Aggiornato al 21/11/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Cristina Stefan (from Candiac, QC - Canada) – Dilemma

 

ELEZIONI 2022: Consapevoli versus Inavveduti

di Ruggero Cerizza

 

L’amplificazione a livello mondiale della contesa sulle risorse naturali del pianeta, oltre che a causa dell’incremento vertiginoso degli abitanti, è uno degli effetti collaterali (probabilmente sottovalutato, o addirittura imprevisto) della globalizzazione, ed è un processo alimentato anche dalla contemporanea liberalizzazione della circolazione di informazioni, notizie e persone.

L’aver fatto conoscere - grazie alla diffusione planetaria delle informazioni - e toccare con mano - grazie al turismo a buon mercato - alle popolazioni di tutto il mondo i consumi, le comodità, gli agi, il lusso e la sicurezza del welfare state che caratterizzano le società occidentali (USA, Europa, Giappone, Canada, Australia, Nuova Zelanda) ha messo in moto un processo di naturale emulazione dello stile di vita e quindi una forte accelerazione dei processi di adeguamento.

Il problema, però, è che i paesi occidentali hanno potuto permettersi tutti quei privilegi anche grazie al fatto che l’arretratezza economica e la conseguente povertà endemica dei paesi meno sviluppati consentiva un accesso alle materie prime facile ed economico.

Studi accreditati confermano che è ormai troppo tardi perché sia ancora possibile elevare la qualità della vita della popolazione del pianeta a quella dei paesi privilegiati dell’Occidente.

Zygmunt Bauman sintetizza così questa situazione: “Se ogni abitante della Terra vivesse con gli stessi agi del cittadino medio nordamericano, non basterebbe un solo pianeta, ma ne servirebbero tre per provvedere alle esigenze di tutti”. nota1

Ora, se queste affermazioni hanno almeno un po’ di fondatezza, risulta evidente che la geopolitica mondiale nei prossimi anni sarà caratterizzata da una lotta per accaparrarsi le risorse ormai divenute “naturalmente scarse”. E questa lotta sarà combattuta dapprima con tutti gli strumenti economico-finanziari e commerciali disponibili, ma, in secondo luogo e in assenza di un nuovo salto tecnologico epocale, sarà caratterizzata dall’uso generalizzato della forza.  

Già oggi assistiamo a due effetti economici correlati: l’incremento dei costi delle materie prime e una maggiore indisponibilità di approvvigionamento. Ma queste sono solo le prime avvisaglie.

Infatti la corsa agli armamenti messa in atto praticamente da tutti i paesi del mondo nell’ultima decina d’anni lascia intendere che i governanti, nei limiti delle loro possibilità, si stanno attrezzando anche militarmente a questa lotta, speriamo a solo scopo di deterrenza e non per l’opzione bellica vera e propria.

Lasciando da parte quest’ultima eventualità, sul piano economico ci dovremo probabilmente confrontare con un tipo di inflazione da costo esterno così elevata, duratura e generalizzata che l’Occidente non ha mai sperimentato, se non limitatamente allo shock petrolifero dei primissimi anni settanta.

Con una grande differenza però. Allora i paesi mediorientali beneficiarono sì di un incremento repentino e imponente dei loro introiti, tuttavia quei denari, i famosi petroldollari, potevano essere spesi per acquisti solo nelle economie Occidentali che rappresentavano la quasi totalità della manifattura mondiale. Di conseguenza, iniettando nuovamente tale flusso di denaro nel sistema occidentale, si raggiunse, in pochi anni, un allineamento tra i prezzi di vendita del petrolio e quelli di acquisto dei manufatti che favorì il nuovo equilibrio.

Lo scenario economico mondiale da quegli anni si è però modificato in maniera impressionante.

Giusto per dare solo un sintetico ordine di grandezza dello stravolgimento dei punti di forza nelle economie mondiali, basta dire che nella classifica mondiale del PIL (a parità di potere di acquisto) tra i primi 12 paesi in graduatoria, i paesi occidentali rappresentavano, nel 1990, il 79% del totale, mentre nel 2018, dopo solo un trentennio, la stessa incidenza percentuale è scesa al 45%.

Invito il lettore a consultare il piacevolissimo video da cui ho tratto questi dati perché in soli tre minuti è possibile avere una impressione visiva della dinamica del PIL mondiale davvero molto chiarificatrice nota1.

Nello stesso lasso temporale la popolazione mondiale è passata da 5.28 agli attuali quasi 8 miliardi, di cui, oggi, gli stati occidentali incidono solamente per poco più del 15%, rispetto ad un circa 20% nel 1990.

Questi seppur scarni dati offrono una chiara immagine dello scenario mondiale con il quale, nei prossimi anni, dovrà confrontarsi il mondo occidentale e, di conseguenza anche noi italiani.

A questo punto vi domanderete: tutta questa pappardella cosa ha a che fare con le elezioni italiane del prossimo settembre?

E’ presto detto: sono convinto che non è più il tempo di “piloti automatici” e di “radar malfunzionanti”, ma di capitani che prendano con coraggio e umiltà il timone e di un equipaggio, noi cittadini, cosciente che potrebbe essere in arrivo una tempesta violenta e che rischiamo la deriva senza una accorta preparazione ed una guida solida.

Sono molto incuriosito di come gli italiani si esprimeranno nelle urne elettorali, ma qualunque sia l’esito finale, ritengo necessario che essi siano correttamente informati e resi consapevoli che la loro decisione, ancorché apparentemente ininfluente sui trend planetari appena sopra accennati, influirà, invece, profondamente sul loro futuro.

Un comodo senso d’impotenza non ci esime dalle nostre responsabilità di cittadini.

Per tutte queste mie considerazioni, non posso pensare di dare la mia preferenza a quella squadra che, in questa fase storica, pone tra le sue priorità aspetti come lo ius soli, lo ius scholae, il ddl Zan, il matrimonio egualitario, la liberalizzazione della cannabis, la teoria gender, l’uso della “schwa”, la woke culture, ecc., perché significa che non si rende conto che il mondo è cambiato e che il presunto “paese di Bengodi” è finito.

Darò il voto a quella squadra che si mostra più sensibile ai temi di politica industriale, alla difesa degli interessi nazionali nei consessi internazionali, che si rende conto che l’attuale inflazione è un elemento ormai insito nel sistema economico e che gli interventi “tappabuchi” - bonus bollette e riduzione temporanea delle accise - altro non sono che un effimero analgesico che, non rimuovendo la causa del disturbo, hanno come unico effetto una dipendenza insostenibile.

In conclusione voterò la squadra che mostrerà maggiore consapevolezza del cambio di paradigma mondiale e che, di conseguenza, si distaccherà maggiormente dagli strumenti di economia politica applicati sia a livello nazionale che internazionale negli ultimi anni - spesa pubblica finanziata in deficit, aumento sconsiderato di massa monetaria, penalizzazione dell’industria a vantaggio dei servizi, controllo burocratico asfissiante, debito come panacea, prelievo tributario soffocante, ecc.- diventati controproducenti e ormai fuori tempo.

Nota 1: Zygmunt Bauman, Vita Liquida, ed Laterza, pag.17 cita John Reader, Cities

Nota 2: https://www.youtube.com/watch?v=CsFmHzWYsOU

 

Inserito il:18/08/2022 19:22:18
Ultimo aggiornamento:18/08/2022 19:33:16
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