Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Cristina Stefan (from Candiac, QC – Canada) – Dilemma

 

ELEZIONI 2022: Il voto (in)utile?

di Alberto M. Tedoldi

 

Formidabile è la tentazione di iscriversi al partito di maggioranza relativa, quello dell’astensionismo, che domenica 25 settembre 2022 par destinato a veleggiare verso il quaranta per cento, come già è accaduto in Francia, dove alle elezioni legislative del giugno scorso ha partecipato meno della metà degli elettori.

Sfiducia e scoramento concorrono a suscitare un tal moto dell’animo, dopo la legislatura appena conclusa, che ha visto accadere di tutto e di più, dalla pandemia alla guerra, dalla recessione all’inflazione a due cifre, dal governo giallo-verde a quello giallo-rosa sino al governo tecnico, in uno a una legge elettorale pessima, inutilmente complicata e, diremmo, incostituzionale almeno quanto le due precedenti, il Porcellum e l’Italicum, tali dichiarate dalla Consulta siccome forgiate, come il Rosatellum con cui nuovamente siamo chiamati a votare, ad usum delphini, ma che – per l’unica legge storica che ha permanente validità in ogni tempo e ad ogni meridiano, quella dell’eterogenesi dei fini – si rivolta ora in gran parte contro chi ebbe a concepirla e a ridurla per iscritto nel 2017.

L’elettore non esiste in rerum natura, ma è creato e disegnato dalla legge elettorale, che ha un altissimo coefficiente di rilevanza costituzionale e che dovrebbe fedelmente tradurre in seggi parlamentari la volontà espressa dalle urne, senza ricorrere a trucchi né prestidigitazioni, salvo introdurre qualche lieve correttivo sol per assicurare il buon funzionamento delle istituzioni rappresentative. Così avviene in Germania con la legge proporzionale con clausola di sbarramento al cinque per cento, non modificata a ogni stormir di fronda e per puro opportunismo, come alle nostre latitudini sotto il fallace ed esteriore vestimento di una mai conseguita né probabilmente (né caratterialmente…) conseguibile governabilità, presentata come opposta e incompatibile con la rappresentatività. Donde la sovrabbondanza iterativa di governi, spesso tecnocratici, che in nulla e per nulla rispecchiano gli esiti elettorali.

Il problema è, per vero, molto più ampio, profondo e, a suo modo, drammatico. ‘Magnifiche sorti e progressive’ ci toccano da vicino, di emergenza in emergenza, sans trêve et sans merci, per meglio imporre alle comunità umane un permanente stato di eccezione e governarle ab extra, a colpi di provvedimenti e dicta imperativi, imposti da necessità e urgenza (art. 77 Cost.) che, come tali, non presentano alternative praticabili né possibili, in ossequio all’ormai risalente e, per vero, assai frusto motto thatcheriano TINA, «There Is No Alternative», con cui s’identifica quella sbrigativa e spiccia linea di pensiero che considera il neoliberismo come la sola ideologia valida ed efficace sull’intero globo terracqueo, nella quale l’intera politica si risolve e riassume, servendosi di meri esecutori, institori o procuratori che siano.

La società, per essere ordinata, deve rispondere e sottostare a leggi universali, proclama tale ideologia, che affonda le proprie radici nel Novecento e giunge allo zenit con la finis historiae declamata nel 1989, dopo la caduta del muro di Berlino: tali leggi universali sono quelle economiche, naturali, sicure, inflessibili e prive di eccezioni.

La decisione politica è sempre e solo una risposta alla crisi, economica, finanziaria, sanitaria, geopolitica o internazionale che sia: essa dipende strutturalmente e costantemente dal funzionamento del dispositivo di crisi nel quale volta a volta s’inscrive, in un’alternativa posta ab extra e artificiosamente creata, dove la decisione politica viene assunta nel momento in cui si presenta come obbligata ma, lungi dall’essere risolutiva, produce una nuova crisi, imponendo scelte obbligate, e così all’infinito, senza requie che non sia una finale ed escatologica ‘pace dei sepolcri’.

La crisi è meccanismo ‘biopolitico’ par excellence, dacché opera come dispositivo di governo e assolve a una funzione ‘governamentale’, appunto, capace di produrre e regolare le varie forme di vita e comunità umane. «Non esiste la società. Esistono solo gli individui»; «L’economia è il metodo. L’obiettivo è trasformare le anime», dichiarava apertis verbis Margaret Thatcher, secondo la visione neoliberista nata con la Scuola austriaca di Ludwig von Mises e di Friedrich A. von Hayek, fatta propria e sviluppata dalla Scuola di Chicago di Milton Friedman e di George J. Stigler nel secondo dopoguerra. La priorità accordata alla legislazione e al diritto pubblico è rovesciata a favore del diritto privato e dell’universale ius mercatorum, lasciando i soggetti privati liberi di organizzare le proprie scelte di scambio e di investimento, in modo da favorire la migliore efficienza economica, e promuovendo non le leggi, ma i contratti, non le corti giurisdizionali, ma gli arbitrati e le ADR in luogo della iurisdictio statuale, che cessa non solo di essere pars summi imperii, ma anche di tutelare e proteggere i soggetti deboli e sfavoriti, in quella tensione verso l’isonomia, non soltanto astratta e teorica, ma concreta e pratica, che l’art. 3 della nostra Costituzione tutt’oggi imporrebbe di perseguire, quale valore fondante la Repubblica.

Si governa lo Stato come se si trattasse della governance di un’impresa collettiva costituita in società per azioni, la quale si regge iuxta propria principia, secondo l’ordine spontaneo del mercato che diviene forma di governo, in un kosmos naturale che Friedrich A. von Hayek, ispirandosi a un passo de La guerra del Peloponneso di Tucidide, denominava ‘catallassi’, dal verbo greco katallassein, che significa non solo ‘barattare’, ‘scambiare’, ma anche ‘ammettere nella comunità’, diventare amici da nemici, producendo così ad consequentias gli insegnamenti della Scuola austriaca e del suo maestro Ludwig von Mises, che identificava nella ‘prasseologia’ lo studio dell’economia, in quanto scienza generale di tutte le azioni umane. In questa visione non esiste alcuno spazio esterno al mercato, perché la politica possa intervenire per modificare o riequilibrare l’ordine dato, in nome della giustizia o del rispetto di un superiore bene comune, in una quotidianità ansiogena e angosciosa, che è volutamente e costantemente presentata e prospettata in tal modo dai mass-media, onde mantenere le masse sotto il tallone della necessità e del dispositivo dianzi brevemente descritto.

Il diritto, divenuto mero strumento attuativo di tale permanente necessità emergenziale, in quanto creazione del pensiero umano, attraversa a propria volta, in tutte le sue forme, una profonda crisi, nel senso in cui l’intendeva Paul Valéry nel saggio La crise de l’esprit, che compose di getto nel 1919, cessato il frastuono delle armi che aveva diviso l’Europa e al quale si sarebbe saldata l’ancor più immane tragedia del secondo conflitto mondiale, non senza passare attraverso una spaventosa crisi economica, susseguente alla caduta di Wall Street nell’ottobre del 1929. Lo sguardo del giurista soffre sempre del ‘pre-giudizio’, della ‘pre-comprensione’ vien da dire con Josef Esser, nascenti dalle categorie di senso e di valore ereditate dalla tradizione, che il presente e la realtà hanno cura di smentire e di rendere obsolete e instabili quali foglie al vento d’autunno, nel vano tentativo di inseguire le tumultuose innovazioni imposte dalla tecnologia digitale, dall’economia finanziaria, dalle guerre energetiche e dai fenomeni migratorî. Siamo nel mezzo di un’incerta e malferma transizione, che revoca in dubbio e rimette in discussione i paradigmi dello ius europaeum, senza che s’intravvedano né un nuovo orizzonte di senso né un linguaggio comune in grado di recare ordine al magma delle quotidiane esperienze, che si traducono sempre più spesso in tragici drammi collettivi, come mostra la scomparsa, nei fatti, del diritto internazionale pubblico e delle organizzazioni create nel secolo breve a tutela della pace postbellica, ridotte a inutili ed estrinseci cerimoniali, che cedono il passo a contese geopolitiche basate unicamente sui rapporti di forza.

Terre incognite s’aprono dinanzi all’interprete, chiamato ad adattare lo strumentario di cui dispone a variabili pratiche sociali, con le quali il post-diritto e la post-democrazia nella nostra ‘postmodernità liquida’ finiscono per identificarsi, rischiando però di smarrire del tutto il ruolo di kathekon che alla rule of law per definizione spetta, di freno all’avventarsi degli uomini e dei popoli gli uni contro gli altri nella lotta per il diritto, il quale tende a risolversi in puro esercizio di forza, un reine Gewalt che si traduce soltanto in pre-potere: «Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene» (Seconda Lettera ai Tessalonicesi, 2, 7).

Una possibile ancora di salvezza si trova, forse, in due parole, anch’esse di origine greca come quella che connota etimologicamente l’espressione krisis: la crisi globale e perpetua, che è inevitabilmente anche crisi del diritto e dello ius gentium per come li abbiamo conosciuti da molti secoli a questa parte, fa volgere nuovamente lo sguardo all’ethos e al dialogos, all’ascolto e al confronto discorsivo tra intelligenze, nell’inesausta ricerca di verità relazionale, consapevoli dell’impossibilità di dettare regole che valgano a priori per tutto e per tutti, secondo il miraggio razionalistico del positivismo giuridico, ma tenendo ben salda la barra sui principî che una secolare tradizione ci ha posti in grembo e consegnati in legato tra mille sofferenze, così da orientare le soluzioni caso per caso, con pazienza, accuratezza e attenzione, onde giungere a conclusioni auspicabilmente condivise, in quanto frutto di un percorso partecipativo e connotato da phronesis dialogica, cioè dal metodo del confronto e della ragion pratica, con autentica passione per il diritto e per la giustizia: la quale, in hoc mundo, non è né può essere altro che giustizia del caso singolo, dove la legge scritta è ormai soltanto un canovaccio distribuito agli interpreti, che tutti concorrono, in forma etico-dialogica appunto, a costruirne il senso e a produrne il significato normativo, a fissare il nomos, il confine e il limite e, con questi, a porre un freno alle conseguenze, che sono già e potrebbero essere sempre più devastanti, ove fossero abbandonate, come oggi, mentre scriviamo, alla deriva dei meri rapporti di forza, se non vogliamo che avvenga quel che proclama Mefistofele nel Faust di Goethe: «I diritti e le leggi si tramandano / come una malattia che non ha fine; / arrancano da una generazione all’altra, / lentamente migrano da un luogo all’altro. / La ragione diventa nonsenso, la benevolenza una piaga: / guai a te che sei un postero! / Del diritto che è nato insieme a noi, / purtroppo, non si fa questione».

Occorre, dunque, rivestirsi dell’ottimismo della volontà, onde vincere, non senza enormi sforzi e riluttanze, il pessimismo della ragione che reca seco l’imminente tornata elettorale, nella consapevolezza che il programma del futuro Governo, quale che sia, è già in gran parte scritto, e non certo nei manifesti e negli slogan dei partiti o delle formazioni che concorrono alla competizione. Il legislatore scrive norme di legge, inclusa la legge elettorale che è quintessenza della politica, alla stregua di circolari degli uffici amministrativi, a riprova di come la scienza della legislazione si traduca oggigiorno in pura tecnica di amministrazione delle collettività, senza alcun sostrato politico che corrisponda al più nobile dei significati della parola, quello originario e aristotelico legato alla polis del zôon politikòn, contrapposto alla zoé, cioè alla vita biologica, del cui sostentamento dovrebbe unicamente occuparsi l’oikonomìa, id est letteralmente l’amministrazione (nomos) della casa (oîkos), senza uscire dai suoi naturali confini, come invece fa sistematicamente nel nostro tempo.

Indossando un tale ottimismo della volontà, pur facendo immani sforzi e turandoci il naso, andremo anche domenica prossima a esercitare il diritto-dovere di partecipare alla comunità e alla polis, di cui ciascuno di noi è parte integrante, necessaria e sostanziale al medesimo tempo.

Buona domenica elettorale a tutti.

Milano, addì 23 settembre 2022

 

Inserito il:23/09/2022 19:59:54
Ultimo aggiornamento:23/09/2022 20:06:29
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