Emma Mieville (1900-1955) - Etaples, Ward of the Order of St John Hospital -1917
Una sanità di eccellenza che sta andando in crisi?
di Francesca Morelli
La nostra è considerata una Sanità di eccellenza, in rapporto alla maggior parte dei sistemi assistenziali offerti dagli altri paesi europei. Eppure, da Nord a Sud, suonano corali le lamentele degli Italiani riguardo a una Sanità malata, incapace di assicurare ugual diritto alla salute a tutti i cittadini, per offerta, efficienza e qualità di servizi.
Tempi di attesa, oltre l’accettabile, per eseguire prestazioni in SSN (con il Servizio Sanitario Nazionale), code per accedere a sportelli dedicati, mancato coordinamento tra Enti, servizi e personale che costringono a girare da un ufficio all'altro sembrano il drammatico ritornello cui si assiste quando si entra in luoghi di tutela e depositari di salute.
Un contesto sanitario quella della nostra salute, ben lontano dall’etimologia latina ‘salus’ che significa nella più ampia accezione del termine “salvezza, incolumità, integrità”, cui aggiungeremmo anche attenzione alla persona e al suo bisogno di ‘assistenza protetta’, soprattutto in un presumibile contesto di malattia. È il percepito, difficile e problematico, emerso da una indagine Censis, condotta in collaborazione con Rbm Assicurazione Salute, in occasione dell’evento “Secondo Pilastro Sanitario e Bilateralità territoriale nella prospettiva della Riforma del Titolo V della Costituzione”, tenutosi a Venezia qualche settimana fa. La quale denuncia una sanità a macchia di leopardo, con maggior penalizzazione per il Sud e le Isole, fatto ormai ben noto associato alle frequenti ‘migrazioni’ verso strutture garanti di avanguardia e qualità localizzate al Nord dello stivale, le cui tinte appaiono tuttavia sempre più cupe.
Perché nell’arco di soli due anni, la sanità regionale secondo il 45 per cento degli italiani, il 2,4 per cento in più rispetto al 2015, è sensibilmente peggiorata con quasi il 53 per cento di insoddisfazione al Sud, il 49 per cento al centro, seguito dal 39 per cento al Nord ovest e poco più del 35 per cento al Nord est. A tal punto che, nel 2016, sono saliti a undici milioni gli italiani che hanno rinunciato alle cure mediche (erano 9 milioni nel 2011) e a oltre 10 milioni coloro che per curarsi sono ricorsi al privato. Potendoselo permettere.
Un fatto ‘privato’ che è diventato una necessità se si pensa che, sempre stando a quanto emerge dall’indagine, occorre attendere 143 giorni per effettuare una colonscopia senza biopsia; 75 giorni per una risonanza magnetica e 66 per una mammografia. Tutti esami che, di norma, sono richiesti in caso di un sospetto o per la patologie importanti e/o a scopo preventivo per diagnosi precoci. Che spesso salverebbero la vita. E gli altri, coloro che non possono sostenere i costi elevati di una prestazione privata, sono destinati a vedere peggiore il proprio stato di salute e di malattia, pena anche la vita?
Sul tavolo delle proposte della Riforma del Titolo V della Costituzione c’era anche quella di un sistema a “finanziamento doppio”. Oggi il Sistema Sanitario nazionale si sostiene per lo più con un monofinanziamento, cioè attraverso le tasse pagate dal cittadino, cui possono partecipare ‘in convenzione’ anche erogatori privati. Quando però le strutture del servizio sanitario o del privato in convenzione non sono in grado di rispondere alla richiesta di servizio, la prestazione può o deve essere eseguita totalmente a carico del cittadino (che non dovremmo più chiamare ‘assistito’, a questo punto).
Il ‘finanziamento doppio’ avrebbe previsto di eliminare la fiscalità generale, instituendo a fianco di quello già esistente anche un sistema di organizzazione della spesa privata del cittadino, a vantaggio soprattutto della riduzione dei costi unitari delle prestazioni. E ora cosa accadrà? Non ci resta che attendere, senza scordarci però che la salute è un diritto.