Come Facebook entra nelle relazioni interpersonali. Quelle vere.
Un piccolo episodio di «vita vissuta» su Facebook può aiutare a comprendere quanto sia facile, per un social network di tal livello, varcare i confini di ontologie che assolutamente non gli appartengono.
Marco Valerio Principato - domenica 1 novembre 2015
Recentemente sono stato (amichevolmente) redarguito da un'amica (vera, non “solo” su Facebook) perché dice di aver pubblicato sul social network diverse foto relative a un evento importante per lei e per i suoi amici, e io non le ho quasi notate.
È vero, ha ragione, le ha pubblicate, e a me avrebbe fatto piacere vederle e scaricarle per mostrarle anche a chi condivide con me la propria vita. Il problema è che questa amica, donna impegnatissima e gravata da mille attività (avete presente la tipica donna-manager dei film? Lei: è una VP di un'importante azienda statunitense), giustamente non ha tutto questo gran tempo da dedicare a Facebook e vi presenzia saltuariamente, interagendo molto poco.
La sua "contestazione" è stata: "come mai, invece, tutto quel che scrivono tizio/tizia, caio/caia lo noti, lo leggi, rispondi, eccetera?", e ha colto l'occasione per fare battute ironiche, insinuando scherzosamente una mia “preferenza” per altre amiche (le quali lo sono sia su Facebook che nella vita reale, ndR), con cui è ampiamente visibile a tutti gli “amici” su Facebook una dose di interattività molto maggiore.
La risposta è semplice: Facebook non è imparziale. L'uso di una litote (“non è imparziale”, linguisticamente semplificato, significherebbe “è parziale”) è apparente: si tratta di negare una caratteristica, quella, appunto, dell'imparzialità. Una dote che a Facebook manca del tutto e non è un caso, perché fonda la scelta di visualizzazione dei post altrui nelle nostre bacheche su criteri del tutto commerciali.
Ci sono stati dei tentativi, da parte di Facebook, di consentire una parziale “alterazione” di questi criteri: ogni “amico” può essere impostato su “Mostra per primo” e in questo modo il social network consente di superare i propri criteri di priorità, facendo apparire i post dell'amico/a così impostato/a prima di ogni altro. L'operazione è fattibile anche per più social-amici, tuttavia, specie se di social-amici se ne hanno tanti, non è pratica: innanzi tutto è un'impostazione statica (o c'è, o non c'è) e non tiene conto del fatto che non necessariamente si desidera privilegiare in questo modo un numero elevato di persone, perché ciò produrrebbe un autentico “intasamento” della bacheca nei suoi primi post.
Ma Facebook “non vuole” che la scelta di visualizzazione sia “troppo personalizzabile”. I criteri automatici, dicevamo, sono sostanzialmente commerciali e si fondano sulla possibilità che, laddove il grado di interazione sia elevato e/o frequente, le caratteristiche profilate dei rispettivi individui siano molto più dettagliate e consentano, dunque, una maggiore spendibilità da parte del social network verso i circuiti pubblicitari, che dispongono così di un molto maggior numero di elementi per indirizzare i propri target con tutta la precisione possibile.
In tutto questo, però, c'è qualche effetto collaterale, di cui bisogna tener conto. Nella circostanza de quo, sia l'amica che mi ha “redarguito” sia la persona che condivide con me la propria vita sono persone mature, intelligenti, lungimiranti e capaci di discernere, dando a ogni circostanza il peso che merita. Restano, dunque, senza alcun sostanziale effetto reale le “battute”, volutamente “piccanti”, con cui la circostanza rende possibile “insinuare” - sempre scherzosamente – situazioni altrettanto “piccanti” che, visto lo scenario e tenuto conto delle caratteristiche del medium, restano un semplice gioco, e finisce lì.
Laddove queste doti di lungimiranza, maturità e intelligenza, unite a una certa consapevolezza del medium, fossero assenti – circostanza tutt'altro che infrequente – ecco che potrebbe facilmente derivarne qualche sorta di “minaccia” alla stabilità di un rapporto di coppia, magari sin lì sereno e privo di qualsiasi movimento tellurico in grado di comprometterne l'esistenza. Non è andata e difficilmente potrà mai andare così nel mio caso, ma quanti altri possono dire di sentirsi al sicuro di fronte a circostanze del genere?
Da questo episodio, dunque, va tratta una lezione. Come scrivevo su queste pagine lo scorso anno nella precedente edizione di Nel Futuro («Facebook e Web: convergenze parallele?», disponibile anche in formato PDF a questo link), Facebook sta ogni giorno di più realizzando un “Web nel Web”. Ma, mentre sul “vero Web” - quello “al di fuori” di Facebook – non è possibile condizionare le scelte di pubblicazione e di visibilità degli autori, all'interno del social network questo non solo avviene sistematicamente, ma viene regolato da parametri dei quali conosciamo le logiche solo marginalmente, e le approssimiamo solo grazie ad esperienze dirette, come quella qui descritta.
Se questo “avanzamento” mi preoccupava svariati mesi fa, oggi mi preoccupa ancora, e molto più di prima, per un semplice motivo: Facebook si muove con assoluta naturalezza nell'attuale grande complessità dell'intera infrastruttura che ha creato e con la quale condiziona la vita di milioni di persone. Non altrettanto è per la stragrande maggioranza del grande pubblico, delle masse.
Il nuovo ambiente plasmato dalla tecnologia elettrica è un ambiente cannibalistico che divora le persone. Per sopravvivere, bisogna studiare le abitudini dei cannibali.
(Marshall McLuhan, tratto da Non solo tecnologia… complessità e imprevedibilità dei sistemi organizzativi, uno degli interessantissimi post dell'amico prof. Piero Dominici).
Non si può sfuggire, dunque, alla complessità, se si vuol sopravvivere bene a questa nuova realtà globalizzata costituita dalla Internet-sfera. Utilizzarla con superficialità, credere ciecamente a ogni combinazione di bit che ci viene proposta senza ragionare con il proprio cervello – in modalità rigorosamente analogica – comporta che i “massimi sistemi”, di cui Facebook si autoproclama parte costituente tra le principali, si arroghino il diritto di varcare arbitrariamente il confine tra la socialità virtuale e quella reale, con conseguenze imprevedibili.
Bisogna saperlo. E regolarsi di conseguenza.