ChaosCake (Germany, Deviantart) - Depression
La Psiche e la sua collocazione ai tempi odierni
di Anna Maria Pacilli
In questi giorni mi tornano spesso alla memoria le parole del Prof. Filippo Maria Ferro, mio Direttore della Cattedra di Psichiatria presso l’Università di Chieti, il quale sosteneva come la Psichiatria fosse sempre stata collocata ai margini delle discipline mediche, un pò come Cenerentola dell’omonima fiaba. La sua introduzione, come reparto clinico, nell’ambito degli ospedali generali è sempre avvenuta in ritardo rispetto ad altri reparti e con molte lotte e fatiche. La cura dei malati psichici era relegata più alla loro custodia, perchè pericolosi socialmente, che ad una cura vera e propria tesa al miglioramento delle condizioni psicopatologiche.
Eppure non possiamo disconoscere che il benessere complessivo di un individuo sia compreso nell’aggettivo multicomposto “biopsicosociale”: corpo e psiche non viaggiano su due binari separati e neppure paralleli bensì intersecantisi, o, meglio, appare necessaria la cura dell’uno e la cura dell’altra: non a caso le cosiddette malattie psicosomatiche denotano una compromissione sia fisica che psicologica, che si intrecciano. Il tutto immerso nelle relazioni sociali. Già Aristotele sosteneva che l’uomo è un animale sociale, non può vivere senza relazionarsi con i suoi simili, nel bene e nel male. Questa introduzione perchè nei tempi odierni, quelli dell’infezione da Coronavirus Covid-19, ci troviamo a vivere in un clima di distanziamento dalle relazioni sociali. Dagli inizi di Marzo, quando fu annunciata l’epidemia, uscendo di casa, si “incontravano” persone ( poche) che si aggiravano con aria circospetta, avvinte dal timore di toccarsi, incontrarsi, con occhi spesso allucinati, Parlo al passato non perchè l’epidemia sia passata e noi ora siamo liberi di girare tranquillamente, ma perchè a distanza di quasi due mesi, chi incontro mi pare essersi assuefatto ad un clima del genere: ora è diventata per lo più una consuetudine indossare la mascherina, una sorta di parte integrante del nostro viso, la distanza fisica di un metro è più viene solitamente rispettata. Insomma ci abbiamo fatto un pò l’abitudine. Questo ha sicuramente il risvolto positivo di evitare il propagarsi dell’infezione, che, assieme a più attente norme igieniche, è l’unica cosa che da cittadini potessimo fare.
Precauzione giustissima, su cui non si discute. Come giustissimo evitare gli assembramenti di persone ed è comprensibile anche da parte mia, che virologa non sono. Ma, da psichiatra, mi sorge il dubbio che questo atteggiamento di distanziamento che adottiamo ora, forse, e spero di sbagliarmi, non lo perderemo molto facilmente a pandemia finita, anche perchè ci è stato detto che il virus ha mietuto molte vittime ( soprattutto contagi) in quanto, da buon parassita, ha cercato e sta cercando in noi un ospite di cui “nutrirsi”. Quando si sarà assestato ( se ci sarà immunità, perchè ci è stato anche detto che immunità potrebbe non esserci mai), abbasserà la sua carica virale. Ecco, mi preme, ripeto, anche se non ho competenze virologiche, ma sono un medico che si informa da fonti attendibili, sottolineare che non è tanto importante la presenza del virus: particelle del virus potrebbero depositarsi ovunque: quella che determina l’infezione vera e propria e, purtroppo, la massiccia reazione immunitaria delle nostre difese, è la quantità di virus, la carica virale, in definitiva. Eppure ci è stata vietata anche una passeggiata da soli, all’aria aperta. Non è questa la sede per fare polemiche sulle misure adottate, sicuramente non eravamo preparati ad una pandemia, oppure chi avrebbe potuto quantomeno intuirla, l’ha sottovalutata, considerandola all’inizio una banale influenza. D’altronde, è anche vero che si tratta di un virus a noi sconosciuto prima d’ora. Qui vorrei porre l’accento sul nostro aspetto psicologico, dopo aver accennato a quello sociale.
In un clima come quello che stiamo vivendo a me pare che i vissuti della nostra psiche non siano stati affatto considerati, ma da psichiatra credo che sia importante ora, per non riuscire a fare fronte poi ad altri tipi di pandemie ma, queste, sul versante psicologico, un atteggiamento di prevenzione primaria. In tutte le regioni d’Italia sono stati attivati centri di ascolto, se non in videoconferenza, almeno telefonici, perchè ognuno trovi il suo spazio per parlare delle sue paure, in un clima di condivisione del disagio che non è solo il proprio ma può essere un elemento che ci accomuna.
Videochiamate sono disponibili attraverso vari mezzi di comunicazione per chi è già in carico ai servizi di salute mentale ed è sicuramente più semplice per noi controllare l’andamento della salute psichica, laddove non sia possibile farlo di persona.
Ma mi pare importante diffondere la consapevolezza della possibilità di accesso, e lancio questo messaggio anche attraverso il mio blog, a chiunque, perchè una paura ora giustificata, non diventi una fobia anche nel lungo termine e si continui ad individuare nel virus ( e nell’altro) un possibile persecutore. Questa pandemia ha determinato uno sconvolgimento non solo del singolo ma dell’intera società, Un clima di egocentrismo, con una sorta di rafforzamento di una cultura dell’Io: e lo si vede, in giro, o, almeno, a me è capitato di vedere, perchè la percentuale di mascherine di tipo “difensivo”, con o senza filtro, supera il numero di quelle chirurgiche, le mascherine “altruiste”, che non permettono di infettare l’altro. Sto parlando di gente comune, non di sanitari e, sono certa, in molti casi, di gente che non è affetta da reali problemi fisici da giustificarne l’uso a scopo precauzionale.
Poniamo, come specialisti che si occupano della psiche, molta più attenzione alle categorie più deboli, fragili psicologicamente, che hanno meno “resilienza”, un termine ormai diventato iperabusato, alla situazione attuale.
Queste categorie sono quelle a maggior rischio di suicidio, eventualità che non è molto remota.
Alla fine della pandemia ci sarà chi avrà perso il lavoro, chi non avrà abbastanza soldi per riaprire la sua attività, chi dovrà vendere a poco ciò che aveva a chi si approfitterà dei momenti di debolezza e bisogno altrui. Ovviamente non mi sto riferendo ad individui già in cura per problematiche psichiatriche che, pure, potrebbero subire un peggioramento del quadro psichico, ma anche a chi finora ha vissuto uno stato di perfetto equilibrio o, comunque, di una buona capacità di adattamento alle avversità della vita. Da questa pandemia potrebbero scaturire molte altre avversità.
Ecco perchè la risposta all’emergenza psicologica deve essere immediata, capillare, ed andare oltre le pratiche generali di salute mentale, seppure indispensabili in ogni tempo.
Esistono dati che dimostrano che i decessi per suicidio sono aumentati negli Stati Uniti durante la pandemia da influenza del 1918-1919 e tra gli anziani di Hong Kong durante l’epidemia da sindrome respiratoria acuta grave (SARS) del 2003. Il contesto attuale, purtroppo, è simile.
Il rischio di suicidio aumenta anche a causa dello stigma nei confronti di soggetti COVID-19 positivi e le loro famiglie, ed anche nell’ambito della stessa famiglia laddove il distanziamento sociale è diventato l’atteggiamento imperante.
L’isolamento sociale, “l’intrappolamento”, e la solitudine, contribuiscono all’aumento del rischio suicidario, in particolare per le persone che sono ancora alle prese con l’elaborazione di un lutto. Fornire supporto a coloro che vivono soli e fornire loro un aiuto facilmente accessibile è fondamentale.
Le persone con disturbi psichiatrici potrebbero sperimentare un peggioramento dei sintomi e altri potrebbero sviluppare nuovi problemi, come disturbi sul versante depressivo, uso di sostanze, come forma di autocura dell’ansia e stress post-traumatico, tutti problemi che favoriscono gli atteggiamenti autolesivi.
Non posso, in questo ambito, non fare cenno agli operatori sanitari, dei quali ho parlato già diffusamente in un altro articolo, e che si sono dovuti confrontare direttamente con la cura della malattia e con la morte dei loro assistiti, o con lo sperimentare su di sé i primi sintomi, peraltro all’inizio confondibilissimi con una banale influenza che, però, in questa infezione, se non adeguatamente trattati, possono portare dalla prima fase, quella dell’esordio, alla evoluzione alle fasi successive che poi richiedono il ricovero nei reparti di terapia intensiva. Oggi, per fortuna abbiamo conosciuto meglio l’infezione ed anche riusciamo a curarla in modo più adeguato.
Non è neppure trascurabile, a proposito del rischio suicidario, l’elemento che in questo lockdown, alcuni mezzi potenzialmente letali come armi da taglio, disinfettati, candeggina e analgesici, potrebbero essere più facilmente alla portata di chiunque, perché accumulati in casa.
Non da ultimo, i resoconti spesso dettagliati da parte dei media sul suicidio possono portare a picchi di suicidio, perchè, se da un lato fornire notizie è corretto, dall’altro, l’esposizione ripetuta e dettagliata a morti, dolore e ospedali può aumentare la paura, incrementare l’emulazione, e quindi il rischio di suicidio.
Ma sono a nostra disposizione prove basate sull’evidenza scientifica in questo ambito, che possono fornirci un valido aiuto nella prevenzione del suicidio.
Non dimentichiamo, inoltre, che a differenza della incertezza rispetto all’immunità alla infezione da Covid-19, che potrebbe esserci oppure no a livello immunoglobulinico, a livello psicologico l’immunità da un disagio psicologico non è garantita per nessuno di noi.
Riferimenti bibliografici
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O’Connor RC, Kirtley OJ. The integrated motivational-volitional model of suicidal behaviour. Philos Trans R Soc Lond B Biol Sci 2018; 373: 20170268.
Niederkrotenthaler T, Braun M, Pirkis J, et al. Association between suicide reporting in the media and suicide: systematic review and meta-analysis. BMJ 2020; 368: m575.
World Health Organization. Preventing suicide: a resource for media professionals. Update 2017.