Roz Abellera (Contemporaneo - Florida) - The Network
Si può ancora parlare di telecomunicazioni?
di Bruno Lamborghini
Un recente editoriale del Corriere Comunicazioni intitola “la guerra della fibra (che sfibra)” riferendosi alla competizione tra ENEL + Metroweb e Telecom sulle reti in fibra; l’Italia, unico grande paese, non ha mai avuto concorrenze tra rete di telecomunicazione e Tv via cavo ed ora improvvisamente ha due grandi concorrenti negli investimenti nelle infrastrutture in fibra FTTH. La domanda è: questo è un bene per il Paese?
Per provare a rispondere, forse può essere utile un breve ripasso.
La lunga storia delle telecomunicazioni, più che centenaria, ha avuto per gran parte della sua esistenza un solo obiettivo, la fonia, ovvero la connessione tra telefoni per la comunicazione vocale. Questa storia ha influenzato i comportamenti degli operatori, in passato, ma per alcuni versi ancora oggi.
In primo luogo, perché la gestione della telefonia nasce in ciascun paese (e rimane per lungo tempo nel modus operandi di tanti operatori, anche se non più monopolisti) in forma di monopoli nazionali pubblici, il cui compito era di produrre un servizio universale di fonia, cioè l’accesso a tutti del servizio telefonico, allo stesso modo dell’elettricità o dell’acquedotto.
Lo era anche negli USA, dove Ma Bell, l’ATT, pur essendo una società per azioni (tutte le famiglie americane possedevano qualche azione ATT), era un monopolio, rimasto a livello local, anche dopo la decisione federale di separare le comunicazioni Long Distance da ATT all’inizio degli anni ’80.
Ma la posizione monopolistica per tanti anni si mantiene forte nei paesi europei dove gli incumbent nazionali determinano di fatto i tempi ed i modi dei processi di liberalizzazione e di privatizzazione pur sollecitati dalle politiche comunitarie, in particolare per quanto riguarda la gestione e la concorrenza nel fisso.
Diverso è lo sviluppo di effettiva concorrenza in Europa per quanto riguarda le reti cellulari mobili a partire dagli anni ’90, grazie soprattutto all’accordo a fine anni ’80 per lo standard GSM, il cellulare digitale europeo, un accordo accettato inerzialmente dagli operatori europei, i quali presumibilmente non avevano capito e valutato l’effetto dirompente che avrebbe avuto questo standard comune europeo.
Ma in realtà la sindrome monopolistica è stata in qualche modo sconvolta dalla evoluzione di Internet, dei social network e dalle tecnologie digitali, un processo che si è andato sempre più intensificando, sino a determinare la necessità di radicali mutamenti. Internet e la rivoluzione digitale hanno sconvolto non solo le telecomunicazioni, ma tanti altri settori, come la televisione, l’editoria, la discografia, il cinema.
Di fronte a questa mutazione cosmologica, l’industria dei servizi di telecomunicazione in Europa si è posta spesso non all’attacco innovativo, ma cercando di difendere antichi privilegi con evidenti criticità.
Si pensi agli attacchi contro i cosiddetti Over the Tops (OTT), cioè Google, Facebook, Twitter, accusati di fare grandi profitti a spese degli operatori delle reti su cui i social networks viaggiano.
Ora, questa difesa diviene impossibile di fronte ad una concorrenza sempre più allargata a carattere multimediale, ma soprattutto di fronte ad una mutazione radicale dei servizi: sulle reti non occupano più spazio (e quindi ricavi) voce e sms ed e-mail, ma video HD e grandi flussi di dati e segnali.
Di fatto, il servizio di fonia cellulare che aveva garantito ampi margini nel suo primo decennio di sviluppo, oggi è gratis, così come la messaggistica SMS di fronte alla diffusione di servizi voce e di messaggistica istantanea (Whatsup) divenuti parte marginale gratuita di altri servizi video, social o search.
Di fronte a questa mutazione, l’azione degli operatori TLC appare presentare due orientamenti alternativi:
a. Proseguendo l’evoluzione delle reti in rame, divenire gestori di infrastrutture nazionali in fibra (FTTC o FTTH), in grado di fornire connettività di alta qualità per consentire la circolazione di crescenti volumi di contenuti digitali (di terzi o auspicabilmente propri, tenuto conto anche dell’esplosione di flussi di dati che derivano dall’IoT), con la tentazione da parte di alcuni governi di ricostituire condizioni di monopolio nazionale per affrontare onerosi investimenti di complesso ritorno.
b. Avendo la consapevolezza che i margini provengono quasi esclusivamente, non dal trasporto, ma dall’offerta di servizi a valore aggiunto ed in specie da contenuti digitali, sviluppare ed integrare attività e partnership del mondo dei contenuti per affrontare un mercato peraltro già fortemente concorrenziale, dinamico ed imprevedibile, in presenza di operatori nati dal nulla (gli OTT) e senza l’eredità di pesanti investimenti e indebitamento, si pensi all’effetto Netflix con l’esplosione dello streaming.
Di qui la domanda provocatoria del titolo di questa nota: si può ancora parlare di telecomunicazioni?
O si è di fronte ad un nuovo mondo che richiede nuove culture, nuovi modelli di business, che richiede il superamento di processi chiusi nei confini nazionali, in particolare in questa Europa così antistoricamente frammentata? Sono necessarie infrastrutture a larga banda che ripropongono il tradizionale obiettivo del servizio universale oppure la capacità innovativa del digitale, ancora tutta da scoprire, può aprire a nuove opportunità di reti e di imprese sia nelle infrastrutture che nei servizi?
Non è forse il momento di riflettere e porsi domande?