Kume Bryant (Contemporary, Tucson, Arizona) – Artificial Intelligence - 2013
Così navigò Zarathustra
La nascita cinematografica del super uomo
di Tito Giraudo
Superuomo o super macchina? Detto così il dilemma, mi sembra la stessa alternativa che è stata posta tra: tecnofilia e tecnofobia. Difficile essere tranchant, soprattutto per uno come me che l’algoritmo non ha ben compreso. Nella mia suprema cultura autodidatta cerco ancora una volta di dare una risposta letteraria, implementata dalla settima arte: il cinema.
Come avevo annunciato, proseguendo la disanima dei testi fantascientifici che più si adattano al nostro dibattito, voglio parlarvi di Arthur Clarke e del suo racconto: “La sentinella” e, di Stanley Kubrik che con “2001 odissea nello spazio” si è ispirato.
Procediamo per ordine:
Arthur Clarke (1917-2008), inglese, è la mia risposta all’eccesso positivista dell’amico Davide Torrielli, il quale ci ha invitati a badare ad una scienza priva della componente fantastica.
Obbietto:
Clarke, partendo dalla fantascienza, ha intuito l’utilizzo dell’orbita geostazionaria per i satelliti dedicati alle telecomunicazioni, lo fece in un articolo pubblicato nel 1945. In suo onore l’orbita geostazionaria della Terra è stata chiamata dalla Comunità scientifica internazionale “Fascia di Clarke”. Con questa premessa la dicotomia tra scienza e fantascienza spero si sia ridotta, non solo tra i cultori del genere ma anche tra coloro che pensano che l’intuizione è sempre stata alla base delle grandi scoperte scientifiche (Albert Einstein docet).
Arthur Clarke, prima di diventare uno scienziato (fu addirittura preside di facoltà), fu uno scrittore di fantascienza. Il primo numero di Urania fu un suo romanzo: “Le sabbie di Marte”. Solo nel dopoguerra si laureò e divenne uno scienziato senza però abbandonare la SF. Il legame di Sir Arthur Clarke (fu fatto baronetto dalla Regina) con Stanley Kubrik (1928-1999), statunitense naturalizzato britannico, è appunto il racconto “La Sentinella” del 1948.
Trama:
I terrestri hanno raggiunto la luna impiantandovi una grande stazione, durante un’esplorazione viene trovato un monolite inaccessibile perché protetto da una forza impenetrabile. Solo l’energia termonucleare riuscirà ad avere la meglio. Quell’oggetto inizierà a mandare segnali indirizzati allo spazio sconfinato.
Il monolite, in effetti è un vero e proprio radiofaro. Gli umani sapranno così di non essere soli e quindi dovranno attendere quegli antichi visitatori. I quali da millenni aspettano che l’uomo sapiens raggiunga due traguardi: la conquista dello spazio e l’energia atomica. I terrestri dovranno attendere gli ignoti visitatori.
Si tratta di un racconto e quindi il lettore può immaginare il proseguo a suo piacimento.
Cosa che fece Kubrik, regista, sceneggiatore, direttore della fotografia; fino ad allora aveva spaziato nei più diversi campi della cinematografia, sempre con dei capolavori (Orizzonti di gloria, Spartacus, Il Dottor Stranamore e altri), mancava la fantascienza che affrontò ispirandosi proprio alla “Sentinella” di Clarke, dilatandone i contenuti, soprattutto i significati, aiutato nella sceneggiatura dallo stesso Clarke.
Il film è praticamente diviso in tre parti: 300.000 anni or sono, protagonisti una tribù di primati.
Nel 2001, quando viene ritrovato sulla Luna un monolite e infine, il viaggio organizzato verso Giove, là dove il monolite invia un potente segnale.
Rispetto al racconto, tutto è dilatato spaziando vari argomenti cari alla migliore fantascienza.
La prima comparsa del monolite riguarda i nostri progenitori, vivono in una savana e il loro comportamento non si discosta da quello delle scimmie. Assistiamo quindi alla comparsa di un grande prisma nero: “il monolite”. La musica elettronica evoca le radiazioni che modificano la struttura celebrale dei primati i quali, comprendono che brandendo un grande osso possono uccidere i nemici, quegli stessi che si limitavano a spaventare con urla disumane. L’uomo sapiens prima del fuoco scopre l’arma.
Una delle scene più evocative del film, riguarda il nostro progenitore il quale, dopo aver ucciso in battaglia un nemico lancia in aria l’osso che ha usato come arma: questa, rotea nell’aria trasformandosi in una stazione spaziale sospesa nello spazio. Una danza senza la gravità, sulle note del Danubio blu di Strauss. Straordinaria la colonna sonora tutta classica anche nella parte dodecafonica. Tenterò di descriverla perché anch’essa è fondamentale.
All’inizio del film, una lunga sequenza buia con il commento elettronico invitante la meditazione, poi, con il paesaggio della savana preistorica, si passa al poema musicale di Franz Liz “Così parlò Zarathustra” a significare la nascita dell’homo Sapiens, la trasformazione dalla scimmia all’uomo sapiente. Si tornerà al “Danubio” Straussiano quando la macchina da presa inquadra l’astronave del grande viaggio verso Giove.
E’ il 2001.
Il secondo monolite viene scoperto sulla Luna.
Il direttore della Nasa dell’epoca s’imbarca sulla navetta spaziale (non molto dissimile dallo skilab odierno) per raggiungere il nostro satellite.
Quando l’uomo della Nasa viene accompagnato nel sito del ritrovamento dove è stata trovato il grande monolite nero, all’improvviso parte un segnale rivolto verso il più grande pianeta del sistema solare: Giove (tra l’altro padre degli Dei).
Cambio di scena. Un enorme astronave verso Giove.
“Al 9000”, un super computer di ultima generazione governa e pilota la nave. L’equipaggio è ibernato, con l’esclusione di due astronauti che, avendo in Al un factotum autosufficiente, passano il loro tempo in esercizi ginnici, ascoltando musica, guardando film.
“Al” ad un certo punto denuncia un’avaria che però si scopre non esistere.
I due astronauti, preoccupati dall’errore dell’elaboratore che pensano infallibile, decidono per precauzione di privare Al delle sue parti più complesse, onde impedire alla macchina iniziative autonome.
Quando uno dei due uomini si reca al di fuori della nave per ricollocare l’apparato “presunto” difettoso, subisce uno strano incidente. L’altro astronauta, cerca di recuperare il corpo del collega rischiando di fare la stessa fine.
“Al”, che nel frattempo ha staccato la spina agli ibernati uccidendoli, tenta di far fuori anche l’ultimo superstite. Tra uomo e macchina, il chiarimento. Al ha udito la conversazione che minaccia la sua menomazione e quindi dichiara di non poter permettere ciò, poiché l’autoconservazione viene prima del servizio all’uomo. Solo un’astuzia imprevista consente al superstite umano di rientrare sulla nave e quindi disattivare completamente l’elaboratore.
“Al 9000” spirerà quasi umanamente.
Inizia quindi la terza parte. L’astronave pilotata dall’unico superstite, raggiunge l’orbita di Giove e il terzo monolite che proietterà l’astronave nello spazio-tempo, consentendo di raggiungere la galassia delle entità responsabili di quella prima evoluzione umana.
Giunto a destinazione, in una lunga sequenza, l’uomo osserva se stesso invecchiare fino alla morte corporale che consentirà l’ulteriore mutazione: da Sapiens a Super uomo.
In una bellissima scena, l’ovulo umano modificato, viene messo in parallelo, simbolicamente, con la Terra vista dallo spazio mentre la colonna sonora riprende il tema: “Così parlò Zarathustra”.
Ho raccontato il film, perché dei tre miei lettori affezionati, uno è un matusalemme come me e quindi avrà visto il film, ma degli altri due: quello maturo l’avrà visto distrattamente in TV tra una pubblicità e l’altra e il giovane, con tutta probabilità, non sa di che parlo.
Raccontato il film, non mi resta che passare all’ideologia (almeno come l’interpreta chi scrive).
Il monolite rappresenta l’intervento esterno verso l’uomo consentendo la sua evoluzione.
Dio? Una razza extraterrestre? Ognuno, ripeto, può darsi la spiegazione che crede.
I due autori raccolgono le numerose incertezze creazioniste sull’uomo e, scientificamente cercano di rispondere alla mancanza, o presunta tale, dell’anello di congiunzione, mai veramente scoperto scientificamente, tra primati e homo sapiens (solo di questi tempi, a noi illuministi non fanatici, è permessa la discussione sull’opera di Darwin).
Il viaggio dell’astronave svela l’inadeguatezza dell’uomo attuale rispetto alle macchine che ha creato sempre più intelligenti e quindi: i pericoli insiti in tutto ciò se la mente dell’uomo non evolve nel super uomo di nietzschiana memoria.
Un’ultima considerazione sugli aspetti avveniristici e tecnologici del film. Me lo sono rivisto. A distanza di un mezzo secolo, mi sento dichiararlo profetico soprattutto sulle problematiche legate all’intelligenza artificiale.
Sul piano della fantascienza tecnologica, tutto quello che vediamo, è plausibile perché ispirato dalle previsioni scientifiche e spaziali degli anni 60 del secolo scorso. Invece, la data: “2001” è l’unico svarione. Ma se ci pensiamo bene, solo la fine della guerra fredda che ha rallentato la corsa allo spazio ha impedito anche quest’azzardo, puntando su una data, aimè, troppo prossima.
In quanto a Dio o agli extraterrestri, rispetto alla condizione umana attuale, l’attuale voglia di super eroi ci riporta, anche se alquanto maldestramente, al mito nietzschiano e al suo Zarathustra. Che in questo film parla. Eccome!