Antonino Puliafico (Furnari, ME, 1969 - Verona) - Giochi di Sabbia
Il Gioco della Sabbia - Parte prima
di Iolanda Stocchi
La Pazienza dello Sguardo, l’Immaginazione e il Gioco della Sabbia.
Perché un libro sul Gioco della Sabbia con i bambini? Perché tutti noi, in qualche modo, ci portiamo dentro un bambino che è stato ferito per non avere incontrato lo sguardo giusto che gli ha permesso di esistere.
Questa ricerca nasce dal desiderio di far conoscere il Gioco della Sabbia — una pratica terapeutica junghiana che si fonda sulla funzione di autoguarigione dell’inconscio attraverso la produzione di immagini e il ruolo creativo delle mani — e la sua importanza terapeutica sia con i bambini, sia con gli adulti.
Il mio approccio al Gioco della Sabbia si avvale di molteplici sguardi e letture, non solo psicologiche, che aiuteranno ad avvicinarlo anche ai non addetti ai lavori e a vederne anche la sua grande attualità - in un tempo come il nostro dominato sia dall’ipertrofia della parola sia da immagini idolo o, al lato opposto, immagini spazzatura – perché rimette al centro le immagini interiori e lo sguardo necessario per poterle vedere.
La questione dello Sguardo è oggi infatti di grande rilevanza, non solo nell’ambito psicoanalitico, ma più in generale in quello antropologico e culturale. Penso che la dimensione del vedere sia molto vicina a quella del sognare. Guardare è sognare?
Jung disse: “Tutto ciò di cui siamo consapevoli è un’immagine, e l’immagine è psiche”. Ho cercato, come ha detto Jung, di “restare dentro l’immagine”. L’immagine anticipa e trova soluzioni. L’immagine consente a quello che è stato di unirsi con il presente e di anticipare il futuro: è futuro anteriore. L’immaginazione è il processo e il contenitore. Credo profondamente nel valore terapeutico del gioco e dell’immaginazione e dello sguardo che può facilitare queste dimensioni. In questo mio lavoro di ricerca, gioco e pazienza dello sguardo hanno un legame intimo. Jung stesso, in momenti difficili della sua vita, ha cercato di oggettivare le sue immagini personali, dipingendo, scolpendo, giocando con la materia. Non possiamo non vedere un rapporto stretto tra questo e l’alchimia, tanto cara a Jung: la tradizione alchemica come espressione storica del rapporto tra immaginazione e materia.
Qual è allora lo Sguardo adeguato per comprendere e ri-velare quella misteriosa necessità della psiche di oggettivarsi nei sogni, nelle immagini, nell’arte?
Come terapeuta mi interessa comprendere qual è lo Sguardo che cura. Credo che abbiamo necessità di una Pazienza dello Sguardo.
Come diventare allora consapevoli del nostro Sguardo?
Ci sono sguardi che ci disintegrano, che mandano in pezzi, sguardi che pietrificano come quello di Medusa, sguardi che ci fanno sentire Fantozzi.
Cosa vedo allora quando guardo? Cosa so di ciò che vedo?
Quello che vediamo dipende anche da quello che abbiamo dentro. Il nostro modo di vedere le cose è influenzato da ciò che sappiamo o crediamo. Bisogna che impariamo a guardare cosa è figura e cosa è sfondo. Ed è anche importante comprendere con quale sguardo sto guardando, e cosa sto cercando di vedere. Lo sguardo del pittore o quello del geografo?
Anche le macchine medicali hanno occhi per vedere cose diverse: i raggi X vedono le strutture, le ossa; le ecografie rivelano i tessuti, muscoli e organi; l’eco-colordopler il calore e i fluidi.
A partire dalla mia esperienza clinica con i bambini e gli adulti – ho potuto toccare con mano che queste dimensioni espressive sono oggi profondamente in crisi.
Infatti, a mio parere, l’immaginazione oggi è malata e questo è pericoloso perché ci rende meno liberi e meno umani.
Viviamo in un tempo, come dice Calvino, “in cui si sta verificando la perdita di una facoltà umana fondamentale: il potere di mettere a fuoco visioni a occhi chiusi, di pensare per immagini.”
Ho sentito l’urgenza di scrivere sul valore di questa facoltà umana che sta all’origine del nostro essere umani, e che sta a fondamento della mia pratica clinica.
Le immagini interiori per formarsi chiedono tempo, spazio ed ascolto. Gli stimoli visivi che provengono dai dispositivi tecnologici stanno invece invadendo la vita dei nostri bambini, agendo in profondità su quell’equilibrio tra mondo interno ed esterno che si forma proprio nell’infanzia. Possiamo sperimentare quotidianamente il mancato rapporto con il proprio mondo interiore quando i bambini dicono che si annoiano e, ad esempio, non sanno cosa fare se non hanno in mano una di queste scatole magiche. Il mancato rapporto con il proprio mondo interno viene percepito come senso di vuoto. Una sorta di pifferaio magico sta rubando l’infanzia.
Come curare tutto ciò? Giocando. immaginando. Favorendo la crescita di quello spazio “transizionale”, coltivando l’immaginazione come organo di senso e di percezione.
Come dice Hillman “siamo tutti pazienti della immaginazione”. E come diceva una mia giovane paziente “l’immaginazione è come il sistema immunitario”.
Il libro è rivolto non solo ai colleghi e agli specialisti del gioco della Sabbia, ma anche ai genitori e agli educatori, e a tutti coloro che hanno a cuore le immagini e l’immaginazione.