Eugeniya Mischenko (Zaporizhye, Ucraina - ) - Fried Eggs
Fame emotiva e fame affettiva
di Riccardo Ferrero
Dovevo parlarvi delle strategie psicologiche e comportamentali da adottare ai pasti per dimagrire in salute e senza stress. Invece oggi ho proprio voglia di rimandare tale argomento alla prossima volta per parlarvi di FAME AFFETTIVA. Un argomento ispiratomi da alcune riflessioni di una collega che già scrive su questa rivista online (la dott.ssa Antonaccio) e che va ad integrare le conoscenze che ci sono sulla ben più nota (anzi arcinota) FAME EMOTIVA.
La fame emotiva indica quella alterata richiesta di cibo indotta da situazioni di stress. Non voglio soffermarmi troppo su un argomento trattato ormai fino allo sfinimento da tutti i punti di vista. Vi dirò che lo stress cronico (patologicamente prolungato) mette in “allerta metabolico” il corpo preoccupato che lo stato di tensione (da stress) segnali un ambiente ostile in cui possa scarseggiare la cosa più importante per la sopravvivenza negli ultimi milioni di anni: il cibo.
La fame emotiva causata dall’angosciante stress prolungato porta a cercare più zuccheri, più sale e più grassi (preferibilmente animali e cotti ad alta temperatura) per immagazzinare più adipe e per lenire la sofferenza Soprattutto gli zuccheri hanno un effetto calmante e appagante su fondamentali circuiti nervosi cerebrali (detti della ricompensa) anche su purtroppo tale effetto dura poco lasciando spazio ad un maggiore bisogno di introito calorico e quindi ad una maggiore fame in un vortice di dipendenza da cibo spazzatura sempre più difficile da gestire. La cura dello stress, ed il diventare padroni di strumenti per gestirlo meglio, sarà la via di uscita per liberarsi da questa “schiavitù dell’appetito” (mangiare più di quanto necessario come si fosse in perenne pericolo carestie) e recuperare la “libertà di sfamarsi” (mangiare ciò che serve ad un corpo che vive in un ambiente ricco di cibo).
Tutt’altra cosa è la fame affettiva. Vi spiego cosa è parlandovi della mia con la quale continuamente ho a che a fare e che, se da un lato tratto con un certo timore, dall’altro mai e poi mai vorrei privarmi. E’ la voglia di mangiare l’ovetto cotto nel tegamino col burro bello salato che mi ricorda tanto mio padre quando era vivo e lo faceva al mattino della domenica perché solo allora poteva stare con noi qualche istante. E’ il bisogno viscerale e confortante di mangiare il pollo fatto in un certo modo non per i suoi valori nutrizionali né per il suo sapore, ma perché mi faceva sentire accolto e vicino ad una mamma che mi aspettava quando tornavo da scuola spaventato dai bulli. E poi tanti altri cibi sani e insani che solo ed esclusivamente per me significano recuperare un pezzo della mia storia passata per dare un senso al mio essere di oggi. Forse sarete stupiti, ma dare un senso a questi “appetiti”, e lasciarmi cullare dai loro significati senza fuggirli, mi rende libero (la maggior parte delle volte) di decidere se mangiare o meno realmente il cibo! Come se il nutrimento lo avessi già ottenuto senza andarlo a cercare inconsapevolmente nel piatto. Come se il bisogno non fosse di calorie ma di calore (e alle volte com’è difficile e malinconico, ma liberatorio allo stesso tempo, capirlo e sentirlo!).