Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Samuel Luke Fildes (British, 1843-1927) – The Doctor - 1887

 

Esami diagnostici (inutili): indagine fra i medici italiani

di Francesca Morelli

 

Anche i medici, specie quelli di famiglia e in percentuale sensibilmente inferiore gli specialisti, possono cadere in tentazione. Capita quando di fronte alle insistenze dei propri pazienti che affollano gli studi ambulatoriali, talvolta si arrendono alla richiesta degli assistiti e prescrivono un esame diagnostico non strettamente necessario. Non diciamo inutile.

Le ragioni possono essere diverse: acquisire una maggiore sicurezza professionale sulla propria diagnosi, fatta con un puro esame obiettivo, cioè solo attraverso lo sguardo e l’ascolto della sintomatologia dichiarata dal paziente, supportato da una visita accurata ma senza l’ausilio di test specifici; evitare una possibile denuncia legale da parte del paziente o spinti dalla difficoltà di discernere il delicato confine tra l’appropriatezza o meno di una analisi specifica e mirata a una determinata patologia.

Lo ha rivelato una indagine, condotta alcuni mesi fa da Fnomceo (Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri) e Slow Medicine su un campione di oltre 4.200 medici italiani, interrogati con un questionario simile al modello proposto da Abim Foundation, associazione statunitense promotrice della campagna ‘Choosing Wisely’, sull’opportunità di prescrivere, saggiamente appunto, esami diagnostici aggiuntivi.

Capacità tanto più importante e necessaria quando si ha a che fare con decisioni di salute, malattia, o pazienti spesso anziani nei quali la presenza di comorbidità (di più patologie in trattamento) possono porre il medico di fronte a un dilemma: prescrivere o no una analisi in più? Dare retta o no al paziente desideroso di conoscere con una certificazione scritta la chiara origine del suo problema, e dunque le necessarie terapie e la possibilità di risoluzione? Un problema serio da fronteggiare, quello della prescrizione diagnostica, per il 55 per cento dei nostri medici di famiglia che, quasi quotidianamente o più volte la settimana, si sentono fare richiesta – almeno dal 44 per cento dei propri assistiti -  di esami di varia natura e invasività.

Richieste che necessitano un giusto approccio, esplicativo da parte del medico e persuasivo per il paziente. Due atteggiamenti che hanno uno stesso denominatore comune: il dialogo, cui ricorre il 77 per cento dei medici italiani, come si addice a un rapporto empatico medico-paziente, per spiegare il rifiuto (o l’accettazione) di una richiesta diagnostica, contro un 54 per cento di medici che si appiglia invece alla natura della patologia che non giustificherebbe i costi elevati di specifiche procedure.

 Una scelta, quella del colloquio medico-paziente, che ha una forte presa su chi necessita rassicurazione, un consiglio, un chiarimento tanto che il 66 per cento dei pazienti finisce con il cambiare il proprio convincimento, seguendo la proposta del medico curante, depositario di totale fiducia, anche quando ciò possa significare rinunciare all’esecuzione di esami (superflui e/o inutili).

Decisioni comunque non facili neppure per il medico che pesano, per il 63 per cento dei professionisti, sul senso di responsabilità nei confronti della salute dell’assistito stesso, ma anche della società e del Sistema Salute in generale.  A tal  punto che taluni preferirebbero delegare gli aspetti decisionali ad altri: aziende sanitarie (7%), un legislatore (5%), il governo o le società scientifiche (5%), contro il 23 per cento di medici che decide con assoluta sicurezza e tranquillità.

È opinione condivisa dai professionisti alla domanda: “Cosa ritieni utile per ridurre i test, i trattamenti e le procedure non necessari?”, la necessità di potersi avvalere, oltre che del dialogo,  anche di diversi supporti: materiale informativo da consegnare al pazienti (84%), una efficace riforma della legge sulla responsabilità del medico (83%), una modifica del sistema di remunerazione/sanzione (60%).

Resta da chiedersi, a questo punto, cosa possa essere definito appropriato e cosa no? Non il troppo zelo, a detta del 91 per cento dei medici, perché “Fare di più non significa (necessariamente) fare meglio”, condividendo la scelta di affrontare la questione ‘prescrizioni diagnostiche’ in base a criteri scientifici e non soltanto economici, facendo leva anche sulle raccomandazioni date ai pazienti, a vantaggio di un miglioramento della pratica clinica.   

In buona sostanza, a conclusione dell’indagine di Slow Medicine e Fnmceo, è possibile rilevare che per medici e pazienti serve più informazione: i primi chiedono infatti maggior coinvolgimento nei processi di condivisione delle scelte, senza trovarsi di fronte a  imposizioni “per decreto”, mentre i secondi sperano in una informazione sui temi di salute istituzionale indipendente.

 

Inserito il:28/12/2016 14:57:30
Ultimo aggiornamento:28/12/2016 15:02:15
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