User experience nei pagamenti, una riflessione semiseria sul piacere del complicato.
Sono sempre stato attratto dalle complicazioni. Fin da quando agli inizi degli anni 70, con la comparsa delle prime calcolatrici tascabili, il fascino emanato dalla presenza dei tasti funzione (allora erano veramente rare) mi stimolava al loro utilizzo e che soddisfazione rispetto agli amici che utilizzavano modelli con le sole quattro operazioni. E che dire degli impianti di alta fedeltà di quegli anni (quelli della diffusione dell’HIFI) e dei compromessi che accettavo pur di soddisfare la voglia di complicazione. Laddove i puristi sostenevano la miglior musicalità dei sistemi essenziali, caratterizzati cioè dalla sola presenza del selettore degli ingressi, del volume e di un controllo di tono, io privilegiavo i modelli dotati di indicatori del livello d’uscita agli altoparlanti (i Vu-meter) e soprattutto che sfoggiavano sistemi d’equalizzazione, almeno a 10 bande, separati ovviamente per canale, e soprattutto con regolazione a cursore anzichè a manopola. E a dispetto di un peggioramento della qualità finale (ogni componente della catena di amplificazione introduce un rumore) il piacere di utilizzarli era impagabile, e soprattutto li usavo.
Ed è stato un susseguirsi nel tempo di tali approcci in tutto quello che mi interessava. Dal robot di cucina modulare (nella confezione c’erano una dozzina di pezzi per spaziare dal tritacarne, alla centrifuga, allo sbattitore e così via), ai videoregistratori, da prendere in considerazione solo se erano pieni di tasti, ai sistemi di home theatre, ai pannelli di controllo dell’impianto luci.
Anche al giorno d’oggi sono piacevolmente prigioniero di questa ricerca della complicazione … con grande disappunto di mia moglie che si lamenta dovendo utilizzare tre/quattro telecomandi per poter guardare un programma televisivo su uno schermo di proiezione. E pensare che ho evitato di impostare su uno stesso telecomando la gestione di tutte le apparecchiature connesse per semplificarle la vita!
E che discussioni sulla relativa user-experience che non può ritenersi cattiva solo perché si devono premere più tasti. Il risultato che lei si aspetta è comunque diverso dal vedere il televisore e la user experience finale, che è quella di vedere il film su uno schermo di tre metri per due, con un impianto sonoro a sette punti di ascolto in dolby, è totalmente differente da quella fruibile con un televisore di 40 pollici. Complicato ma appagante, quindi …
Certo che se l’uso del proiettore e del suono dolby si traducesse poi nel continuare a vedere una proiezione di soli 40 pollici su un telone … allora tanto varrebbe utilizzare il solo televisore!
Che dire quindi della user experience, termine che ai menzionati tempi delle calcolatrici e degli impianti HiFi non mi era certo noto, alla luce di ciò? Una buona user experience non è la semplicità in assoluto quanto la semplicità con cui trovare risposta alle proprie aspettative.
In altre parole non la si deve inquadrare in termini astratti ma relativamente al contesto in cui si sta operando. Una user experience è quindi intesa differentemente da soggetti con diverse aspettative e contesti culturali diversi.
Possiamo anche paragonarla alla Qualità. Anche la Qualità infatti non è assoluta ma misura il grado di rispetto delle caratteristiche di un prodotto. Se la caratteristica che ci interessa non è un elemento di quel prodotto, esso non fa per noi ma questo non significa che non sia di qualità per un altro.
Ma perché tutto questo discorso sulla user experience? Perché la comparsa sul mercato di diverse offerte di “mobile-payments”, sistemi di pagamento basati sull’uso degli smartphone, con le loro differenti modalità di fruizione rispetto a quella comunemente associate alle carte sta provocando una ulteriore discussione “in famiglia” sulle loro user experience.
Da una parte, in analogia con il televisore, vi è la carta di pagamento, un oggetto semplice ma dalla comprovata ed apprezzata user-experience, sia essa utilizzata inserendola nei terminali POS degli esercenti oppure semplicemente avvicinandola a tali terminali in modalità contactless (o NFC, sebbene tale termine non identifichi propriamente ciò).
Dall’altra parte, e stavolta in analogia con un superbo sistema di videoproiezione, vi è lo smartphone la cui user-experience come strumento di pagamento è ancora in itinere ma che ci permette di fare a meno della carta, sostituendosi ad essa anche nei pagamenti nei negozi fisici (brick&mortar) e promettendo la fruizione di ulteriori servizi, non facilmente pensabili fino a ieri.
“Ma se con la carta basta aprire una busta quando ci viene recapitata ed è pronta all’uso, col telefonino sono necessarie diverse operazioni preliminari” mi viene sottolineato.
Certo, occorre scaricare innanzitutto una applicazione che dipende dal tipo di telefonino in nostro possesso, poi occorre identificarsi e collegare virtualmente uno strumento di pagamento ovvero associare una modalità con cui verremo addebitati delle spese effettuate e occorre ovviamente comprovare di essere i legittimi proprietari dello strumento ovvero delle coordinate associate.
Per completezza, occorre anche dire che il tutto potrebbe essere ulteriormente condizionato dalla necessità di dover cambiare la SIM attuale con un modello compatibile con la tecnologia di pagamento contactless (NFC) e capire e/o decidere infine se il servizio di pagamento si voglia sia gestito dalla propria banca come per i nostri abituali pagamenti oppure aderire alle offerte che altri operatori stanno proponendo al mercato.
Ma tutto ciò non è altro che una registrazione ad un nuovo servizio, una tantum, analogamente a quando ci si registra ai servizi di un operatore telefonico, televisivo o per scaricare brani musicali …. una tantum!
“Si, ma se voglio usare il telefono di nostra figlia, o il tuo, come si fa?”.
In effetti ci troviamo di fronte ancora ad una offerta di prodotto più che di servizio (abbiamo detto che è in itinere) e quindi è normale che le user-experience delle offerte dei vari operatori nonchè dei diversi modelli di smartphone siano differenti. Ognuna con le sue decisioni e le sue modalità di registrazione al servizio (enrollment). Ma, proprio perché siamo ormai intimamente connessi ad uno specifico modello di telefono, pretendiamo di fruire delle solite funzionalità anche per questa nuova APP.
Certo, ciò impatta sicuramente sui fornitori di servizi di mobile-payment (le banche in primis) e solo parzialmente su noi consumatori, obbligando i primi a sviluppare una pluralità di soluzioni per soddisfare una richiesta da parte del mercato molto frammentata su modelli di telefonini non di certo sostituibili nell’uso e nei servizi. Ed è il loro obiettivo primario investire perché ogni soluzione permetta comunque a tutti noi una user experience che sia compresa e che soprattutto ci faccia poi utilizzare i telefonini per pagare.
Una volta attivato il servizio, possiamo infatti utilizzare il nostro smartphone ovunque sui terminali POS abilitati alla modalità contactless. Con qualche attivazione e comando che l’utilizzo della carta non richiede ma pervenendo alla fine allo stesso risultato: si è pagato.
“Appunto, come si può fare con la carta di pagamento contactless che ho già in tasca” viene sottolineato.
E’ diverso. Non stiamo vivendo la stessa esperienza negativa di proiettare 40 pollici su un telone di 300 pollici.
E’ già infatti possibile, con lo smartphone, agganciare ulteriori servizi al semplice pagamento, quali programmi di fidelizzazione, di ticketing, di couponing ed altro … basta scorrere le varie offerte per capire che l’obiettivo ultimo non è solo il pagamento.
Non è stimolante la consapevolezza di avere tra le mani qualcosa con tante funzioni, tanti tasti e infinite potenzialità, in grado di fronteggiare qualsiasi esigenza si possa incontrare domani?
…
La user experience è relativa e guidata dalle passioni che si vogliono soddisfare.
E comunque, sono ancora in vendita le calcolatrici che eseguono solo le quattro operazioni.