Populismo - ISS Conference poster by Filipino artist Boy Dominguez
Democrazia a rischio
di Bruno Lamborghini
Nell’arco dell’ultimo decennio, nel mondo il numero di paesi con sistemi politici autocratici o dittatoriali sarebbe passato dal 50% al 70%, a fronte di un progressivo e costante indebolimento delle democrazie.
I principali paesi a base democratica, il cosiddetto Occidente allargato, sono USA, Canada, Unione Europea, Gran Bretagna, Svizzera, Giappone, Australia e Nuova Zelanda, rappresentando il 20% del totale dei paesi ed il 14% della popolazione mondiale.
Tra i paesi autocratici, Cina e Russia costituiscono i maggiori riferimenti in Asia ed Eurasia, mentre anche in Africa ed America Latina sono largamente prevalenti regimi non democratici o comunque con controlli elettorali, salvo il recente caso del Cile.
In termini di PIL, i “paesi democratici” rappresentano attorno al 60% del mondo, in riduzione dall’80% a inizio secolo. Peraltro, anche in tali paesi sono in atto forti tensioni verso forme di nazionalismo o sovranismo, sotto la spinta di movimenti populistici, come ad esempio il trumpismo in USA.
La domanda che si pone è: perché le democrazie si indeboliscono e perdono consensi? Le risposte possono essere diverse. Si può partire dalla fine dell’Unione Sovietica, all’inizio degli anni ’90, quando si aprono le barriere che dopo la seconda guerra mondiale avevano diviso il mondo in due blocchi separati e contrapposti, da un lato il modello sovietico di governo marxista centralistico e dall’altro il modello neoliberista che aveva dato origine alla grande ripresa economica postbellica in USA ed in Europa, con effetti anche sugli orientamenti politici delle democrazie parlamentari.
Con la fine dell’Unione Sovietica si apre un nuovo scenario a livello mondiale con l’indipendenza dei paesi ex URSS nell’Europa dell’Est (inclusa l’Ucraina) e nell’Asia Centrale, mentre non è definito il ruolo politico e di governo della Federazione russa. L’Occidente vincente non sembra dedicare sufficiente attenzione al futuro della Russia dopo la fine dell’impero sovietico, e questo apre ad una crescente instabilità nell’area che porta all’attuale contesto conflittuale.
Da parte occidentale si punta all’obiettivo dell’apertura internazionale dei mercati, le reti globali di scambio; la grande globalizzazione vista come il processo che porterà in modo inerziale allo sviluppo economico in tutto il mondo, con crescita degli scambi commerciali anche nei paesi industrializzati, pur con crescenti interdipendenze produttive e logistiche, ora divenute limitanti e critiche e sul possibile contributo alla crescita di istituzioni democratiche nei paesi emergenti (per cui in alcuni ambienti si è parlato perfino e fuori luogo di “esportare democrazia”).
La guida della politica internazionale viene in gran parte lasciata al mercato, alla crescita industriale dei diversi paesi, basata in particolare sulla disponibilità di condizioni generali precarie e bassi costi del lavoro.
Trae grande profitto dalla crescita dei processi di globalizzazione la Cina, la cui gestione politica passa rapidamente dal comunismo al mix di neoliberismo e di rigida gestione centralizzata che porta rapidamente la Cina a divenire la “fabbrica del mondo” ed a rincorrere il PIL USA, decuplicando in un decennio l’economia e dominando in termini di innovazione tecnologica.
Il modello economico cinese (del cui successo è fattore determinante la gestione rigidamente centralistica) diviene oggetto di attenzione o di imitazione in altre aree asiatiche, così da fare dell’Asia il nuovo baricentro mondiale, anche grazie alla demografia per cui l’Asia raggiunge oltre il 60% della popolazione mondiale.
Quindi, vi è da chiedersi se la globalizzazione dei mercati e l’espansione economica abbiano determinato anche la crescita di “governi forti”, così come ha contribuito anche in parallelo la crescita di “guerre locali” in questi anni. Il Covid e la guerra in Ucraina hanno determinato rallentamenti negli scambi e nella logistica mondiale, ma probabilmente non in modo tale da frenare i processi di globalizzazione, considerando anche che il modello di sviluppo cinese è fortemente dipendente dal proseguimento degli scambi e dalla conquista di nuovi spazi di mercato.
All’interno dei paesi occidentali, come osserva Larry Diamond di Stanford, si sta manifestando una “recessione democratica” iniziata nel 2000 e determinata dai ripetuti shock, dall’attacco terroristico alle Due Torri del 2001, alla crisi della finanza globale del 2008, alla pandemia del 2020 ed alla guerra in Ucraina del 2022, con grande impatto psicologico e sociale sui comportamenti delle persone, con aumento dell’ansia, incertezza sul futuro in un ambiente sempre più complesso in cui non operano più i tradizionali comportamenti e meccanismi economico-sociali degli anni ’80 e ’90 di relativa prevedibilità e stabilità.
Di qui, il sorgere di forme di protesta populistica verso un establishment non ben identificato e la conseguente perdita di ruolo dei partiti politici e dei parlamenti, che sono la vera base della democrazia. Al disagio sociale contribuisce anche la crescita fuori controllo delle diseguaglianze di reddito con polarizzazione delle fasce di povertà e di ricchezza; vengono meno o scompaiono le classi medie, che sono fondamentale fattore di stabilità sociale e di crescita equilibrata.
Va considerato anche che il modello di democrazia occidentale (pur con critiche ad un neoliberismo economico spesso antiecologico e distante da obiettivi sociali) suscita interesse soprattutto nelle giovani generazioni dei paesi emergenti (le “primavere arabe”), e la diffusione di internet e dei media digitali apre a nuove aspettative di cultura e di vita a base planetaria, senza confini e con impatto anche sulla necessità di nuove condizioni di democrazia aperta, in opposizione a regimi autocratici.
L’invasione russa dell’Ucraina e la conseguente guerra tra Ucraina e Russia con la presenza esterna dell’Occidente, rappresenta in modo emblematico il confronto diretto ed esplicito tra il modello neoliberistico occidentale e quello autocratico di una Russia ancorata ancora ai Soviet, se non all’Impero degli Zar. L’auspicata fine della guerra potrà forse aprire alla ricerca di nuovi modelli al di là del confronto/conflitto tra il neoliberismo e l’autocrazia
La collaborazione occidentale nella difesa dell’autonomia e volontà democratica dell’Ucraina ha posto in evidenza la necessità di trovare risposta ad una crisi strutturale non solo dei regimi autocratici, ma anche in parte delle democrazie occidentali con la ricerca di un ridisegno dell’Unione Europea e dell’Alleanza Atlantica.
Il confitto russo-ucraino forse contribuirà anche a ripensare il contesto geopolitico mondiale ed i rischi ad esso connesso, così come la struttura dell’Unione Europea ed i suoi rapporti con gli Stati Uniti e con la Russia che uscirà dal conflitto.
Una nuova vera Europa può divenire un modello, non solo europeo, ma universale. basato su quelle che sono le fondamenta della democrazia, la partecipazione democratica alla gestione della politica e la collaborazione attiva e paritaria tra Stati, in grado di affrontare e fermare la “recessione democratica”, non solo nei paesi europei.