Aggiornato al 27/04/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Antonio Zecchin (Murano,1878 - 1947) - Le Mille e una Notte

                                      

Storia della Persia - 7

(seguito)

di Mauro Lanzi

 

Il califfato Islamico – Omayadi e Abassidi.

 

Come accennato nel precedente articolo, agli inizi del VII secolo d.c., mentre i due maggiori imperi dell’epoca erano avvinti in una lotta mortale, una nuova potenza stava sorgendo dai deserti dell’Arabia, l’Islam. Il sopraggiungere in Persia di questa nuova forza politica, religiosa e militare provocherà la scomparsa dell’ultimo impero ariano, l’impero sassanide; dalla fusione delle due culture, però, nascerà, col tempo, una nuova civiltà, straordinariamente ricca e feconda.

 Gli Arabi erano noti a quei tempi in occidente per il commercio dell’incenso: le carovane dei commercianti, partendo dalla Siria o dalla Palestina, attraversavano il deserto arabico per raggiungere i porti dello Yemen, punto d’approdo delle imbarcazioni provenienti dall’oriente. Lungo il tragitto i mercanti facevano tappa alla Mecca, città abitata da arabi o beduini, che doveva il suo relativo benessere alla posizione strategica lungo la rotta carovaniera. La popolazione, in massima parte analfabeta (come si ritiene fosse anche Maometto), venerava una Pietra Santa, caduta dal cielo (probabilmente un meteorite), racchiusa in edificio cubiforme, la Kaaba, meta di pellegrinaggi da tutta la regione.

In questa città, verso il 570 d.c., nasce Maometto da una famiglia benestante; persi presto entrambi i genitori, viene allevato da uno zio; a 25 anni sposa una vedova quarantenne, molto agiata, ed inizia una proficua attività commerciale, che interrompe bruscamente a quarant’anni per ritirarsi nel deserto sul monte Hira, dove avrebbe ricevuto la “Rivelazione” dall’arcangelo Gabriele; due anni dopo inizia la sua predicazione. Maometto, che era stato in contatto con le culture cristiana ed ebraica, percepiva l’arretratezza della cultura beduina dedita al politeismo, sentiva la mancanza del patrimonio spirituale di chi venerava un solo Dio. Maometto fu il primo a predicare agli Arabi l’esistenza di un unico Dio, Allah, il Dio; il dovere supremo dei fedeli si riassumeva nella parola Islam, “sottomissione a Dio”, il vero fedele poteva chiamarsi musulmano, “devoto a Dio”. Maometto accoglie nella sua predicazione concetti derivati dall’ebraismo e dal cristianesimo, considera Gesù uno dei suoi più illustri precursori, ma rigetta l’idea che fosse figlio di Dio; considera se stesso il culmine, il punto di arrivo della predicazione profetica, dopo di lui nessun altro inviato di Dio sarebbe comparso tra gli uomini; considera anche l’islam non aperto solo agli arabi, ma a tutte le popolazioni del mondo, in questo simile al cristianesimo.

La predicazione di una nuova fede desta reazioni non sempre positive e questa sorte toccò anche a Maometto, che nel 622 d.c., anno dell’Egira, fu costretto a lasciare La Mecca per rifugiarsi a Medina, dove ebbe una buona accoglienza, divenendo il capo, non solo spirituale, ma anche politico della comunità, il che rappresenta l’elemento fondamentale che differenzia l’islamismo da ogni altra religione monoteista. Non solo; Maometto, dalle sue prime esperienze, si era convinto che la missione pacifica del predicatore non poteva avere vita lunga in quei paesi, che una forza armata era necessaria per difendere il profeta ed i suoi seguaci. Gli Arabi non erano alieni all’uso della violenza, in razzie e rapine; Il Profeta dette loro una base morale, predicando che la Jihad, la guerra contro gli infedeli, era una guerra santa. La prima guerra santa i musulmani la condussero proprio contro la Mecca, che fu occupata nel 630; la Kaaba fu ripulita di tutti i simboli politeisti e rimase oggetto di culto anche per l’Islam.

Maometto muore nel 632, da quel momento l’Islam parte alla conquista del mondo.

Solo tre anni dopo, gli arabi conquistano le province bizantine di Siria e Palestina; cinque anni più tardi, Ctesifonte, la capitale dell’impero sassanide fu accerchiata e saccheggiata; l’ultimo Shah, Yezgered, riuscì a fuggire e riuniti i suoi corazzieri a cavallo sfidò gli arabi in campo aperto; sconfitto, il venticinquesimo Shah fuggì di nuovo, ma fu infine assassinato da un suo ufficiale; siamo nel 651 d.c., la Persia scompare come entità autonoma.  Sorte non migliore toccò all’impero bizantino; l’imperatore Eraclio fu sconfitto nella battaglia di Yarmuk (635) e da lì iniziò il crollo dell’impero, nel 716 gli arabi arrivarono ad assediare Costantinopoli.       

L’invasione della Persia da parte degli arabi non portò ad una immediata conversione di massa della popolazione; in quanto monoteista, lo zoroastrismo era tollerato dagli occupanti, i fedeli qualificati come “dhimmi”, gente in attesa di conversione, erano solo tenuti a pagare una tassa, la “jiziya” ; nel giro di un secolo però l’islamismo fu abbracciato dalla quasi totalità della popolazione, sopravvivono oggi solo piccole comunità zoroastriane.

Alla morte di Maometto, la guida del movimento venne assunta dai suoi più stretti collaboratori, che presero il nome di Califfi, da un termine arabo che significa letteralmente “sostituto”, “successore”.  Il califfato è una forma di governo monarchico (inizialmente elettivo, poi assoluto), con una precisa connotazione spirituale religiosa scaturente dalla pretesa di costituire la prosecuzione dell'attività politica, amministrativa e religiosa del profeta Maometto. Il califfato, che ebbe ufficialmente termine nel 1924 a seguito della rivoluzione kemalista in Turchia, passò attraverso fasi e connotazioni diverse; la prima fase, che dura un trentennio, fino al 662 d.c., viene definita Califfato dei Rāshidūn , vale a dire “Califfato degli Ortodossi”, in quanto i califfi vennero scelti per elezione dalla “Umma”  (assemblea degli anziani e del clero) tra i collaboratori più anziani e più validi del Profeta, Abu Bakr, Omar, Osman ed Alì erano i loro nomi. Il periodo del califfato ortodosso ebbe termine con una guerra civile, quando il governatore della Siria, che era imparentato con il terzo califfo Osman ed era come lui del clan degli Omayyadi, si ribellò ad Alì, rimproverandogli di non aver perseguito in modo deciso gli assassini di Osman. Alì fu a sua volta assassinato nel 661, la guerra civile proseguì per alcuni anni e si concluse con la vittoria del clan omayyade; gli omayyadi stabilirono un dominio familiare e dinastico con base a Damasco, il titolo di Califfo divenne ereditario.

                                                      Moschea di Omayad a Damasco

 

 Inizia il periodo del Califfato Omayyade, che si protrae fino al 750 d.c. Gli Omayyadi furono grandi conquistatori e grandi costruttori, estesero il loro dominio fino alla Spagna, arricchendolo di monumenti di grande pregio, come la famosissima Moschea di Omayyad a Damasco. Le necessità finanziarie conseguenti alle guerre ed agli edifici costruiti li indussero a praticare una fiscalità esosa, soprattutto nei confronti dei neo convertiti, considerati al di sotto degli arabi; questo fece dilagare il malcontento in regioni come la Persia, che non rivestiva grande interesse per i regnanti di Damasco, era trascurata e sfruttata, divenne quindi ben presto un focolaio di rivolte, che nel 749 si unirono sotto la guida di un capo carismatico, Abu Muslim. Questi però si rendeva ben conto di non poter assumere la guida della comunità islamica in prima persona, era necessario porre a capo un arabo, possibilmente imparentato col Profeta: la persona giusta fu individuata in Abu al Abbas, un cui avo era stato zio di Maometto. Abu Abbas, detronizzati i signori di Damasco, fondò il Califfato Abbasside (750 d.c.), portando la capitale vicino a Ctesifonte, dove sorgerà Bagdad.

Con l’abbattimento della dinastia Omayyade termina il periodo di egemonia araba sul mondo islamico; da quel momento in poi, i maomettani neoconvertiti ebbero non solo pari dignità, ma influenzarono vita politica e culturale ben più dei conquistatori venuti dal deserto e, primi fra tutti, furono proprio i persiani; gli stessi califfi, pur arabi di origine, avevano una formazione religiosa e culturale fortemente influenzata dalla Persia; inizia allora e durerà per cinque secoli l’epoca d’oro dell’Islam.

 La dinastia Abbasside è stata connotata da alcune grandi figure di Califfi, il primo dei quali fu il fratellastro di Abu Abbas, Mansur, al quale si deve la fondazione di Baghdad, la “Città di Dio”. Per costruire la sua capitale, Mansur fece venire i più grandi architetti, i più abili upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/4/44/Abu...artigiani da ogni parte del regno; l’ispirazione venne dalla tradizione sassanide, grandi cupole adorne di maioliche segnalavano il quartiere imperiale, separato da un fossato dal resto della città; l’impronta data in questo periodo rimarrà fondamentale in tutta l’architettura islamica anche nel futuro.

 Mansur era animato da uno spirito ben diverso dai suoi predecessori; pur essendo nato da famiglia araba, era stato educato nel Chorassan, da istitutori persiani, dai quali assorbì lineamenti derivati dalla tradizione sassanide. Il Califfo, che si qualificava “l’ombra di Allah sulla terra”, viveva separato dai suoi sudditi, circondato da un alone di sacralità, in un cerimoniale rigido e sfarzoso, ispirato in tutto e per tutto a quello degli imperatori persiani o bizantini, cioè di sovrani divinizzati. Anche in campo familiare, Mansur iniziò una tradizione diversa dai precedenti califfi; non si sposavano più principesse arabe, ma fanciulle di altre etnie, spesso persiane, talora schiave minorenni, per evitare che le grandi famiglie nobili potessero vantare legami di parentela e quindi pretese al trono. Comincia in questo periodo la svalutazione della figura femminile, che viene privata di ogni diritto e di ogni proprietà; l’assoluta sottomissione all’uomo da parte della donna diverrà consuetudine negli anni a venire, ma non fa parte della tradizione araba; ricordiamo che la prima moglie di Maometto gestiva una sua attività commerciale ed era assai benestante. Di arabo alla corte di Baghdad restavano i teologi e gli esegeti del Corano, scritto e declamato in arabo, ma tutto il resto della burocrazia, a partire dal Gran Visir, della medicina e, in generale, della cultura, era in mano ai persiani, che avevano una tradizione consolidata in questi campi; Mansur fu il primo sovrano arabo a rifondare società e stato arabi sulle tradizioni persiane, sia nel bene che nel male.

Più conosciuto, anche nel nostro mondo, è stato ed è un nipote di Mansur, Harun Al Raschid, che regnò dal 786 all’809d.c., fu un contemporaneo di Carlomagno, con cui intrattenne anche relazioni diplomatiche (a sinistra l’ambasceria di Carlomagno ricevuta dal Califfo). Harun, però, è divenuto noto a tutti per un libro tra i più letti al mondo, “Le mille e una notte”:

C’era una volta, a Bagdad, ai tempi del Califfo Harun Al Raschid…”  è l’incipit di tanti racconti entrati nel nostro immaginario collettivo.

La voce narrante è quella della principessa Shahrazād, ma il racconto è centrato sul sultano di Persia Shāhriyār, il quale, essendo stato tradito dalla moglie preferita, comincia ad uccidere sistematicamente le sue spose al termine della prima notte di nozze. Un giorno Shahrazād, figlia maggiore del gran visir, decide di offrirsi volontariamente al sovrano, avendo escogitato un piano per placare l'ira dell'uomo contro il genere femminile. Così la bella e intelligente ragazza, per far cessare l'eccidio e non essere lei stessa uccisa, attua il suo piano con l'aiuto della sorella: ogni sera racconta al re una storia, rimandando il finale al giorno dopo. Va avanti così per "mille e una notte"; e alla fine il re, innamoratosi, la sposa e le rende salva la vita.

Ciascuna delle storie principali delle Mille e una notte è quindi introdotta da Shahrazād e poi narrata da altri personaggi; questa narrazione nella narrazione viene poi riprodotta nelle storie raccontate dai personaggi delle vicende presentate da Shahrazād. Questo espediente narrativo, che ancora oggi ha nelle Mille e una notte uno dei suoi casi d'uso più illustri, è stato definito metanarrazione o metaracconto ed ha avuto proseliti illustri da Boccaccio nel Decamerone a Shakespeare a Pirandello.

A parte la tecnica di narrazione, le “Mille e una notte” (che è comunque un testo scritto a più mani), riunisce storie di origine indiana, araba o persiana e narra principalmente della vita quotidiana a Bagdad, lo splendore della corte, la povertà dei più, la generosità o la tirannia dei potenti, la rassegnazione dei più deboli; i racconti sono un connubio tra elementi fiabeschi e vita reale, propongono un affresco di eccezionale vivacità della capitale del califfato.

Harun al Raschid (“l’equanime”) compare in molte novelle, gira travestito di notte nel bazar o nelle taverne ascolta le lamentele della gente comune su giudici iniqui e funzionari corrotti; tornato a palazzo punisce severamente i colpevoli, rende giustizia ai più deboli. Harun deve la sua fama proprio a questi racconti, anche se è logico pensare che gli elementi elogiativi possano essere stati composti proprio su sua commissione, visto che il giudizio degli storici sulla sua attività di governo è molto meno positivo.

Harun al Raschid morì improvvisamente all’età di 54 anni (809 d.c.), senza aver avuto il tempo di designare il suo successore, per cui alla sua morte scoppiò una guerra civile tra due suoi figli, il primo nato da una moglie araba, il secondo da una schiava persiana; il primo era supportato logicamente da tutta la nobiltà araba, ma era un incapace, il secondo, Mamun, appoggiato da truppe prevalentemente persiane, si dimostrò fin dal principio un valido comandante e finì per prevalere sul fratello che fu infine messo a morte; questa fu l’ultima volta che gli arabi cercarono di riprendersi il potere, da quel momento in poi le leve del comando rimasero saldamente in mano ai persiani.

Con Abdullah Al Mamun saliva al trono una delle personalità più poliedriche e culturalmente rappresentative del mondo islamico; Mamun non si limitò a raccogliere a corte poeti e narratori, come aveva fatto il padre, ma volle avere accanto a sé astronomi, matematici, fisici, medici e teologi; tra questi ultimi volle poter discutere anche con esponenti di altre religioni, sciiti, cristiani ebrei, zoroastriani, dando prova di un’apertura mentale inusuale a quei tempi. Questo atteggiamento si applicava anche ad altri campi del sapere, come la filosofia, in cui il califfo decretò che i testi classici greci, in parte salvati dai sassanidi, in parte acquistati da lui stesso, potevano essere letti e studiati, anzi promosse la traduzione in arabo di questi testi; in pochi anni gli eruditi musulmani arrivarono a conoscere il pensiero greco in profondità, le opere di Aristotele, Platone, Ippocrate, Archimede divennero di dominio comune in tutto il mondo che parlava arabo, cioè dalla Persia alla Spagna, questo mentre in occidente queste conoscenze venivano trascurate o apertamente osteggiate. Baghdad, il Cairo e Cordoba diventeranno nei secoli successivi i principali centri culturali e non solo del mondo islamico; è un paradosso, ma è una verità storica che il patrimonio culturale greco sia stato salvato da arabi e persiani e che lo stesso sia giunto in Europa nel XII e XII secolo attraverso l’intermediazione delle università mussulmane di Spagna frequentate anche da studiosi cristiani. Recentemente, occorre citarlo a conferma di questo fenomeno, è apparso sul “Corriere” un trafiletto riguardante un libro pubblicato in Francia “Ptolomée Al Gharib – Lettre a Gallus sur la vie, le testaments e les secrets d’Aristotel”. Si tratta della traduzione in francese di una lettera scritta a Gallo da un certo Tolomeo, alessandrino, che rivela fatti finora sconosciuti sulla vita e l’insegnamento di Aristotele. Il libro contiene informazioni di grande interesse, ma l’aspetto più notevole e, quindi il motivo per cui ne parlo, è che questa lettera, scritta originariamente in greco, è giunta a noi esclusivamente nella sua traduzione in arabo.

Ma non è la filosofia l’unico contributo alla nostra cultura derivante dal mondo islamico: nei primi anni del regno di Mamun era stato accolto alla corte di Bagdad un matematico indiano, sembra si chiamasse Kankah, che aveva illustrato un sistema numerico con cifre che andavano dallo zero al nove; il califfo aveva ordinato che i suoi testi fossero tradotti in persiano ed in arabo, diffondendo così questo metodo di numerazione in tutto il regno.

Ma non è tutto, c’è di più: esisteva in quegli anni a Baghdad una specie di accademia voluta e finanziata dal califfo Mamun per accogliere e fornire sostentamento a studiosi e dotti di ogni provenienza; era detta Bayt al-Ḥikma, “ Casa della Sapienza”; qui venne accolto un matematico persiano, originario del Chorassan, di nome Muḥammad ibn Mūsā al-Kwārizmī,  fondatore e artefice della moderna matematica. A lui dobbiamo un testo fondamentale per l’evoluzione di questa scienza: pubblicato con il titolo “Compendio sul calcolo per completamento e bilanciamento”, è noi noto con il termine arabo della parola centrale, “completamento”, in arabo “al-gabr”, latinizzato  “algebra”. Tutta la matematica moderna nasce da questo testo, dal valore delle cifre a seconda della posizione, al segno +/- davanti ai numeri, alle espressioni matematiche, alle equazioni lineari di primo e secondo grado. L’attività scientifica di Al Kwarizmi non si fermò a questo testo, pur fondamentale, ma spaziò fino alla geografia, all’astronomia/astrologia, alla trigonometria. Sotto molti aspetti, l’opera di Al Kwarizmi non fu del tutto originale, ma fu il compendio anche di esperienze precedenti, derivanti dalla tradizione indiana e forse anche ellenistica, molti spunti di matematica ed algebra sono tratti dall’Aritmetica di Diofanto (III sec d.C.); non c’è dubbio, però, che il persiano seppe organizzare in forma sistematica queste nozioni, creando una nuova scienza; prova della sua fama e della sua grandezza è anche una parola oggi molto usata, a proposito o a sproposito, la parola “algoritmo”: l’algoritmo è il fondamento teorico di tutta la fisica e dell’informatica, perché è alla base della nozione di calcolabilità, un problema è risolvibile quando è calcolabile, cioè quando può essere espresso da un algoritmo, tutto il resto non esiste o non serve. Pochi sanno che questa parola oggi nota a tutti altro non è se non la latinizzazione del nome di Al-Kwarizmi.

Se noi pensiamo che i primi accenni di questa cultura sono stati importati in Europa da Lorenzo Fibonacci, vissuto nel XII secolo, possiamo da ciò comprendere quanto più avanzata rispetto a noi fosse la civiltà persiano-araba del IX secolo e di quanto siamo debitori a quel mondo.

Mamun morì nell’anno 833 d.c. e subito dopo di lui iniziò il declino del califfato; i suoi successori non solo non dimostrarono la sua apertura culturale, ma si rivelarono deboli ed inetti, interessati solo al lusso della corte e ai piaceri dell’harem; il governo dello stato cadde sempre più nelle mani del visir e degli eunuchi di corte, mentre i vari califfi si disinteressavano della politica e della guida dello stato. All’indebolimento del potere centrale non potevano non fare riscontro forze centrifughe, che si manifestarono con l’emergere di emirati o sultanati indipendenti; il primo fu l’Egitto, seguito dalla Siria e da varie regioni della Persia; i regnanti di questi stati professavano rispetto ed ossequio al califfo, come capo dei credenti, ma in pratica si comportavano come entità indipendenti, il potere politico del califfo era sempre più ristretto alla sola Mesopotamia. La frammentazione dell’impero porta ad un suo irreversibile declino, ma anche in questa fase di decadenza il mondo arabo-persiano produce gli ultimi bagliori del suo splendore. Due sono i personaggi di spicco che emergono in questi anni, entrambi in principati autonomi ed in città lontane dalla capitale, Ghazni, Hamada ed Isfahan; il primo è noto con il suo soprannome, Firdusi, “il paradisiaco” (940-1025), autore di uno dei maggiori poemi epici della letteratura universale, lo “Shah nameh”,il  Libro dei Re. Il libro ripercorre la storia iraniana dalle origini fino all’impero sassanide, intrecciando miti e leggende con i fatti della storia, in un perenne scontro tra il bene ed il male, retaggio questo della tradizione zoroastriana, che era ancora viva; l’importanza del libro risiede anche nella lingua in cui è scritto, un persiano rivisto con l’adozione anche di parole arabe e dei caratteri di scrittura arabi, il neo-persiano cui Firdusi conferisce dignità letteraria; Firdusi è il vero artefice della lingua neo persiana, un po' come Dante per l’italiano o Lutero per il tedesco; dopo di lui tutti i testi letterari e poetici scritti in questa parte del mondo saranno in persiano (le Mille e una notte erano in arabo) , mentre l’arabo resterà la lingua di scienziati ed eruditi.

L’altro personaggio, assai più noto anche agli occidentali, nasce nel 980 d.c. a Bukhara, oggi città dell’Uzbekistan, si chiamava Abu Alì Ibn Sina, per noi Avicenna. Nei suoi 57 , anni di vita, Avicenna svolse un’attività incredibile; a soli dieci anni conosceva a memoria il Corano, in gioventù fino ai 18/20 anni  studiò gli antichi testi dalla metafisica di Aristotele (letta ben quaranta volte), a Ippocrate a Galeno, nelle versioni arabe disponibili, svolse per molti anni anche funzioni politiche, ricoprendo la carica di Gran Visir nei principati di Hamadan e Isfahan, dove passò gran parte della sua esistenza, teneva lezioni per i suoi allievi, svolgeva ricerca medica. Avicenna ci ha lasciato quasi centosettanta testi di filosofia, matematica, medicina, astronomia, più composizioni poetiche, ma la sua fama è soprattutto legata alla medicina; Avicenna integra la tradizione classica, greca e latina, Galeno soprattutto, con elementi della scuola medica persiana e delle dottrine ayurvediche indiane e con i risultati delle sue ricerche e sperimentazioni; Avicenna è il primo a dichiarare la contagiosità della tubercolosi, è il primo ad ipotizzare che la diffusione di determinate malattie sia dovuta ad agenti patogeni, presenti nell’aria o nell’acqua (gli mancava il microscopio per confermare le sue teorie!!), è il primo ad intuire il nesso strettissimo tra patologie fisiche e psichiche, è stato quindi il precursore delle teorie psicosomatiche; comprese anche che l’origine di diversi disturbi potesse derivare da ciò che è rimosso o nascosto nella nostra psiche, anticipando Freud di molti secoli.

Il suo Qanun fit-tibb, in latino Canon medicinae, divenne l’opera scientifica più famosa di tutto il medioevo; essendo redatto in arabo, lingua degli scienziati e degli eruditi, ebbe una diffusione fulminea in tutto l’Islam, giungendo fino in Spagna, a Cordoba, dove studenti cristiani lo tradussero in latino; il Canone divenne il testo di studio delle università di tutta Europa. Solo nel XVI secolo, col Paracelso, la cultura medica occidentale superò Avicenna. Da non trascurare anche il suo lavoro in campo filosofico; il suo commento all’opera di Aristotele divenne il punto di riferimento per tutti gli studiosi contemporanei e tramite il suo discepolo spagnolo, Averroè, influenzò tutto il pensiero dell’epoca; entrambi introducono la distinzione tra essere ed esistere, entrambi adattano criticamente il pensiero aristotelico alla dottrina islamica.

Secondo Dante, Avicenna e Averroè sono gli unici musulmani adatti a sedere “nella filosofica famiglia”.

 

                                          Il fiume Tigri a Baghdad

(Continua)

 

Inserito il:03/06/2022 11:56:53
Ultimo aggiornamento:18/06/2022 19:12:16
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