Kume Bryant (Contemporary, Tucson, Arizona) – Artificial Intelligence - 2013
Siamo tutti tecnofobi e tecnofili, e per fortuna siamo tutti diversi (così serviamo tutti)
di Giorgio Porazzi
L'articolo "L'ultra-civiltà: Mattia Pascal e l’Ubermensch di Federico Torrielli" stimola un paio di riflessioni in merito alle caratteristiche dell'individuo, alla sua evoluzione ed ai vincoli della intelligenza artificiale (AI).
In primis, a mio avviso preciserei che i due appellativi "tecnofobo" e "tecnofilo" non sono assoluti e univocamente associati ad un individuo, ma piuttosto due caratterizzazioni comportamentali variabili e coesistenti del comportamento di ognuno in funzione del tipo di tecnologia ovvero delle modalità di interazione previste da quella tecnologia. Ognuno di noi può cioè, ad esempio, avere un approccio tecnofobo nei confronti di internet e tecnofilo nei confronti dei televisori.
Se vediamo la tecnologia come la capacità di miniaturizzare e rendere così possibile ad un sempre maggior numero di persone l'esecuzione di processi altrimenti alla portata di pochi, è altrettanto vero che non tutti risultano interessati a tutte le tecnologie ed alla comprensione delle regole di fruizione che esse comportano.
Siamo cioè, esseri umani dotati del libero arbitrio e della capacità quindi di selezionare e incanalare la nostra attenzione laddove la tecnologia asseconda il nostro interesse. Ma questo evidenzia appunto che ogni essere umano può nel contempo avere un atteggiamento tecnofobo nei confronti di ciò che non lo interessa ed uno tecnofilo laddove la tecnologia ha prodotto un risultato che lo appassiona. Né più né meno è quanto succede quando parliamo di cibo, di automobili, di hobby ...
Potremmo anche dire, per fortuna! La diversità e quindi la complementarietà è infatti alla base della nostra evoluzione e ... del progresso tecnologico la cui manifestazione non dipende, e non deve dipendere, dalla adozione universale di tutto quanto reso disponibile. Da ciò deriva che non ci può essere una sola manifestazione di AI!
E questo è il secondo spunto di riflessione.
Poiché la nostra evoluzione è legata alla complementarietà, non potrebbe esistere un futuro non più caratterizzato dalla diversità (non solo degli individui)!
Se l'AI fosse infatti caratterizzata dal non avere limiti, non si vede come possa ammettere istanze/repliche di se stessa che non siano dotate delle stesse connotazioni e capacità, senza rispettare quindi l'esistenza della diversità.
La citata caratteristica dell'AI di apprendere continuamente potrebbe allora fare da freno alla sua evoluzione oppure, proprio perché caratterizzata da apprendimento continuo, riuscirebbe a capire che se non si trovasse anche in uno stadio "diverso" cesserebbe di esistere?
A scanso di equivoci, quindi, "il rispetto della diversità" ed "il mantenere la diversità" devono essere due caratteristiche necessariamente inserite nei programmi di intelligenza artificiale e derivati (con ripristino dell'armonia dell'uomo, del superuomo e delle loro relazioni coi robot che a questo punto avrebbero anche loro, come noi, pregi e difetti).
Se così non fosse, quanto tempo occorrerebbe perché l'AI possa autonomamente capire ciò? prima della sua stessa estinzione?
Termino riportando un ulteriore personale commento in merito poi alla vulnerabilità degli approcci tecnofobi e tecnofili: non necessariamente i comportamenti virtuosi nei confronti dei pericoli della rete e delle relative truffe sono caratteristiche dell'approccio tecnofilo, anzi, è proprio il comportamento a volte saccente che ne deriva a rendere l'individuo maggiormente esposto e vulnerabile a tali pericoli. L'approccio tecnofobo non fa usare le e-mail; spinge ad andare all'ufficio postale. :-)