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Fine 2016, fuga da Facebook. Almeno per me

di Marco Valerio Principato

 

Quel social network non ha più niente di interessante: è pura mercificazione della socialità, deteriorato da una cospicua affluenza di masse di scarsa o nessuna qualità intellettuale. Cui prodest?

 

Il 4 dicembre 2016 abbiamo espresso il nostro voto sulla riforma costituzionale. Se potessi, esprimerei anche un voto su una riforma digitale social, perché alcuni giorni fa, dopo ben otto anni, ho deciso di azzerare completamente il mio account Facebook (e qualche altro, di cui scriverò più avanti). Cosa significa?

Significa che, con l'ausilio di alcuni strumenti informatici[1], pochi giorni fa ho proceduto a rimuovere dalla mia utenza Facebook tutti i post, “mi piace”, commenti, foto, video e quant'altro che, negli anni, si sono accumulati. Si tratta, nel complesso, di centinaia di migliaia di operazioni, al cui proposito va ricordato che:

  1. per un'utenza così “anziana” sarebbe letteralmente impossibile svolgere a mano una simile “aratura”;
  2. è scientemente reso assai arduo, pressoché impossibile per la maggior parte delle persone (se non, appunto, mediante un procedimento automatizzato che, guarda caso, Facebook non mette a disposizione), eseguire una pulizia così radicale della propria utenza, perché vengono meno, per Mark Zuckerberg[2], gli strumenti attraverso i quali realizza profitti: se l'utenza è priva di contenuti, non interagisce, non commenta e non riceve commenti, non concede alcun “mi piace” e non ne riceve, non condivide, non segue alcuno e via discorrendo, pur restando un'utenza in grado di leggere sul portale, vede ridotta moltissimo la propria capacità di fornire indicazioni su gusti, posizioni ideologiche, preferenze, interessi, relazioni e via discorrendo.

 

Qualcuno dirà: «ma non facevi prima a cancellare l'utenza?». Si, tecnicamente avrei fatto prima. Ma c'era una cosa che volevo “salvare” (oltre a tutto ciò che ho cancellato, già salvato prima di procedere con... l'aratro, grazie all'apposita funzionalità del portale di Facebook): le connessioni con le persone.

L'utenza, infatti, mi è utile per non dare alle fiamme anche i rapporti che, nel tempo, si sono creati con alcune persone – certamente ben poche, ma ci sono – che restano degne di considerazione e, in seconda battuta, per poter continuare a leggere, di quando in quando, senza limitazioni e mantenere così la percezione del polso di una società che non si sta accorgendo, in massima parte, di cosa è diventato Facebook.

Nel 2014 scrissi su una versione precedente di questo sito un articolo intitolato Facebook e Web: convergenze parallele?[3] nel quale, parafrasando il celebre ossimoro di Aldo Moro, riflettevo sul fatto che, pur essendo Facebook un sito Web a tutti gli effetti ed essendo, dunque, parte del Web, di fatto stava realizzando un altro Web, un'altra realtà parallela al Web, capace di essere “vissuta” dai propri utenti in totale autonomia, anche senza mai “uscire” sul “vero Web”. Direi che ormai tale stato di cose sia conclamato, al punto che quando si condivide un articolo (quasi sempre a partire da una Pagina Facebook, difficilmente dal “Web esterno”) e questo è in “odore di bufala”, è lo stesso Facebook a proporre una lista di articoli “correlati” tra cui, magari, uno dal quale si apprende che quel dato argomento è, appunto, una bufala. Che, ovviamente, nessuno guarda. E, sempre ovviamente, nessuno si prende la briga di modificare il proprio post e scriverci «oops, forse ho sbagliato, potrebbe essere una bufala».

In pratica, si sta riproponendo il meccanismo di dieci-quindici anni fa del Web: quando qualche sito di pochi scrupoli, per ricavare click sulla pubblicità, esagerava con notizie false, veniva fuori l'articolo sul sito di Paolo Attivissimo[4] che lo sbugiardava. Qualcuno aveva così confermato i propri sospetti; molti altri, invece, incuranti dell'opportunità di non credere al primo arrivato, restavano elegantemente gabbati dal sito di pochi scrupoli e, presi da foga, mania di protagonismo o emulazione, iniziavano ad avviare un proprio sito o blog e a diffondere a propria volta bufale e notizie prive di fondamento, aprendo così la fase del declino del “Web di qualità”.

In tutto questo non si è parlato ancora di: livello di cultura medio delle “masse” che frequentano oggi Facebook (basso, spaventosamente basso); predisposizione a credere in bufale, catene di S. Antonio, dialettiche populiste anche di bassissima lega, promesse di visualizzare materiale pornografico se “clicchi qui”, gattini, cagnucci, bambini-prodigio, scenari di pericolo tanto falsi quanto improbabili, pagine di rilancio di siti-truffa, e ogni altra “inutilità” di cui la perversa fantasia degli ignoranti (e/o dei furbastri) è produttrice; incapacità di sostenere una conversazione anche “tra sconosciuti”[5] senza farla degenerare in vacui ed inutili contenziosi; arroganza, prepotenza, vigliaccheria e falsità tipiche dei cosiddetti “leoni da tastiera”, capaci – se nascosti dietro una tastiera, appunto – solo di infierire, denigrare, offendere o andare alla ricerca di facili consensi verbalmente ma incapaci di azioni concrete; ci fermiamo, la lista sarebbe lunga e noiosa ma ormai è chiaro il proposito.

Sta infatti lentamente iniziando a deteriorarsi anche quella che, da qualche anno, è venuta in auge come nuova figura professionale: quella del Social Media Manager, spesso indicato in sigla come SMM.

In estrema e sintetica approssimazione, un SMM dovrebbe essere un curatore di rapporti social che, alla luce delle più recenti teorie di marketing digitale, provvede ad agevolare le organizzazioni nella loro presenza sui social network – principalmente Facebook, non fosse altro perché il più “popoloso” in assoluto – con il fine di promuoverne l'attività, i rapporti con i clienti (oggi definiti personas) e le loro interazioni con il brand e gli altri, la cura e lo sviluppo della brand image, la diffusione e attuazione delle politiche aziendali, la creazione e l'alimentazione di una rete di relazioni sociali e di community che sostengano l'impresa nel tempo, facciano sentire il cliente “amato” consentendogli una “esperienza”, al centro dell'attenzione e, in breve, sostengano quel passaggio epocale che il marketing digitale descrive come passaggio da to market (albori) a marketing to (evoluzione) e, infine, a marketing with (era dei social). Ossia, co-creazione, presidio e scambio di valore.

Il deterioramento è determinato da un fattore semplicissimo: la qualità del pubblico, a sua volta (in media, ovviamente) molto deteriorata nel livello culturale, che si depaupera ulteriormente nel contatto con il resto del “branco” e con cui è sempre più difficile avere a che fare. Nella vita reale, infatti, esistono ancora alcune remore comunicative imposte dalla conversazione in presenza, capaci di impedire la degenerazione che, invece, nella comunicazione mediata da computer – in assenza di adeguati substrati culturali – scatenano il “leone da tastiera”, il troglodita e l'uomo delle caverne, privo di tabù, di freni inibitori, di principi e di valori, salvo poi trasformarsi in un pavido e codardo essere, pronto a nascondere la propria infamia non appena torni a trovarsi in una conversazione in presenza.

In altre parole, non abbiamo più a che fare con uno “specchio di realtà”, con un sistema che amplia la vita reale e, nel rifletterla così com'è, le offre le ulteriori opportunità tipiche del medium; abbiamo, invece, a che fare con uno strumento che tende ad “allineare verso il basso” anche coloro i quali, normalmente, si trovano su un gradino più elevato, determinando un generale decremento della qualità dei rapporti e del livello intellettuale.

Grazie, no, non è questo ciò che gradisco della presenza su un social network come Facebook, il cui funzionamento è ormai totalmente mercificato, dove se cambi browser o computer (o smartphone) e accedi da una postazione mai impiegata finora, vedi post di persone che non vedevi da mesi sulla tua abituale postazione: prova evidente che, se non ricorri alle liste – di cui ho parlato sul mio blog personale a suo tempo[6] – i tuoi social-rapporti sono del tutto “teleguidati” dagli algoritmi predisposti da Mark Zuckerberg. Via, via, fuori di lì, sta accadendo esattamente quel che avevo previsto nel 2013[7].

L'unico spazio su Facebook che ancora “alimento” è quello relativo alle pagine del mio blog personale, del New Blog Times e la mia “pagina politica”: per il resto, in tutta franchezza, è decaduto ogni interesse e la frequentazione si riduce alla mera lettura e all'impiego di alcuni gruppi, tra cui quelli (chiusi) dedicati ai corsi di laurea che frequento e frequenterò.

Instagram? Ho del tutto cancellato l'utenza, perché 1) sostanzialmente vale lo stesso discorso appena fatto per Facebook e 2) perché anch'esso è di Mark Zuckerberg e non ho intenzione di foraggiarlo ulteriormente.

Utilizzo ancora l'App WhatsApp solo perché il sistema operativo del mio smartphone (iOS) mi permette di non concederle accesso alla rubrica telefonica[8], altrimenti avrei asfaltato anche quella, sia perché anch'essa di Mark Zuckerberg, sia perché la quota di persone, largamente maggioritaria, irriducibile nell'impiegarla e chiusa a spazi mentali innovativi, coincide (non tutta, ma in gran parte) con quella stessa quota di persone di livello culturale medio-basso/basso che prevale ormai su Facebook.

E non è detto che non la asfalti, prima o poi: l'idea di “doverla” usare perché così fan tutti non è affatto una giustificazione intellettualmente condivisibile, specie quando esistono valide alternative (come Telegram e BBM, migliori di WhatsApp sotto ogni profilo). Anzi, vi dirò, più rifletto su quest'ultimo aspetto, più mi vien voglia di piallarla: dopotutto, email e SMS esistono ancora.

L'account su Ello, il nuovo social network nato un paio d'anni fa con l'idea di rappresentare l'alternativa libera a Facebook, l'ho rimosso per un semplice motivo: non c'è nessuno. Quello su Google Plus l'ho ormai abbandonato da tempo. Quello su Vkontakte, il social network russo, l'ho eliminato per lo stesso motivo per cui ho eliminato Ello: non c'è nessuno di interesse, o quasi.

LinkedIn, laddove gli si volesse ancora concedere la qualificazione di “social network professionale” volto ad agevolare le “connessioni tra professionisti”, vista la mia del tutto inesistente necessità di cercare un lavoro, è per me perfettamente inutile. Qualificazione che, da quando è diventato “Microsoft LinkedIn”, secondo me ha perso, trasformandosi nell'ennesima macchina rastrella-dati al servizio di un'azienda ormai votata pressoché solo a quell'attività come core business (vedi invasività di Windows 10, sotto quel profilo[9]). Dunque, eliminato anche quell'account.

Sono ancora su Twitter, per ora, almeno finché non farà la fine di Facebook.

Ho sempre i miei siti, perché lì “comando” io, non Mark Zuckerberg.

«E adesso cosa fai?», dirà qualcuno. Semplice: mi godo il silenzio, ascolto musica, leggo, studio, osservo e dedico attenzione a ciò che la merita e a chi la merita.

Vi par poco?

 

[1] Nello specifico, moduli di estensione di funzionalità per i browser normalmente usati su Personal Computer come Firefox, Chrome, Opera e simili. Un modo di interagire con la Rete e le sue realtà che, attualmente, non è praticabile attraverso uno smartphone o, per meglio dire, mediante un sistema operativo mobile, come Android di Google o iOS di Apple.

[2] Lo sanno tutti ma lo ricordo: Mark Zuckerberg è il “patron” di Facebook (ma anche di Instagram e di WhatsApp).

[3] Non più online su questo sito ma, laddove lo si volesse leggere, è accessibile sul mio blog personale a questo indirizzo: http://nibble.it/wp-content/uploads/2014/09/Facebook-e-Web-convergenze-parallele.pdf.

[4] Paolo Attivissimo, curatore del sito http://attivissimo.blogspot.it/ e sul quale esiste una scheda abbastanza dettagliata su Wikipedia, in https://it.wikipedia.org/wiki/Paolo_Attivissimo.

[5] Mark Zuckerberg ha sempre detto che è obiettivo di Facebook “connettere le persone” nel mondo, no? E come si realizzano nuove connessioni se non, almeno in parte, iniziando dallo status di “sconosciuti” per poi – forse, non necessariamente – diventare “connessi”? Di qui quella che dovrebbe essere una capacità “normale”: interfacciarsi, sia pure in modalità mediata da computer, anche con sconosciuti, mantenendo diplomazia, discrezione, tatto, moderazione e modestia. Doti che, purtroppo, mancano sempre di più.

[6] Ne ho parlato nell'articolo Facebook ha il tasto «Dolby», lo sapevate?, accessibile sul mio blog personale all'indirizzo http://nibble.it/tecnologia/how-to/facebook-ha-il-tasto-dolby-lo-sapevate-13439.html.

[7] Ho cominciato ad “allontanarmi” parzialmente da Facebook sin da quando, nel 2013, scrissi l'editoriale Facebook, un'altra bolla che sta scoppiando per il New Blog Times, accessibile su http://nbtimes.it/editoriali/16665/facebook-unaltra-bolla-che-sta-scoppiando.html.

[8] Sia pure con il limite di non decodificare i nomi (ogni chat, per me, è contraddistinta dal numero di telefono dell'interlocutore e non dal suo nome, in quanto l'App non può accedere alla rubrica, né alle foto, né al microfono, né alla posizione né può funzionare in background) e di non poter originare chat, ma solo rispondere a quelle originate da altri.

[9] Ho fatto un po' il punto della situazione su Windows 10 e, in generale, sulla politica di Microsoft nel mio blog personale, nell'articolo Ecco come Microsoft, progressivamente, «tromba» tutti, accessibile all'indirizzo http://nibble.it/?p=13642.

 

Inserito il:04/12/2016 19:58:26
Ultimo aggiornamento:05/12/2016 01:06:17
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