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Il ruolo delle Associazioni negli anni ’20 del XXI secolo
di Massimo di Virgilio
“la democrazia non è parteggiare, ma partecipare”
Sono anni molto difficili questi, talmente complessi da indurre chiunque ad evitare, starei per dire ad azzardare qualsivoglia semplificazione. Non mi permetterò di fare un elenco dei problemi che attanagliano il mondo intero, ci mancherebbe; il mio intento è di provare a riflettere, seppur brevemente, su come stanno andando le cose. E, in particolare, su quale sia lo stato dell’arte in termini di: “diritti, libertà e possibilità”: tre diverse dimensioni intimamente correlate che, intersecandosi, contribuiscono a caratterizzare le nostre vite, a livello personale, lavorativo e sociale.
In particolare, vorrei aprire un dialogo, non solo all’interno di FIDAINFORM, ma anche di “COMUNITA’ COLLABORATIVE”, una sorta di meta-associazione, formata alla data insieme ad altre diciotto associazioni apolitiche, apartitiche e senza fini di lucro, i cui componenti, o si occupano di informatica o ne sono utilizzatori; lo faccio, sintonizzandomi con lo spirito peculiare del mondo “associativo”, che in forma complementare ci arricchisce come individui, ci stimola come soggetti economici e ci impegna a ragionare come ‘cittadini’; tre dimensioni, tre modi di essere, tre modi di relazionarci.
Il punto su cui vorrei concentrarmi è: l’importanza del dibattito pubblico su temi molto rilevanti, come quelli indotti dalla trasformazione digitale, e sul ruolo che le associazioni devono rivestire in tale contesto. Coerentemente con questi assunti, avvio la mia riflessione, prendendo in prestito una frase bellissima: “la democrazia non è parteggiare, ma partecipare”, pronunciata dal nostro Presidente, Sergio Mattarella, nel discorso da lui tenuto il 3 luglio 2024, a Trieste, in occasione delle ‘settimane sociali’. Parole più belle non avrei potuto trovare; esse sono infatti capaci, con una sintesi assoluta, fatemi aggiungere ‘asciutta’, priva di fronzoli o di inutili abbellimenti, di indicare alle persone, alle organizzazioni e alle istituzioni la strada da seguire in qualsivoglia contesto civile, in particolare, in un momento come questo, forse tra i più difficili non solo per l’Italia, ma per il mondo intero.
“Partecipare”, esprime la voglia di esserci, lo slancio ad impegnarsi, la volontà di congiungersi, la determinazione ad integrarsi e complementarsi, in sintesi, la scelta di ‘associarsi’; è questa la spinta che dà vita alle associazioni. Un luogo di incontro e di ascolto di cui si condividono princìpi e fini, scolpiti nei rispettivi Statuti che poi differenziano e caratterizzano le une rispetto alle altre; prendo in prestito quello del Club di Roma che recita:
“Il Club si propone di contribuire allo sviluppo sociale, economico ed industriale del Paese tramite la promozione di un corretto uso delle Tecnologie dell’Informazione”.
Un intento programmatico molto nobile che richiede, e qui ritorna la radice del verbo evocato in esordio, una partecipazione molto attiva e appassionata; tanto più in una fase estremamente delicata per tutte e tutti noi.
In uno scenario in cui, in particolare, il mondo ICT è soggetto ad una raffica di sollecitazioni. Il che non è una novità, essendo esso, per sua natura, vulcanico, sempre impegnato ad autogenerare trasformazioni continue con vere e proprie esplosioni che ne cambiano ripetutamente non solo il volto ma anche l’anima. Quanti sommovimenti abbiamo visto e vissuto in tanti anni; ogni volta alle prese con dei cambi di rotta epocali. In questa fase però si è prodotta una sorta di salto quantico, che ha creato un tale iato tra le Big Tech e il resto del mondo ICT, da generare una profonda linea di faglia. D’altronde non sfugge ad alcuno quanto ciclopiche siano le loro patrimonializzazioni, superiori addirittura al PIL di molti importanti Paesi, e quanto forte sia la leadership che esse detengono ed esercitano su interi settori assolutamente strategici. Immediatamente al di sotto delle nuove ‘sette sorelle’, c’è poi un secondo livello di grandi corporation, la cui taglia è talmente ampia da coprire il mercato a livello planetario, primeggiando negli ambiti più diversificati; e poi, campioni pluri-continentali, internazionali, nazionali, e poi giù, sempre più giù, fino a soggetti puntiformi. Una piramide che si innalza verso vette ai più lontane e irraggiungibili e dalla cui sommità si dipanano gli indirizzi che segnano la storia sia delle organizzazioni, pubbliche e private, sia delle persone. La mia personale impressione, sperando che essa non appaia troppo tranchant è che, dopo i tanti sacrifici e le tante lotte fatte da tutte e tutti in tanti anni, la storia faccia una virata di centottanta gradi, riportandoci in un baleno in un mondo passato, simile a quello medievale: è troppo se parlo di ‘feudalesimo digitale’?, So che può apparire un colpo allo stomaco, ma non riesco a trovare altra espressione per definire una realtà planetaria le cui chiavi sono nelle mani di chi guida sviluppo tecnologico e innovazione, che fino ad ora non hanno dato dimostrazione di brillare per neutralità e terzietà. Il nostro futuro non potrà non esserne condizionato.
Che ne sarà di realtà dimensionalmente collocate ad anni luce di distanza? Che ne sarà dell’homo informaticus che vive alle nostre latitudini? Avrà un ruolo da attore in questi grandi progetti di trasformazione, o sarà una vittima predestinata? Tenendo altresì conto che stiamo andando verso “… una società e una economia digitalizzate e post generazionali, per le quali servono una nuova stagione della responsabilità manageriale, che non può eludere il confronto con le conseguenze dei due megatrend dell’accresciuta longevità e dell’esplosione della tecnologia”1 .
Essendo testimoni di una deriva decisamente impressionante, credo sarebbe il caso di domandarsi se non sia il caso di trovare quel tempo tiranno che ci fagocita, a torto o a ragione, per impegnarci a fare qualcosa, non dico per correggere questo scivolamento, ma almeno per cominciare a cambiare di qualche grado la rotta.
Confidando in un ravvedimento operoso, gli individui o si rassegnano a sopravvivere, accettando che spetti a poche élite decidere le sorti di milioni di persone, oppure provano, con grande realismo, a convincersi che uno scuotimento sia necessario. Per quanto mi riguarda, quindi parlo a titolo personale, credo che sul piano programmatico ci sia, al momento, una unica strada: quella indicata dall’ex Premier italiano Mario Draghi, nel suo Rapporto sulla Competitività. E dico questo, non perché io voglia parteggiare, ma perché non mi sembra ci siano in giro proposte di analoga portata, rilevanza e significatività. I soggetti istituzionali, politici, sindacali, accademici e industriali del nostro Paese e noi tutte e tutti dovremmo rifletterci molto bene, sintonizzandoci sulle lunghezze d’onda contenute in questo importantissimo documento, evitando di rimuoverlo o esorcizzarlo, come mi sembra stia avvenendo da qualche parte.
Per quel che riguarda gli individui è necessario che, una buona volta per tutte, si convincano a cambiare registro. Oggi vivono in due dimensioni distinte: quella ‘individualista’, loro propria, incardinata su sé stessi e sulla propria famiglia e, a fianco, quella ‘economico-lavorativa’, che tanto intensamente coinvolge l’homo economicus; non basta, occorre andare oltre, allargando gli orizzonti verso una terza dimensione. Come dice Amartya Sen: non si può fare economia senza occuparsi di diritti, libertà e capabilities, termine difficilmente traslabile in italiano, che il prof. L. Bruni, con grande efficacia, traduce in “mettere le persone in condizione di poter fare”. Occorre avere il coraggio di “poter fare”, sommando i propri singoli vettori: probabilmente, reti e distretti di imprese sono l’unico modello alternativo che ha il nostro Paese, vista la sua realtà dimensionale e viste le risorse finanziarie disponibili, altresì male utilizzate (e.g. PNRR), e poco indirizzate (e.g. risparmio privato).
Anche gli individui devono abituarsi a vivere una terza dimensione, quella ‘civica’. Serve “una idea concreta, uno spazio in cui una persona può vivere la propria vita relazionale”2 , collegandosi in ‘Comunità’, organizzazioni apolitiche, apartitiche e senza fini di lucro, che perimetrano ambiti non competitivi, in cui non domina l’interesse, in cui si crea una identità ‘collettiva’, che aiuta ad uscire dall’opacità indotta da una sorta di ‘nebbia mentale’ che ci affligge; non possiamo vivere solo come professionisti, manager o imprenditori, ma dobbiamo essere più convintamente ‘donne’, ‘uomini’ e ‘cittadini’; dobbiamo impegnarci di più a collaborare in ambiti nei quali fertilizzarci reciprocamente, riguadagnando le passioni perdute, perché altrimenti, come scrive Manzoni, quando esse dovessero mancare “saranno i ciechi a guidare”. Occorre complementarsi, nel rispetto delle singole individualità, ma una volta per tutte convinti che questo modello è l’unico antidoto di cui disponiamo per correggere il difetto di cui le classi dirigenti a volte sono purtroppo affette: accidia e ignavia le rendono rinunciatarie, inchiodandole in attesa, massimizzando le rendite, restando a guardare e aspettando.
Una comunità, se vissuta con lo spirito di servizio e terzietà ‘giusto’, è un luogo che aiuta a combattere i rischi di autoreferenzialità, nel rispetto di quel che diceva Keynes: “è sorprendente quali sciocchezze si possano temporaneamente credere, se si pensa troppo a lungo da soli”, o in un solo ambito, aggiungo io.
Per tutte queste ragioni, desidero ringraziare il CDTI di Roma, le Associazioni e i Club italiani aderenti a FIDAINFORM, e le altre dodici Associazioni che hanno accettato, al momento, di aderire a “Comunità Collaborative”, non solo per tutto quello che fanno, ma anche per evidenziare tre strade che abbiamo intrapreso con lo spirito descritto:
- FUTURA, un progetto meraviglioso di mentorship e networking “pro bono” dedicato alle start-up, molto apprezzato dai giovani, di cui possiamo essere fieri;
- la nuova iniziativa nazionale di mentorship “pro bono” di FIDAINFORM che, oltre a rivolgersi alle start-up, si allargherà alle PMI e al mondo della Scuola;
- “COMUNITA’ COLLABORATIVE”, nata da poco, per attivare un dialogo tra persone impegnate in diversi domini, che vanno oltre l’ambito ICT, mettendo insieme storie, culture, competenze ed esperienze diverse per chiedere, da un lato, a ‘politica e istituzioni’ un sostanziale cambio di passo, e, dall’altro, per riflettere e concordare con le persone - cittadini e utenti -, quale debba essere la più corretta direzione dell’innovazione, che noi auspichiamo si formi dal ‘basso’ per correggere quelle calate dall’alto.
Richiamandoci alla saggezza di un proverbio africano: “Se vuoi andare veloce, corri da solo, se vuoi andare lontano, vai insieme a qualcuno”, orgogliosi di non essere rimasti immobili, ci assumiamo le nostre responsabilità, confidando di accogliere in questo cammino tante altre persone e associazioni.
1 G.REBORA, “Una nuova intelligenza organizzativa per l’era digitale”, in Scenari macroeconomici, 16 ottobre 2024
2 E.RENZI, “Comunità concrete, le opere e i pensieri di Adriano Olivetti”, Guida, Napoli, pag.48