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Pubblichiamo abstract, introduzione e primo capitolo della tesi redatta da Anna Maria Pacilli per un Master di alta formazione in clinica dei disturbi alimentari da lei recentemente concluso. Seguiranno a breve altre due parti.
Alessitimia e Disturbi Alimentari: possibili correlazioni (1)
di Anna Maria Pacilli
La TSA come strumento di indagine della disregolazione affettiva: valutazione di un campione di pazienti affetti da Disturbi Alimentari in ASLCN1
Abstract
Lo scopo di questa ricerca che ha avuto inizio a febbraio del corrente anno ed è tuttora in fieri, e che ha tratto spunto da evidenze che confermano la correlazione tra Alessitimia e vari tratti psicologici fondamentali dei disturbi alimentari (DAN), è stato quello di misurare e quantificare il costrutto dell’alessitimia in questi pazienti mediante l’applicazione di un’intervista semi-strutturata, la Toronto Alexithymia Scale -20 (TAS-20).
Essa è composta da 20 items divisi per le quattro dimensioni del costrutto:
1. difficoltà nell’identificare i sentimenti,
2. difficoltà nel descrivere i sentimenti,
3. pensiero orientato all’esterno e
4. processi immaginativi.
L’utilità di questa intervista consente di andare oltre il problema degli strumenti utilizzati in precedenza per misurare l’alessitimia che si basavano su ciò che il soggetto stesso riferiva dei propri stati interni, e che rappresenta il limite deficitario in questi casi.
Il passo ancora successivo dello studio sarà quello di sottoporre, a distanza di un periodo di tempo definito, lo stesso campione di soggetti alla Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA), che rappresenta lo strumento gold standard per la misurazione del costrutto dell’alessitimia, strumento nato dalle riflessioni teoriche e dalla ricerca di Taylor e Bagby. Questa intervista risponde alla esigenza di uno strumento applicabile alla ricerca e alla clinica, capace di rilevare e misurare accuratamente i principali indicatori dell’alessitimia riducendo ampiamente il rischio di incorrere in potenziali bias e distorsioni legati all’ utilizzo degli strumenti di automisurazione.
Lo studio di tesi rappresenta un’estrapolazione del campione di utenti affetti da DAN che afferiscono al Centro di II Livello di Cuneo.
Alla fine della tesi è illustrato un caso clinico in carico al servizio e che è stato sottoposto allo strumento di indagine.
Introduzione
Il termine Alessitimia, alexithymia (mutuato dal greco, a, mancanza; lexis, parola, thymos, emozione o assenza di parole per le emozioni) venne coniato da Sifneos (Sifneos et al. 1967) per indicare un disturbo delle funzioni affettive e simboliche che spesso rende sterile lo stile comunicativo dei pazienti affetti da patologie psicosomatiche.
L'alessitimia è attualmente concettualizzata come una dimensione clinica transdiagnostica, che caratterizza non solo quadri psicopatologici specifici, ma anche vari quadri non necessariamente patologici.
Inoltre, coloro i quali non riescono a riconoscere ed esprimere le proprie emozioni sono soggetti maggiormente vulnerabili nel loro benessere fisico e psichico (Carretti, La Barbera, 2005).
La dimensione clinica dell'alessitimia trae origine, inizialmente, da osservazioni effettuate su pazienti affetti da patologie psicosomatiche e caratterizzati, secondo gli studi di MacLean (1949) e Ruesch (1948) dall’ incapacità a verbalizzare le proprie emozioni e da un pensiero tendente alla passività e alla imitazione.
Altri studiosi come Marty e de M'Uzan (1963) hanno considerato alcune caratteristiche di questi soggetti come tipiche di una personalità psicosomatica, che presenta dei deficit nella sua organizzazione.
Il loro stile cognitivo veniva definito come “pensée opératoire” (pensiero operatorio), privo di immaginazione e troppo aderente alla realtà.
Le evidenze cliniche sui pazienti psicosomatici mostravano che per questi pazienti era impossibile elaborare emozioni dolorose a livello cosciente, e questo li portava ad esprimerle immediatamente a livello corporeo, con conseguenti disfunzioni organiche.
Mac Lean aveva elaborato la teoria del “cervello tripartito”, che, pur essendo considerata alla luce dei risultati sperimentali forniti dalle neuroscienze non sufficiente a spiegare il funzionamento mentale normale e patologico, viene ancora utilizzata per descrivere lo sviluppo individuale in chiave evoluzionistica (in: Cozolino, 2006; Liotti, 2001; Veglia, 1999).
Secondo le definizioni più attuali, il costrutto dell’alessitimia rappresenta un insieme di deficit che riguardano la perdita della capacità di elaborare le emozioni da un punto di vista cognitivo/esperenziale e comprende quattro caratteristiche collegate tra loro e che sono (Neumann et al., 2004):
1. la difficoltà di identificare e descrivere le emozioni;
2. l’incapacità di collegare la manifestazione emozionale con specifiche situazioni;
3. la difficoltà nel distinguere fra stati emotivi soggettivi e componenti somatiche dell’attivazione emotiva, per cui le emozioni vengono espresse preminentemente attraverso la componente fisiologica;
4. Questo comporta, in chi ne è affetto, un’attività fantasmatica limitata, e uno stile comunicativo incolore, rappresentato, per esempio, dalla tendenza a fornire descrizioni anche dettagliate di eventi stressanti e dolorosi senza associarvi, però, alcuna coloritura emozionale o alcun riferimento ai vissuti soggettivi provati.
Sifneos notava che i pazienti alessitimici affermavano di essere generalmente ansiosi o depressi ma non riuscivano a descrivere nel dettaglio il proprio stato emotivo, rimanendo nella terminologia generale di: tensione, agitazione o senso di disagio.
In un’ottica cognitiva si osserva la tendenza ad amplificare le componenti somatiche e una predisposizione all’agire per scaricare le tensioni interne spiacevoli.
Lo stile cognitivo di questi pazienti è orientato all’esterno e legato allo stimolo che si manifesta attraverso un pensiero razionale, concentrato sui dettagli della realtà concreta, ma privo di partecipazione emotiva.
Capitolo 1 - I Disturbi alimentari e la mancanza di parole per le emozioni
I disturbi dell’alimentazione possono essere concettualizzati come disturbi dell’autoregolazione degli affetti.
I pazienti che ne soffrono mostrano grosse difficoltà nel percepire o nell’interpretare cognitivamente stimoli corporei come fame-sazietà e fatica-debolezza, mentre sperimentano le emozioni in maniera assolutamente singolare, risultando incapaci di descriverle e presentando una disconnessione tra componente fisiologica e “sentimentale” dell’emozione, proprio come avviene negli individui alessitimici.
La mancanza di consapevolezza circa le esperienze interne e l’incapacità di affidarsi ai sentimenti e alle sensazioni corporee per guidare il comportamento contribuiscono alla sensazione di inefficacia che spesso i pazienti sperimentano.
Secondo la prospettiva cognitiva si possono correlare i disturbi alimentari, in particolare anoressia e bulimia, con un’eccessiva preoccupazione verso il controllo, la perfezione e l’autostima e il costrutto dell’alessitimia come il non riuscire a tollerare gli stati d’animo che ne derivano.
Il controllo, spesso associato al rimuginio che implica un mantenimento e un continuo ritornare con la mente ai pensieri negativi disadattivi, possono essere definiti atteggiamenti psicologici riconducibili sia alla preoccupazione verso il cibo che verso le forme corporee. Essi contribuiscono non solo a sviluppare il disturbo alimentare ma anche a mantenerlo nel tempo.
Sassaroli (Sassaroli et al, 2005) ha dimostrato come l’associazione tra il rimuginio e i disturbi alimentari sia spesso mediata dall’insoddisfazione corporea e che il rimuginio, in particolare, svolga un ruolo fondamentale nel mantenimento dei disturbi alimentari.
Il perfezionismo, tipico di questi disturbi, si caratterizza per fattori sociali e personali e può essere adattivo e disadattivo. Quando è disadattivo, diventa ansia per la prestazione (Pratt, 2011) oppure preoccupazione per errori commessi, che vengono interpretati, anche se banali, come un vero e proprio fallimento (Halmi, 2000). L’autostima delle pazienti si esprime sempre con un’opinione negativa di sé e delle proprie capacità e non è influenzata dal risultato ottenuto nella performance. Infatti, se il fallimento è vissuto come irrimediabile, i risultati positivi in una “performance” non sono riconosciuti come derivanti da un loro merito ma da fattori esterni.
L’alessitimia si esprimerebbe con l’incapacità di tollerare stati emozionali intensi specialmente legati a rabbia, ansia o tristezza (Fairburn, Cooper, Shafran, 2003).
Il tema del controllo si collega tanto alla capacità di autoregolazione di stati interni, quanto ad influenzare eventi esterni.
Il controllo sul cibo è direttamente legato all’impulso alla magrezza e alla convinzione assoluta che i soggetti hanno che la restrizione alimentare completa renderebbe la vita più gestibile e controllabile (Sassaroli, Ruggiero, 2010).
La perdita di controllo, invece, anche non reale ma solo percepita come possibile, può condurre a condotte di evitamento o al desiderio di accrescere ulteriormente il controllo fino alla compulsione ossessiva a riguadagnarlo: il desiderio di controllo, infatti, è una variabile correlata non solo all’ansia ma anche all’ossessività (Sassaroli, Ruggiero, 2002).
Le persone anoressiche gestiscono tale capacità di controllo meglio di quelle bulimiche, le quali, cedendo alle abbuffate caratteristiche della patologia, sperimentano ancor più il timore di un danno derivato dall’aver perso il controllo.
Carano (2006) sostiene che nei soggetti con alessitimia e disturbi alimentari, la difficoltà ad operare una distinzione tra stati emotivi e sensazioni corporee porta a dispercezioni dell’immagine corporea che possono compromettere la costruzione di un’identità stabile ed unitaria. L’alessitimia, in realtà, non è direttamente correlata all’abbuffarsi, al disturbo dell’immagine corporea o ad una ricerca ossessiva della magrezza, ma esistono più studi che hanno correlato il costrutto a vari tratti psicologici fondamentali dei disturbi alimentari come la confusione enterocettiva, il senso di incapacità, l’alterata percezione della fame, che rappresenta la più vasta difficoltà nel distinguere stimoli interni ed esterni, emozioni e sensazioni.
Inoltre, sembra che l’alto tasso di ricaduta dei pazienti con disturbi alimentari sia da porre in relazione con la presenza di tratti alessitimici e con il deficit di regolazione degli affetti.
Studi hanno evidenziato che l’alessitimia è presente nei pazienti con disturbi alimentari in misura maggiore rispetto ai controlli (Bourke e Taylor, 1992; Schmit, 1993); in particolar modo il livello di alessitimia misurato alla TAS - 20 risulta maggiore nelle pazienti anoressiche rispetto a quelle affette da bulimia nervosa (Schmit, 1993; Gilboa- Schechtman e Avnon, 2006).
Questo è anche quello che abbiamo rilevato nel nostro campione di pazienti.
Altri studi ritengono che l’alessitimia sia un tratto stabile sia in pazienti anoressiche che in pazienti bulimiche; in particolare le pazienti anoressiche sembrano essere emotivamente non consapevoli (Casper, 1990) mentre le bulimiche hanno difficoltà nella regolazione delle emozioni (Schmit, 1993).
Inoltre, il tratto alessitimico non risponde al trattamento farmacologico (Schmit, 1993).
È evidente che non esista un trattamento farmacologico specifico per l’alessitimia ma, anche allorquando la sintomatologia alimentare pare regredire con l’utilizzo di alcuni farmaci, l’alessitimia permane invariata e questo troverebbe spiegazione nella sua “indipendenza” dalla patologia.
Hayaky (2002) ha evidenziato che:
• L’espressione emozionale è inversamente correlata con la sintomatologia del disturbo alimentare
• Una espressione emozionale povera predice l’insoddisfazione corporea
• Pazienti con disturbi alimentari inibiscono l’espressione delle emozioni che percepiscono minacciose, come, ad esempio, la rabbia
In realtà il comportamento alimentare disfunzionale potrebbe essere considerato un meccanismo di difesa nella gestione degli affetti negativi.
I modelli teorici ne sottolineano il ruolo nel distrarre dalle convinzioni negative su di sé e dallo stress emozionale (Cooper, Wells & Todd, 2004; Fairburn, 2003): l’abbuffata o la restrizione sono regolatori emozionali per dissociare, bloccare o sfuggire ad emozioni dolorose che non possono essere tollerate (Heatherton, Baumeister, 1991) o per alleviare emozioni avvertite come non gestibili o nocive.
Le emozioni negative costituiscono un rilevante fattore di mantenimento del disturbo (Fairburn, 2003).
Le emozioni in primis correlate ai disturbi alimentari in particolare anoressia e bulimia sono:
• Rabbia, l’emozione più difficile da accettare ed esprimere, in quanto considerata imprevedibile e incontrollabile. Alti livelli di rabbia si associano a convinzioni disfunzionali su di sé e ad una inibizione dell’emozione.
• Orgoglio, che spesso si associa al comportamento alimentare restrittivo e viene utilizzato per difendersi dalla emozione della vergogna.
• Paura, espressa sia a livello fisico (paura di ingrassare) che a livello psicologico.
• Disgusto, che è correlato anzitutto con la paura dell’ingestione di cibo e con il sentimento della vergogna del corpo, timore di non controllarsi e di avere un disturbo.
• Vergogna. Essa è una vergogna del proprio corpo ma anche delle emozioni che si esperiscono. Il senso di vergogna non si risolve completamente nemmeno dopo il miglioramento della sintomatologia (Swan , Andrews , 2003) e questo fa ipotizzare il ruolo come fattore di mantenimento del disturbo e di resistenza al cambiamento.
In questi pazienti si instaurano cicli emozionali autoperpetuantisi ‘vergogna-vergogna’, soprattutto evidenti nelle forme bulimiche, correlati alla paura di essere scoperti dagli altri o cicli ‘vergogna-orgoglio’, più tipici delle pazienti con comportamento restrittivo.
1.1 La scala di valutazione
Nel 1985, il gruppo di Toronto (Taylor, Bagby e Parker), ideò e pubblicò la Toronto Alexithimia Scale (TAS), la prima scala empiricamente validata per l’assessment del costrutto alessitimico.
La scala inizialmente era stata formulata in una versione a 26 item (Taylor, 1985) e dieci anni dopo fu rivista in 20 items (TAS-20).
La TAS-20 continua ad essere la scala psicometrica più usata per la misura dell’alessitimia essendo utilizzata in più del 90% dei lavori scientifici che trattano l’argomento.
Il questionario di 20 item ha 3 scale fattoriali:
DIF ( Difficulty Identify Feelings ): difficoltà ad identificare i sentimenti e a distinguere tra sentimenti e sensazioni fisiche .
DDF ( Difficulty Describing Feelings ): difficoltà nel descrivere i propri sentimenti agli altri.
EOT ( Externally -Oriented Thinking ) : stile cognitivo orientato verso la realtà esterna.
La TAS -20 non include il fattore di valutazione della ridotta capacità di fantasticare che sarebbe integrata nel fattore EOT.
Il punteggio dei risultati derivanti dalla somministrazione della TAS-20 va da 20 a 100 con una valutazione confermata di “diagnosi” di alessitimia per valori da 60 ( cut-off) o superiori a 60, mentre per valori da 51 o inferiori non viene riscontrato alcun quadro alessitimico.
La TAS-20 è stata ritenuta attendibile e con validità fattoriale in varie culture, consentendo alla ricerca di avere un unico strumento di valutazione.
La TAS-20 con i suoi items, è riportata nell’ Allegato 1 alla tesi.
Successivamente, il gruppo di Toronto ha costruito un’intervista semi-strutturata, la Toronto Structured Interview for Alexithymia (TSIA) (Bagby et al., 2006), recentemente standardizzata anche in lingua tedesca e italiana e composta da 24 item divisi per le quattro dimensioni del costrutto – difficoltà nell’identificare i sentimenti, difficoltà nel descrivere i sentimenti, pensiero orientato all’esterno, processi immaginativi.
L’intervista semi-strutturata in questo senso va ancora più avanti rispetto al problema degli strumenti usati per misurare l’alessitimia che si basavano su ciò che il soggetto stesso riferiva a proposito dei propri stati interni, che rappresenta, però, proprio il deficit in questi casi (Porcelli e Todarello, 2005).
La TSIA-20 è riportata nell’Allegato 2 alla tesi.
Molti studi sulla correlazione tra alessitimia e disturbi alimentari si sono focalizzati sul problema del riconoscimento delle espressioni facciali, che risulta deficitario. Infatti, le pazienti, di fronte ad espressioni facciali sperimentano l’ incapacità di comprendere le emozioni ed attuano strategie per evitare di empatizzare (Smith e Amner, 1997); in particolare, coloro che soffrono di anoressia nervosa hanno difficoltà nel riconoscere le emozioni dall’espressione facciale e dal tono di voce, con una conseguente povertà di comunicazione ed una scarsa o nulla empatia (Kucharska Pietura, 2004); secondo Legenbauer e Vocks (2008), più che problemi percettivi nel riconoscimento delle emozioni di base pare esservi un problema di consapevolezza emotiva, che suggerisce un disturbo cognitivo-affettivo nel riconoscimento delle stesse.