Cristian Marin (Bucarest, 1967 - West Sussex, UK) - Eating Disorder
DCA: Storia dei disturbi del comportamento alimentare - 1 -
di Camilla Accornero
L’articolo che segue non vuole risultare l’ennesimo trafiletto che propone numeri e statistiche sterili su quanto concerne l’ambito dei disturbi del comportamento alimentare. Non che questi dati non siano rilevanti ai fini di una presa di coscienza del problema che dilaga nella società contemporanea in maniera sempre più preoccupante, ma vi sono altre componenti che andrebbero sottoposte all’attenzione dei lettori. Ciononostante, per amor di chiarezza, ritengo sia opportuno fare alcune precisazioni di sorta per fugare eventuali dubbi e domande in merito al tema proposto.
Accenni storici sui disturbi alimentari
L’aspetto corporeo ha sempre avuto una notevole rilevanza psicologica in quanto rappresentativo del “meccanismo di separazione” tra la sfera intima di un individuo e l’ambiente esterno. L’alimentazione, nel corso del tempo, ha sorpassato la mera funzione nutritiva, incominciando a rivestire altri ruoli: sociali, di rafforzamento all’appartenenza a un gruppo (come accadeva nei sissizi spartani), o di rispetto verso le gerarchie sociali.
Tuttavia, l’interesse per i disturbi dell’alimentazione intesi come disturbi psicosomatici si diffonde solamente nella seconda metà del XX secolo, malgrado vi siano tracce di complicanze legate all’atto nutritivo in trattati medici di epoche precedenti. Si consideri ad esempio il IV libro dell’”Anabasi” dello scrittore e storico ateniese Senofonte, il quale parla di un fenomeno di fame irrefrenabile che colpiva i soldati e che gli esperti chiamavano “bulimia”, sebbene, per come veniva intesa all’epoca, fosse più assimilabile all’odierno binge eating desorder; o Seneca, il quale, nello scritto “Consolatio ad Marciam”, giudica inopportune le bizzarrie alimentari dei patrizi durante i banchetti, descritte come una sequenza di abbuffate, atti eliminatori (vomito) e ancora abbuffate; Ippocrate parla invece di “Inappetentia” per riferirsi al digiuno volontario. Inoltre, in un commento alle “Epidemiche” di Ippocrate, Galeno scrive: “Coloro che rifiutano il cibo e non assorbono nulla sono chiamati dai greci -anòrektous- che significa coloro che non hanno appetito e evitano il cibo”.
La prima descrizione clinica dell’anoressia risale al 1689, quando il medico inglese Richard Morton pubblica in un libro la storia di un ragazzo affetto da “consunzione nervosa”, un dimagrimento dovuto a cause psicologiche. Tuttavia, la definizione dell’anoressia nervosa considerata nell’accezione diagnostico-clinica, così come viene intesa oggigiorno, compare in epoca vittoriana, in particolare a seguito del lavoro dei due psichiatri W. Gull e E. Lasègue (1868), anche se è quest’ultimo a dare il maggior contributo. Bisogna però attendere il 1900 per avere un quadro generale più dettagliato degli aspetti caratteristici della patologia, complici anche i mutamenti in ambito sociale: dal cambiamento dei ruoli ai modelli di bellezza.
Al contrario dell’anoressia nervosa, la bulimia è stata descritta per la prima volta solo nel 1979, dallo psichiatra londinese Gerald Russell.
Cosa sono i DCA
Negli ultimi tempi si sente sempre più di frequente parlare di DCA, ossia dei disturbi del comportamento alimentare, ma quanti sanno realmente di cosa si tratta?
I DCA sono patologie che si manifestano attraverso un’alterazione delle abitudini alimentari e da una spasmodica ossessione per il corpo e la propria immagine. I sintomi insorgono prevalentemente nell’adolescenza, tra i 12 e i 25 anni, con picchi tra i 14 e i 17, anche se, secondo recenti ricerche, il tasso d’incidenza tende sempre di più ad aumentare e l’età di insorgenza pare abbassarsi, comprendendo la preadolescenza. Va ricordato che la malattia colpisce indistintamente entrambi i sessi, per quanto per molto tempo sia stata ritenuta una patologia prettamente femminile.
I principali disturbi del comportamento alimentare sono l’anoressia nervosa, la bulimia nervosa e il disturbo dell’alimentazione incontrollata, noto anche come binge eating desorder. Gli atteggiamenti assunti dall’individuo affetto da uno di questi disturbi sono molteplici e variabili, tra cui: diminuzione di cibo, restrizioni alimentari, digiuno, crisi bulimiche (che consistono nelle cosiddette “abbuffate”), vomito autoindotto, abuso di lassativi e diuretici, intensificata attività fisica. Gli individui affetti da DCA possono ricorrere ad uno o più di questi comportamenti, i quali iniziano a diventare patologici nel momento in cui si configurano come veri e propri rituali.
Soffrire di un disturbo alimentare non coinvolge solamente la sfera fisica di una persona, ma ne limita le capacità razionali, sociali e lavorative. Quando il cibo diventa un’ossessione, ogni gesto, anche quello più banale, può trasformarsi in motivo di ansia e frustrazione.
Altri elementi caratterizzanti sono la dismorfofobia, ossia la percezione alterata della propria immagine corporea, e le convinzioni distorte riguardo a cibo, peso e corpo.
Le cause
Negli studi condotti in merito ai disordini alimentari si tiene conto non solo dei fattori genetici, biologici e psicologici ma anche della compresenza di fattori culturali e sociali, tra i quali assumono grande rilevanza i messaggi veicolati dai mass media. Tuttavia, sarebbe improprio attribuire all’idea di perfezione fisica e di magrezza, spesso legate all’idea del successo, la colpa in toto dell’insorgere di un disturbo alimentare. Sarebbe forse più semplice se l’unica causa fosse circoscrivibile all’ambito della percezione corporea e della spasmodica ricerca della perfezione, purtroppo la verità non è mai così semplice. Le cause di un DCA sono molteplici e spesso variano da persona a persona, pertanto il modello multifattoriale appare il più adatto a fornire una spiegazione.
I fattori posso essere divisi in tre categorie: i primi, i fattori predisponenti, comprendono fattori genetici, psicologici e ambientali; i secondi, i fattori precipitanti, sono costituiti da lutti, aggressioni, bullismo, fallimenti in ambito sociale (la cui gravità è variabile, ma non per questo va sottovalutata); i terzi, i fattori di mantenimento, sono la somma delle componenti fisiologiche e psicologiche che impediscono il ritorno alla normalità. La bassa autostima, le difficoltà relazionali, il perfezionismo, l’insoddisfazione legata alla propria immagine e l’abuso di sostanze sono solo alcune delle possibili cause.
Quel che emerge da tale analisi è la forte componente psicologica di queste patologie, tant’è che esse sono annoverate nel DSM-5, il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Ne consegue, pertanto, che l’aspetto fisico e la relazione disfunzionale con il cibo si configurino come il sintomo di un malessere che va ricercato più in profondità.
Parlando con persone affette da DCA, sovente, è emersa l’importanza del “non detto”, in cui, data l’incapacità di esprimere il dolore a parole, il corpo diventa veicolo di informazione per “dar voce” ad una sofferenza interiore. La mancanza di comunicazione entra a far parte del novero dei possibili fattori predisponenti. A tal proposito vorrei riportare brevemente le parole di una ragazza affetta da anoressia nervosa: “Non mi sento un numero di quelle statistiche. Non sono stati i modelli proposti dai mass media a farmi cadere nel circolo vizioso dell’anoressia. Certo non sono qui a negare che sia una delle possibili cause, ma ricondurre tutto e circoscriverlo al mero aspetto fisico lo trovo riduttivo, se non addirittura offensivo. Una soluzione facile e populista, rafforzata da preconcetti e basata su pregiudizi. Vuoi sapere la verità? Io mi piacevo prima di ammalarmi. Sono diventata uno scheletro non per ricercare la perfezione o emulare le modelle che sfilano in passerella, ma per suscitare repulsione. Volevo rabbrividire ogni qualvolta incrociassi il mio riflesso nello specchio. Incredibile, non è vero?”.
Questa confessione mi colpì. Quella ragazza non aveva mai desiderato diventare magrissima per imitare un modello, tutt’altro. Cadere nello stereotipo e finire per generalizzare è un errore, ma non per questo è ineliminabile. Bisogna, tuttavia, essere disposti ad affrontare una realtà con più di una sfaccettatura, non lasciarsi ingannare da falsi preconcetti o accettare semplicistiche soluzioni, e non arrendersi qualora le risposte non saranno capaci di soddisfarci in toto.
La vita con un DCA: quando il corpo diventa una mappa
I disturbi del comportamento alimentare influenzano principalmente tre sfere delle vita: quella fisica, quella psicologica e quella sociale. Sebbene la persona che ne è affetta spesso non se ne renda conto, a causa della percezione distorta che ha della realtà, la sua vita tende progressivamente a sgretolarsi.
L’anoressia nervosa porta ad un’evidente perdita di peso; l’individuo che ne soffre spesso non ne ha una chiara percezione, tanto da convincersi che pur essendo sottopeso potrebbe esserlo ancora di più, un sintomo che può contraddistinguere anche un malato di bulimia. Il paziente mostrerà un visibile deperimento: capelli e unghie sfibrati, pelle secca, un aumento della peluria su tutto il corpo, carenza di produzione di ormoni, calo della libido, osteoporosi, scompensi cardiaci, un sovraccarico di lavoro per i reni, rallentamento delle funzioni intestinali, progressiva tendenza dei muscoli a nutrirsi delle strutture proteiche presenti nei muscoli stessi.
Alle modificazioni fisiche si aggiungono anche quelle psichiche, come una diminuita capacità di concentrazione, di pensiero astratto, difficoltà a memorizzare e a giudicare criticamente. Inoltre non sono da trascurare le alterazioni delle sfera emotiva, manifestate attraverso un altalenante stato d’animo che provoca cambiamenti di personalità, apatia, depressione, irritabilità e rabbia, sino all’isolamento sociale.
Quando una persona affetta da un disturbo riesce a “guarire”, -o quantomeno a convivere più o meno serenamente con la malattia-, non sempre è capace di cancellare i segni del suo passaggio. Molti continuano ad accusare problemi alle ossa o al cuore, alla bocca e ai denti (soprattutto nel caso di coloro che hanno sofferto di bulimia nervosa), altri, al contrario, almeno da un punto di vista fisico, riescono a riprendersi completamente. Naturalmente vi sono molte variabili da tenere in considerazione.
La via della guarigione è un percorso lento e tortuoso, pieno di insidie, che richiede la collaborazione tra diverse figure professionali (medici, nutrizionisti e psichiatri) e il paziente, il quale dovrà mostrare di voler uscire dal circolo vizioso in cui è stato trascinato dalla malattia affinché vi possa essere una reale possibilità di miglioramento.
Spero di essere stata sufficientemente esaustiva nell’esprimere in maniera sintetica il panorama che si dipana attorno ai disturbi del comportamento alimentare. In seguito tenterò di riportare, con quanta più discrezione possibile, una testimonianza per illustrare quali demoni si possono nascondere dietro alle cause dell’insorgenza di un DCA, ma anche quanto possa essere annichilente vivere affianco ad una persona che ne è affetta.