Cristina Stefan (from Candiac, QC – Canada) – Dilemma
ELEZIONI 2022: PIU’ TASSE versus MENO TASSE
di Ruggero Cerizza
Nel caso di questo binomio, i due estremi sono identificati solo con un Più e un Meno perché, come è ovvio, qualsiasi squadra che si candida a governare un paese deve provvedere a dotarsi delle risorse finanziarie necessarie alla realizzazione dei propri programmi.
Il problema è che in campagna elettorale il focus è sempre ed esclusivamente per l’una un aumento della tassazione e per l’altra una sua riduzione, senza però indicare mai chiaramente, dalla parte dei Più Tassatori, come pensano di utilizzare il maggior gettito, mentre, da quella dei Meno Tassatori, quali spese correnti intenderebbero ridurre.
Per inquadrare la questione riporto alcuni dati basilari a cui farò riferimento.
Un modo di calcolare la pressione fiscale è ottenere il rapporto tra l’ammontare del prelievo dello Stato e degli altri enti pubblici sotto forma di imposte, tasse e tributi (il gettito fiscale) e il prodotto interno lordo. L’Ocse parla di incidenza fiscale in rapporto al Pil, cioè la pressione fiscale.
L’insieme delle tasse italiane è stato, nel 2019, pari al 42,4% del Pil, in aumento dal 41,9% dell’anno precedente e contro una media Ocse del 33,8%. Nella classifica dei 35 Paesi di cui si son potuti raccogliere i dati l’Italia occupa il quinto posto per incidenza della tassazione.
Ancor più significativo è l’analisi dell’andamento storico infatti nel 1980 le entrate fiscali ammontavano al 28,7% del PIL -media OCSE 1980 30.1%-, nel 2018 il rapporto italiano è salito al 42,1%, mentre la media OCSE si è portata al 34,3%. nota 1
Come è evidente, il prelievo fiscale complessivo in Italia ha mostrato una dinamica al rialzo significativamente superiore a quella dei paesi maggiormente industrializzati.
Da notare, inoltre, che nel 1980 il debito pubblico italiano, sempre in rapporto al PIL, era intorno al 55%, mentre negli ultimi anni ha superato abbondantemente il 150%. E’ opinione condivisa, suffragata dall’evidenza empirica, che un alto debito pubblico influisce negativamente sul tasso di crescita dell’economia, rappresentando un vincolo agli investimenti, un indebolimento dell’efficacia della politica economica ed una minore capacità di mettere in atto misure anticicliche in periodi recessivi.
Questa estrema sintesi storica evidenzia più entrate fiscali, più debito pubblico, minore crescita del PIL, tutte spie che la nostra spesa pubblica è stata nei fatti fuori da ogni controllo.
Mi pare, pertanto, assolutamente improponibile auspicare un ulteriore incremento dell’imposizione fiscale in Italia, anche perché, oltre a rendere più conveniente l’evasione, avrebbe un ulteriore effetto depressivo sull’economia nel suo complesso.
Quindi assumendo l’attuale livello di prelievo fiscale un tetto non superabile, la lotta all’evasione fiscale avrebbe sì l’effetto di spostare l’onere dal tassato all’evasore, ma questa operazione dovrà avere saldo zero a livello macroeconomico.
L’altro fondamentale aspetto da considerare è che la squadra “più tasse” sembra orientata ad utilizzare le future maggiori entrate per istituzionalizzare l’approccio “bonus a pioggia” che, introdotto con la giustificazione della pandemia e della tutela dell’ambiente, si è ormai consolidato come “funzione primaria del moderno stato del benessere”.
Il nostro non è più uno stato che “investe in infrastrutture” ed “eroga servizi” bensì uno stato che “elargisce contributi” : non riesce a creare le condizioni per un equilibrato sviluppo economico ma si inventa i “navigator” del reddito di cittadinanza; non investe nella viabilità e nei trasporti pubblici ma contribuisce all’acquisto di un mezzo di trasporto privato (autoveicolo, motoveicolo, bicicletta, monopattino ……. a quando il bonus “schettini”?); non manutiene gli acquedotti ma contribuisce all’acquisto della rubinetteria nelle case private, e che dire poi dei vari bonus “zanzariere”, “tende da sole”, “infissi”, “mobili”, “televisione”, “caldaia”, “verde”, ecc.
E per pudore e per vergogna non mi addentro nell’altra pletora di bonus “inventati” negli ultimi mesi dell’ultimo governo e di quelli già “promessi” dai nostri paladini del benessere comune.
Questa spesa pubblica improduttiva non sarebbe coerente e auspicabile neppure con conti pubblici in surplus, figuriamoci se finanziata in deficit.
Diverse considerazioni merita la squadra “meno tasse”, perché il suo sarebbe, dal mio punto di vista, un approccio meritorio se fosse supportato dall’indicazione di quali attuali voci di spesa pubblica verrebbero ridotte per bilanciare le minori entrate.
Altrimenti il “meno tasse” sarebbe il solito “slogan elettorale” privo di qualsiasi possibilità di messa in pratica.
Sono certo che ricorderete tutti, gli anni della crisi in cui ci hanno illuso di una virata virtuosa con la famosa “spending review”, necessaria per razionalizzare la spesa pubblica, per ridurre il deficit e fermare l’aumento del debito pubblico, ovviamente non se ne è fatto nulla, anzi si è proseguito allegramente come se nulla fosse.
Tanto, ad urne chiuse, basterà emettere un po’ di CCT, BTP e BOT e fare affidamento sull’ultimo scudo finanziario messo in campo dalla BCE: et voilà il gioco è fatto!
Ho l’impressione che nei prossimi mesi questi trucchetti contabili non saranno più possibili, ma vedo davvero pochi uomini politici italiani, salvo forse una donna, intenzionati a comunicarci chiaramente la rotta finanziaria che intendono seguire, ammesso che si rendano conto dell’urgenza e che intendano davvero percorrerla.
Su questo binomio, la mia scelta di voto sarà quindi obbligata.
nota 1: