George Tooker (1920-2011) - Government Bureau - 1956
Progetto Giovani - Voci dall'Università
I modelli sanitari regionali a confronto con la riforma del ‘92
di Gabriele Micheletti
Nel corso degli anni in Italia si sono sviluppati modelli sanitari differenti. Prima di parlarne nello specifico è giusto spiegare come si sviluppa il Servizio Sanitario Nazionale prima del ’92 e di conseguenza anche tali modelli.
La legge 833 del 1978 istituisce il Servizio Sanitario Nazionale che, sostituendosi alla mutua, instaura un sistema fortemente decentrato a favore delle Regioni e delle Unità Sanitaria Locale (USL). Inoltre la legge stabilisce che il metodo remunerativo per le strutture ospedaliere private sono i DRG mentre per gli ospedali pubblici e le USL le forme di remunerazione sono definite dal bilancio pubblico.
Lo scopo del Servizio Sanitario Nazionale non è solo quello di garantire una copertura sanitaria universale ma anche di garantire una vera e propria revisione della struttura e del funzionamento dei servizi.
Proprio per raggiungere il suddetto scopo negli anni 90 vengono emanati 2 d.lgs. molto importanti, il d.lgs. 502/92 e il d.lgs. 517/93. Essi hanno come obiettivo il controllo della spesa sanitaria pubblica che deve essere raggiunto percorrendo simultaneamente due strade. La prima, che può essere considerata la più ovvia, riguarda l’approvazione di politiche pubbliche che limitino l’offerta sanitaria e introducano la compartecipazione alla spesa; la seconda riguarda le logiche di azione delle strutture sanitarie che devono permettere il raggiungimento di una maggiore efficienza e qualità nelle prestazioni.
Le riforme del ’92 e del ’93 hanno portato alla creazione delle Aziende Sanitarie Locali (ASL) e la creazione delle Aziende Ospedaliere (AO) che, a differenza delle USL, sono enti regionali dove i vertici sono nominati dalle regioni. Inoltre, ogni regione ha la facoltà di configurare l’offerta sanitaria potendo permettersi un elevato livello d’integrazione tra finanziamento e produzione all’interno delle Asl, come accadeva per le USL, oppure separare le due funzioni, attribuendo alle Asl quella di finanziamento e quella di produzione alle Aziende Ospedaliere.
In questo modo in Italia è possibile distinguere tre grandi modelli sanitari regionali caratterizzati da un maggior o minor grado d’integrazione:
1) Un modello che si basa sulla competizione tra le strutture sanitarie, in questo caso unico in Italia, ossia il modello Lombardo.
2) Un modello che si basa sulla cooperazione tra le strutture sanitarie, tipico delle Regioni del Centro-Nord e Nord-Est.
3) Un ultimo modello, anche un po’ residuale, tipico delle Regioni meridionali che si basa su meccanismi tradizionali burocratici di governo.
Per quanto riguarda il primo modello, quello Lombardo, si può affermare che il suo sviluppo inizia nel ’96 quando la Regione decide di separare gli acquirenti dai fornitori. Le Asl in questo caso svolgono la funzione di Programmazione, Acquisto e Controllo (PAC) mentre le Aziende Ospedaliere erogano le prestazioni sanitarie.
Sono state adottate queste scelte per poter permettere una maggior concorrenza tra le organizzazioni sanitarie pubbliche e private ed inoltre per garantire questa concorrenza non solo sono aumentati gli accreditamenti ma il modello si fonda sulla possibilità, da parte dei pazienti, di scegliere in quale struttura ci si può far curare.
La Regione però in seguito all’aumento degli accrediti a strutture private ha subito un aumento dei costi tale per cui ha dovuto sviluppare per primo, un sistema che si basa su tetti di spesa che si applica ai produttori, dove in caso di superamento si procede con decurtazioni alle remunerazioni, in seguito, a partire dal 2002, per essere più precisi, il sistema dei tetti di spesa viene abbandonato e si favoriscono gli accordi contrattuali tra le Asl e i produttori che prevedono lo stesso dei limiti sulla spesa.
Il secondo modello invece si basa su una cooperazione tra le organizzazioni sanitarie, non favorendo la competizione, a favore, invece, di politiche che permettono la creazione di una rete di servizi dove ogni struttura rappresenta un nodo, ossia un qualcosa di complementare.
La complementarietà permette così la non verifica di servizi “doppioni’’e di razionalizzare le risorse. Il principio di razionalizzazione, in questo caso, porta alla costituzione di poche Aziende Ospedaliere che hanno la caratteristica di essere molto specializzate. Una peculiarità di questo modello è il fatto che si divide a sua volta in due “sottomodelli’’. Il primo, adottato da regioni come Emilia-Romagna e Toscana, in cui la programmazione si basa su accordi contrattuali tra Aziende ospedaliere e privati accreditati e negoziazione con gli enti locali. Il secondo, tipico di regioni come il Veneto, adotta una programmazione che non si basa su accordi contrattuali ma definita dalla Regione stessa, definendo a sua volta i budget delle aziende ospedaliere.
Il terzo modello che abbiamo definito come residuale è tipico delle Regioni meridionali ed è stato definito in maniera tale perché oscilla per certi periodi di tempo verso la concorrenza e per altri verso l’integrazione.
In conclusione si può affermare che in Italia si ha la tendenza ad impostare un modello che favorisce la cooperazione e l’integrazione in ambito sanitario regionale; non per questo motivo si può affermare che la maggior parte delle Regioni italiane siano simili dato che il modello citato a sua volta si divide in 2 “sottomodelli’’. Di conseguenza il ruolo dell’ente intermedio, la Regione, è accresciuto parecchio dato che si deve occupare della spesa sanitaria cercando di contenerla il più possibile e cercando di razionalizzarla al massimo.