Aggiornato al 08/09/2024

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Voltaire

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Alessitimia e Disturbi Alimentari: possibili correlazioni (3)

 

di Anna Maria Pacilli

 

La TSA come strumento di indagine della disregolazione affettiva: valutazione di un campione di pazienti affetti da Disturbi Alimentari in ASLCN1

 

(Seguito)

 

Capitolo 3 - Il ruolo della famiglia

 

Analizzando le famiglie di soggetti che soffrono di un disturbo alimentare si è visto come frequentemente, almeno uno dei due genitori, abbia dei tratti alessitimici e un basso livello di empatia (Guttman e Laporte, 2002).

Uno studio recente (Balottin, Bomba, Nacinovich, 2014) ha coinvolto un gruppo di 46 soggetti, pazienti anoressiche (13-17 anni) e relativi genitori, ai quali è stato somministrato il questionario TAS-20 che ha mostrato elevati livelli alessitimici nei genitori di pazienti anoressiche.

Questi studi hanno evidenziato come il senso di preoccupazione per le condizioni delle figlie possa avere portato i genitori a mettere in atto strategie difensive durante lo svolgimento del questionario, unite all’ansia provocata dal timore di non rispondere correttamente alle domande, nonostante fossero stati rassicurati che non esisteva una risposta “giusta” o “sbagliata”; gli alti livelli di distress, ansia e affettività negativa possono portare, quindi, all’emergere di elevati valori di alessitimia nel questionario.

In questi studi, inoltre, i livelli di alessitimia nella famiglia erano degni di nota, in particolare l’indice alessitimico identificato con la TSIA era significativamente più elevato di quello emerso con la TAS-20; questa netta differenza tra i due strumenti sembra essere riconducibile alle risposte fornite dai padri che non erano in grado di identificare le loro difficoltà emotive e quindi non fornivano risposte al questionario autosomministrato effettivamente vere; inoltre sembra che l’affettività negativa mostrata dalle figlie e la tendenza all’ autodistruzione risultasse non tollerabile dai padri che mettevano in atto un ulteriore meccanismo di difesa che bloccava le emozioni, creando così un circolo vizioso e ostile nel rapporto con le figlie che avrebbero avuto, invece, bisogno di sentirsi libere di esprimere le emozioni e di poterle comunicare.

Questi studi hanno confermato l’importanza della figura paterna per le adolescenti anoressiche e per il loro processo di guarigione; la collaborazione da parte dei padri nel percorso di cura aumentava le possibilità di esito positivo della terapia, mentre, al contrario, la presenza di alessitimia e il conseguente scarso coinvolgimento, avevano un impatto negativo sulla possibilità di guarigione.

Le madri sembravano mostrare livelli inferiori di alessitimia specialmente se la valutazione avveniva tramite la TSIA con un gap del 70% rispetto ai risultati dei padri; paradossalmente, persino le figlie mostravano livelli di alessitimia inferiori ai padri se indagati tramite la stessa intervista.

È da dire come, però, la letteratura sottolinea l’importanza dell’alleanza terapeutica con l’intera famiglia e l’influenza che entrambi i genitori possono avere sulle pazienti piuttosto che considerare il singolo genitore, padre o madre che sia.

L’importanza di questo studio risiede, oltre all’interesse per la figura paterna e al suo ruolo nell’ alessitimia, nell’aver usato la TSIA, che sarebbe più sensibile e valida rispetto al questionario TSA.

Considerando una rassegna della letterature emerge, inotre, come le pazienti bulimiche riportano un ambiente familiare più disfunzionale nella gestione delle emozioni rispetto alle pazienti anoressiche (Fornari e WlodarczyK Bisaga,1999) e questo avrebbe un grosso impatto sulla loro psicopatologia. Inoltre, i genitori delle pazienti anoressiche sono più alessitimici di gruppi di controllo e le pazienti anoressiche sono più alessitimiche dei loro genitori (Guttman e Laporte, 2002).

 

Capitolo 4 - Caso clinico

 

Rossella è in carico al servizio scrivente da molti anni, con diagnosi di Anoressia Nervosa con condotte di eliminazione accompagnate da episodi autolesionistici e Disturbo borderline di personalità ( DSM 5 Tr).

R. ha 28 anni e vive ancora con i genitori, apparentemente non affetti da disturbi psichiatrici diagnosticati, ed ha due fratelli maggiori. Ha iniziato, e spesso interrotto, più percorsi universitari, iscrivendosi un paio di anni fa alla facoltà di scienze umane ma con scarso profitto, non sapendo se la porterà a termine.

Il suo stato psicopatologico si è caratterizzato sin dall’esordio, e nel corso del tempo, per fasi alterne di remissione e di riacutizzazione della sintomatologia, con la necessità di effettuare numerosi ricoveri ospedalieri in ambiente psichiatrico e in luoghi di cura specializzati per i disturbi della nutrizione e della alimentazione.

La complessità del quadro sintomatologico ha imposto, sin dall’esordio, la necessità di una presa in carico multidisciplinare ed interdisciplinare rivolta tanto al cercare una remissione sintomatologica del disturbo di personalità che la affligge, quanto alla patologia sul versante anoressico.

La paziente riferisce esordio di malattia a 12 anni in seguito ad insoddisfazione rispetto al proprio aspetto corporeo a partire da un lieve sovrappeso; il comportamento alimentare, in allora, era caratterizzato da restrizioni quantitative e selettività degli alimenti, restrizione che poi nel tempo si è associata, aggravandosi, a condotte eliminatorie del cibo. Oltre a restringere, attorno ai 20 anni compariva il vomito autoindotto con frequenza all’inizio limitata, e che via via si è intensificata fino ad aumentare, come ella ci riferisce, negli ultimi periodi, con calo ponderale e squilibrio idroelettrolitico.

Da lì sono iniziati più ricoveri in ambiente medico e psichiatrico, con solo temporaneo e parziale miglioramento della sintomatologia.

Parallelamente alle disfunzioni alimentari, erano presenti condotte autolesive, come “cutting” in più sedi corporee, ai quali la ragazza attribuiva significato liberatorio dalla propria angoscia esistenziale.

Da qui, in seguito ad una relativa stabilizzazione delle condizioni cliniche, intraprende un percorso comunitario, ma di breve durata.

Con il rientro a domicilio si registrano vari tentativi anticonservativi, con ricoveri presso il Reparto di Diagnosi e Cura, e l’inserimento in un gruppo appartamento. La sua permanenza anche qui, però, ha breve durata, con progressiva compromissione sia del quadro alimentare che di quello relativo agli istinti vitali, con grandi difficoltà ad elaborare strategie di coping funzionali.

In un periodo di relativo benessere, un paio di anni fa, Rossella riesce a portare avanti delle esperienze lavorative, scegliendo, però, invariabilmente, dei lavori che le permettessero di conservare una iperattività fisica.

A questo periodo di relativo miglioramento clinico, in cui le condotte “purging” non sono mai state del tutto assenti ma, a tratti, meno intense, è seguita una fase di peggioramento clinico, con timore di perdere il controllo sul cibo, a seguito di recupero ponderale, passando da 33,1 Kg e BMI 13,2 ad un BMI di 14 e nuovo ricovero presso il reparto di Diagnosi e Cura, a causa di un tentativo autolesivo piuttosto grave.

 

4.1 Discussione del quadro psicopatologico

 

Si tratta, di un caso “long standing” e “severe and enduring”, ossia con alle spalle molti anni di malattia.

La TAS-20 somministrata alla paziente ha evidenziato altissimi livelli di Alessitimia, con valori pari a 99, considerando le tre scale fattoriali.

 

Capitolo 5 – Conclusioni

 

Questo studio si è proposto di individuare le relazioni tra sintomatologia alimentare e l’assenza la presenza, in vario grado, di alessitimia nel gruppo selezionato di pazienti afferenti all’ASL CN1, Centro dei Disturbi della Nutrizione ed Alimentazione.

I dati emersi rappresentano degli importanti indicatori dell’importanza che il saper individuare e comunicare le proprie emozioni riveste nel proprio patrimonio emotivo e relazionale e quanto le difficoltà che i nostri pazienti incontrino in questo senso, rappresenti una penalizzazione nelle loro vite.

Il percorso riabilitativo che stiamo portando avanti nel nostro centro di Cuneo e che si effettua nelle ore pomeridiane del post prandium (nel centro è attiva la modalità dei pasti assistiti), ha anche lo scopo di fornire agli utenti la possibilità di costruirsi degli schemi emotivi che possano organizzare dei legami positivi tra gli elementi disfunzionali della sintomatologia alimentare e della capacità di gestione dello stress.

Quando parliamo di “disturbo alimentare” ci riferiamo a un quadro clinico che va al di là di un piano legato solo al corpo e al cibo, ma che racchiude deficit in vari ambiti, tra cui quello relazionale, del pensiero astratto, del funzionamento cognitivo e, appunto, della modalità di gestione degli eventi di vita.

Se consideriamo il dato che possono essere presenti una serie di eventi scatenanti che determinano l’insorgenza del disturbo stesso, è possibile guardare ad anoressia e bulimia come essi stessi dei meccanismi di difesa, o di “coping” da altri meccanismi disadattivi, anche più profondi.

Non rappresentava lo scopo dello studio, ma sarebbe interessante riflettere sulle relazioni causali esistenti tra queste variabili: sono le problematiche alessitimiche che generano il disturbo? Oppure l’alessitimia si svilupperebbe come un meccanismo di difesa conseguente all’ anoressia e bulimia? E, ancora, anoressia e bulimia possono essere considerate di per sé come strategie di coping?

Si tratta di domande alle quali non è possibile dare risposta basandosi sui nostri dati.

Uno dei limiti della ricerca è rappresentato dal numero limitato del campione, che impedisce di sviluppare analisi più approfondite che guardino alla relazione causale tra le variabili considerate.

Prospettiva futura, però, sulla base dei risultati già interessanti emersi da questo studio, potrebbe essere quella di aumentare il numero di soggetti coinvolti, al fine di raggiungere un numero abbastanza adeguato da poter condurre analisi più approfondite che entrino nel dettaglio delle relazioni tra disturbo alimentare, alessitimia e strategie di coping.

Questo potrebbe essere un modo per aumentare il livello di conoscenza sul tema delle problematiche alimentari, che risulta tanto complesso quanto diversificato nelle sue caratteristiche e nelle sue dinamiche psicopatologiche.

La conoscenza dei fattori che possono aver contribuito allo sviluppo e al mantenimento dei disturbi alimentari, rappresentano aspetti utili nella costruzione di un percorso terapeutico adeguato, sempre più centrato sulla persona e sulle sue caratteristiche individuali.

 

 

Inserito il:19/07/2024 10:51:27
Ultimo aggiornamento:19/07/2024 18:07:53
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