacchere dei Darby, dei Reynolds, dei Lloyds assunsero una posizione di preminenza nell’industria siderurgica, nell’industria meccanica troviamo in prima linea quaccheri e presbiteriani, James Watt era un presbiteriano, la “Society of Friends”, altra emanazione del movimento quacchero, ebbe una parte preminente nello sviluppo dell’attività bancaria e via dicendo.

Questa stretta associazione tra attività imprenditoriale e dissenso ha sempre destato degli interrogativi ed è stata spiegata in vario modo; è stato affermato che questi personaggi si siano gettati sull’imprenditoria perché esclusi dalla vita pubblica e dalle università (ma questo si potrebbe dire anche per altre fasce di esclusi, come i cattolici); è stato notato che nelle categorie dissenzienti si godeva di un livello d’istruzione superiore rispetto alla media della popolazione; è stato anche detto che chi viene emarginato dalla vita sociale è naturalmente portato a prendersi delle rivincite.

Tutto vero, ma nessuna di queste spiegazioni appare sufficiente: si deve allora tornare alle tesi di Max Weber che vedono nell’etica laica di questi gruppi, nella loro forma mentis, nel loro elevato grado di alfabetizzazione e, infine, nella innata apertura mentale di chi non accetta verità scontate, la genesi del capitalismo moderno.

 

  1. Mercantilismo e capitalismo

Nel 1648 venne firmata la “Pace di Vestfalia” (la Westfalia è una provincia del sud della Germania), sancita dai trattati di Munster ed Onasbruck, che pose fine ad uno dei più sanguinosi e devastanti conflitti della storia europea.

Vestfalia non fu una delle tante paci con cui si chiudevano le guerre di quei tempi, Vestfalia ebbe un’importanza diversa, gettò le basi di un nuovo ordine globale. La guerra, esplosa per il conflitto tra cattolici e protestanti, aveva annientato le pretese di universalità e solidarietà confessionale, e questo proprio a seguito dell’intervento della Francia a fianco delle forze protestanti. I partecipanti ai negoziati dovettero necessariamente accettare questa premessa ed accedere ad accordi di compromesso, ma, inavvertitamente, senza che nessuno lo volesse o lo dichiarasse apertamente, gettarono anche le basi di norme ed istituti di valenza mondiale; con il trattato di Vestfalia si sancirono in particolare i seguenti principi:

  1. Tutti gli stati sovrani hanno diritto ad una propria identità politica, a tutti, piccoli o grandi, doveva essere riconosciuta la stessa dignità di nazione.
  2. Gli stati sovrani, e non l’impero, sono i mattoni fondanti dell’ordine europeo.
  3. Ogni stato firmatario ha diritto di scegliere la propria struttura interna ed il proprio orientamento religioso, senza interventi esterni.
  4. In ognuno degli stati firmatari viene riconosciuto alle sette minoritarie il diritto di praticare il proprio credo, al riparo da conversioni forzate.

Queste semplici proposizioni implicavano in realtà ben altro, cioè la distruzione di un sistema, in cui un solo centro di potere era stato, fino allora, pienamente legittimo. La concezione vestfaliana assumeva la molteplicità come punto di partenza, esprimeva il tentativo di istituzionalizzare un ordine internazionale non basato sul predominio di una sola entità o di un solo paese ma su di un equilibrio multilaterale tra diverse potenze.

Il più grande e significativo vantaggio lo ebbe inizialmente la Francia, che si era liberata di colpo del suo più pericoloso antagonista, la Germania unita: ma, quando, a sua volta, la Francia di Luigi XIV tentò di sovvertire l’ordine europeo per imporre la sua egemonia, il sistema vestfaliano reagì, sotto la guida della Gran Bretagna, ed alla fine il potente re di Francia fu costretto a rinunziare ai suoi intenti (pace di Utrecht, 1713). Si evidenziò proprio in questa circostanza la necessità, per un sistema multipolare, dell’esistenza di un ente regolatore, di un custode degli equilibri, possibilmente super partes; in questo ruolo si affermò e si confermerà in futuro la Gran Bretagna, che, forte del suo dominio sui mari, non avendo ambizioni territoriali sul continente (quindi super partes), era nelle condizioni ideali per scegliere i tempi e la portata del suo impegno, equilibrando le fazioni in campo, in modo da evitare l’egemonia di una nazione sul continente. La Gran Bretagna venne così progressivamente ad assumere una posizione centrale in Europa, chiaramente orientata alla difesa della sua supremazia marittima e dei suoi interessi commerciali, che divengono in questo periodo uno degli elementi centrali della politica degli stati.

L’assetto multipolare affermatosi in Europa aveva infatti generato anche un altro cambiamento strutturale di fondamentale importanza negli stati vestfaliani, aveva riportato all’interno di ogni stato la sua ragione d’essere, gli obiettivi per cui meritava impegnarsi o combattere; questo fu il fattore alla base dello sviluppo dell’Europa.

Emersero energie nuove; lo sviluppo della potenza degli stati europei nei secoli XVII e XVIII fu trainato dall’imporsi di una nuova classe, la borghesia mercantile e capitalista, a scapito della nobiltà feudale, tipica espressione dell’età medievale; a questa classe emergente le autorità di governo si appoggiarono, affidando ad essa lo sviluppo dell’economia distrutta o compromessa dalla guerra; lo stretto legame di questa nuova borghesia con la politica è il fatto nuovo di questo periodo, ad essa venivano concesse misure protezionistiche per promuovere la nascita e l’incremento di attività industriali e commerciali e pure l’aperto appoggio per intraprendere nuove imprese coloniali.

Il colonialismo aveva vissuto una prima fase di affermazione subito dopo le scoperte di Colombo, fase che aveva visto come protagonisti i regni ed i governi, portoghese e spagnolo, che si erano impegnati in prima persona nella organizzazione e nella gestione dei territori occupati dai “Conquistadores”. Ora tutto cambia, le imprese coloniali di Inghilterra, Olanda e anche Francia sono espressione dell’iniziativa privata, che impegna risorse, uomini e capitali propri in questi progetti; la East Indian Company inglese, la VOC olandese, tutte le compagnie inglesi piccole o grandi che danno vita agli insediamenti sulle coste del Nord America sono finanziate da società di capitale privato, che intendono gestire per proprio conto i traffici sviluppati ed i territori occupati. I governi nazionali si preoccupano di aiutarle, concedendo loro copertura legale, diritti di monopolio ed esenzioni daziarie, a volte anche aiuti militari, ma, almeno agli inizi non si propongono di sostituirsi ad esse. L’intraprendenza mercantile ed imprenditoriale, il gusto del rischio nati con queste imprese e nutriti in seno ad una nuova borghesia, strettamente legata al potere politico, furono la molla del travolgente sviluppo europeo in quei secoli.  Le energie liberate dall’assetto multipolare e dal sovranismo conseguenti alla pace di Vestfalia condussero progressivamente, ma irresistibilmente l’Europa ai vertici del mondo. Pure le guerre, che frequentemente insanguinavano l’Europa, non furono, in ultima analisi, di ostacolo a questa crescita, perché promossero la creazione e l’adozione di nuovi armamenti, sempre più potenti e micidiali, che costituirono la base della superiorità militare europea su tutti gli altri stati.

Anche in questa fase di crescita di tutta l’Europa, crescita legata al sorgere di mercantilismo e capitalismo, la Gran Bretagna si trovò all’avanguardia; le iniziative coloniali inglesi furono, come detto, tutte finanziate da capitali privati, ma si avvalsero, soprattutto in Nord America, della spinta generata dall’emigrazione religiosa, motivata dalle persecuzioni esercitate sotto gli Stuart, nei confronti del dissenso (puritani, presbiteriani, quaccheri). Questa inedita commistione di iniziativa privata e motivazioni religiose fecero della colonizzazione dell’America del Nord una grande, incredibile palestra per lo sviluppo della nuova borghesia mercantile e capitalista.

Per concludere questa lunga digressione, se ci volgiamo a considerare quanto esposto nei capitoli precedenti, troviamo la risposta ai due quesiti che ci eravamo posti in partenza, perché proprio allora, perché proprio lì.

Nell’Inghilterra del XVIII secolo si crea una combinazione unica di fattori atti a favorire il fenomeno di cui stiamo trattando, la Rivoluzione Industriale: sviluppo economico legato ad agricoltura e commercio, abbondanza di manodopera mobile, disposta a qualsiasi tipo d’impiego, capitali e sistema bancario in grado di convogliare il risparmio verso le attività produttive, impetuosa crescita di una nuova borghesia, ma soprattutto un patrimonio di menti aperte a nuove esperienze, libera circolazione delle idee, capacità e voglia di intraprendere e sperimentare, non frenate da gerarchie e dottrine.

L’Inghilterra era pronta al grande balzo.

 

Inserito il:12/11/2023 16:42:51
Ultimo aggiornamento:12/11/2023 16:56:56
Condividi su
ARCHIVIO ARTICOLI
nel futuro, archivio
Torna alla home
nel futuro, web magazine di informazione e cultura
Ho letto e accetto le condizioni sulla privacy *
(*obbligatorio)


Questo sito non ti chiede di esprimere il consenso dei cookie perché usiamo solo cookie tecnici e servizi di Google a scopo statistico

Cookie policy | Privacy policy

Associazione Culturale Nel Futuro – Corso Brianza 10/B – 22066 Mariano Comense CO – C.F. 90037120137

yost.technology | 04451716445