Copertina della Domenica del Corriere del 1 marzo1964 – Genova – Ponte Morandi
Crollo e Ricostruzione del Ponte Morandi (2)
Osservazioni sulle modalità di gestione dopo il crollo
di Ignazio Crivelli Visconti
Premessa
Questo secondo articolo segue il primo analogo edito da Nel Futuro in data 31 gennaio 2019 che ha presentato una veloce descrizione della presenza oggi con facile disponibilità di materiali innovativi per applicazioni strutturali di forte impatto. In particolare si vuole qui chiarire come oggi, ma in realtà già da parecchio tempo, tali materiali rappresentino una più che valida opzione alternativa ai materiali tradizionali impiegati per la costruzione o per il ripristino strutturale di ponti, viadotti, e opere similari.
Si fa appunto riferimento ai materiali compositi fibrosi, descritti nel primo articolo, costituiti da fibre con caratteristiche meccaniche elevatissime, bassa densità e quindi basso peso, resistenti ad azioni corrosive dovute alla carbonatazione e ad atmosfere salmastre, e totalmente stabili nel tempo.
Tali fibre sono tenute insieme, dando forma e geometria al pezzo, da un legante o matrice di natura polimerica, anch’essa di bassa densità, stabile e resistente a corrosioni da parte di agenti di diversa natura.
Si è visto nell’articolo precedente come sia ormai accertata la totale affidabilità nel tempo dei materiali compositi, soprattutto considerando che nei nostri cieli volano aerei da più di vari decenni realizzati con uso notevole di elementi non strutturali, semi-strutturali e strutturali, realizzati in materiali compositi, come mostra la Fig. 1 che indica la percentuale di composito, > del 50%, impiegata nel velivolo Air Bus 350-900.
Fig. 1- Schema semplificato delle percentuali di composito utilizzato nell’ AIR BUS A 350-900, anche in strutture primarie o elementi strutturali
Nel seguito si cercherà di porre in evidenza le potenzialità concrete dei materiali compositi fibrosi, trascurate nell’ambito della gestione degli avvenimenti relativi alla tragedia del ponte “Morandi” di Genova, e in relazione anche agli avvenimenti di uguale natura di pubblico dominio nei giorni presenti.
Ponte Morandi
Il tragico avvenimento relativo al crollo del cosiddetto “ponte Morandi” a Genova non è purtroppo unico. Le cause dei cedimenti di alcuni degli elementi strutturali, solo di recente acclarati, non hanno che confermato quanto già noto, ormai da decenni, di come strutture costituite da ferro o acciaio inglobate in cemento o calcestruzzo siano destinate, prima o poi, a invecchiamento e collasso in seguito alle azioni corrosive (carbonatazione e ossidazione) dovute alla lenta ma inesorabile penetrazione di agenti corrosivi, come ossigeno e altri agenti, dall’esterno all’interno del componente.
Che ciò sia, inoltre, particolarmente attivo in località in prossimità del mare è altrettanto noto, come dimostrato in tempi non tanto lontani dai non dimenticati esempi di Sicilia e Sardegna: l’atmosfera salmastra amplifica e accelera i fenomeni corrosivi. Ovviamente negli anni ’50 e ’60, quando l’uso sfrenato del “cemento armato” iniziò la sua diffusione in maniera continua ed esponenziale, non solo questi fenomeni non erano ancora stati sperimentati, ma non esistevano materiali strutturali davvero alternativi, se non in muratura e con particolari geometrie che non si adattavano certamente a ponti di grande impatto.
Non c’è da recriminare quindi se oggi esistono in giro per il mondo migliaia di ponti moderni costruiti in ferro o in cemento armato, che costituiscono però una minaccia continua e hanno bisogno di sorveglianza, indagini tecniche e interventi in continuo.
Ciò che lascia però perplessi è come si sia trattata, in questa fase di conoscenza oggi, l’intera questione e gestione dell’avvenimento nonostante sin dai giorni subito successivi al crollo si siano levate voci (v. Renzo Piano) di come fosse “necessario” cha da parte di “tutti” si facesse sistema per affrontare nel modo migliore la situazione tragica ed emergenziale. Sembrerebbe, infatti, che la “storia” non abbia dato insegnamenti: da un lato relativamente alla non affidabilità di strutture per ponti basate su calcestruzzo armato in ferro o acciaio; dall’altro il non aver neppure considerato la possibile alternativa, per la costruzione del “nuovo” ponte, di materiali alternativi oggi certamente disponibili.
Avvenimenti successivi al crollo
Ma un ulteriore aspetto sembra avere altrettanta, e forse maggiore, importanza nei riguardi di Genova ma anche nei riguardi di altri simili accertamenti (anch’essi già noti) recentemente riportati sia dalla stampa, come in La Repubblica del 31 gennaio 2019 sia in servizi televisivi.
Ci si riferisce sia alle parti non crollate del ponte Morandi sia ai numerosi punti critici denunciati e resi noti, come il caso del viadotto sulla E45. Casi, questi, in cui non si sono fortunatamente prodotti crolli ma si è evidenziato in maniera non contestabile quanto detto circa i fenomeni corrosivi su strutture in cemento armato, come del tipo riportato come esempio in Fig. 2, che mostra il ferro dell’elemento corroso o in via di completa corrosione che avrebbe probabilmente portato al collasso l’intera struttura.
Fig. 2- Esempio di corrosione di cemento armato in prossimità di ambienti marini
Le cause del degrado funzionale dell’elemento sono da attribuire a carbonatazione e ad atmosfera salmastra: tramite l’anidride carbonica sempre presente, la produzione di carbonati di calcio e di idrossido di calcio comporta degrado e distruzione dello strato esterno cementizio del manufatto che protegge il metallo (copriferro) e una volta iniziato il fenomeno, l’ossidazione del ferro aumenta il volume del ferro aggredito con la conseguenza di fare “scoppiare” il cemento anche all’interno del copriferro facendo proseguire ancora più velocemente il danneggiamento e potendo così arrivare all’annullamento dell’azione di rinforzo del metallo. A questo si può aggiungere, in alcuni casi come certo a Genova, l’azione dell’atmosfera salmastra che amplifica il fenomeno con ulteriori azioni corrosive.
E’ sintomatico, come semplice indizio, il caso di pontili marini normalmente realizzati in legno o cemento armato e ora rimpiazzati da strutture in composito, come nell’esempio riportato in Fig. 3, in località Pineta di Lignano, realizzato da M.M. caratterizzato da durata, leggerezza, resistenza a corrosione marina.
Fig. 3- Pontile a mare, realizzato in località Pineta, Lignano, da M.M. in materiale composito
Si aggiunge quindi, ahinoi, la beffa incomprensibile ormai resa soluzione irreversibile, circa il resto delle parti non crollate del ponte “Morandi”: la decisione di abbattere meccanicamente il tutto per poi ri-costruire l’intero nuovo ponte con i detti materiali tradizionali, di cui conosciamo bene ora la fine tra un certo tempo, appare assurda, anti-economica, lunga, terribilmente invadente per la popolazione e le attività colpite dal crollo.
Ancora una volta non è comprensibile la volontà di non voler prendere neppure in considerazione la possibilità di utilizzare i materiali compositi per, totalmente e più che validamente, ripristinare e migliorare le missioni dei singoli elementi degradati, com’era originariamente nel progetto iniziale e come si dimostrerà nelle righe seguenti.
Il “tutti” invocato dall’Architetto Senatore Piano è stato messo da parte, anche dallo stesso Piano, sostituito da un più conveniente “alcuni”.
Stato internazionale dell’Arte
Circa 30 anni orsono, primi anni ’90, sono iniziate in sordina le prime applicazioni dei materiali compositi per elementi di ponti. Naturalmente all’inizio l’argomento ha riguardato paesi e personaggi pronti alle innovazioni, e lentamente la platea di utilizzatori dei compositi per ponti si è allargata a Enti, Comitati, centri di Ricerca e Sviluppo in tutti i paesi avanzati. Tra questi citiamo l’ACI, American Concrete Institute, l’EMPA in Svizzera, il Caltrans California Department of Transportation, l’ASCE American Society of Civil Engineering, l’ISIS Canada Network of Centres of Excellence, oltre università in USA, in Giappone, in Italia, in UK, in Russia, in Cina insieme a gruppi industriali nazionali e internazionali come il gruppo MAPEI, Gurit, Mitsubishi Chemicals, Japan, and Tokyo Rope.
A dimostrazione comunque del ritardo dell’industria delle Costruzioni Civili a interessarsi dei materiali compositi in Italia ma anche in ambito internazionale, si consideri che in uno dei manuali più esaurienti e interessanti sui ponti, loro storia, caratteristiche, aspetti, componenti ,cioè Bridge Engineering Handbook, ed. CRC Press del 2000, su 67 articoli preparati dai maggiori esperti e progettisti, ricercatori di livello mondiale, un solo articolo cita le allora già ampiamente note proprietà dei materiali compositi e le loro potenzialità come alternativa nella costruzione di tutti i componenti di un ponte dalle travi, alle torri, agli stralli, ai piloni, alle solette ponendo tra l’altro certamente enfasi sulle grandi aspettative ma anche su alcuni dettagli oggi totalmente superati.
E tutto ciò mentre, nel 2000, aerei costruiti in composito solcavano i cieli già da più di 20 anni in piena tranquillità!
E ciò nonostante nel manuale citato si cita “arte strutturale…disciplina che coniuga efficienza ed economia…affidabilità della missione e minima quantità di materiali” citando Telford, Eiffel, Roebligg, e poi Asch, Schlaich e soprattutto Maillart. Per tutti valendo, come parole d’ordine: “piastre di acciaio, travi prefabbricate in cemento armato, calcestruzzo e ferro”.
Nel periodo citato del manuale, si fanno riferimenti a ponti “ortotropi” (facilmente ottenibili dai compositi per la loro natura anisotropa), stress da fatica (e ancora per la loro natura i compositi resistono meglio dei metalli a questo tipo di sollecitazione), danneggiamenti da corrosione delle armature in metallo (note in USA dagli anni ’70) cui si poneva rimedio addirittura con ventilazione forzata! Oltre citazioni su ponti mobili (v. esempio di Fig. 4) e ponti flottanti per cui la leggerezza della struttura diviene una qualità irrinunciabile, e sulla struttura delle torri.
Fig.4- Ponte mobile nel porto di Rhyl nel Galles del nord. Da Gurit e AM Structures
Un’attenzione particolare sarebbe da porre sui ponti strallati, ove lo strallo sollecitato essenzialmente da stato tensionale di trazione uniassiale rappresenta la geometria davvero ottimale di sfruttamento del composito fibroso che può così mostrare proprietà vicine ai suoi limiti massimi teorici, rappresentando l’uso più efficiente in assoluto di tali materiali, con vantaggi enormi rispetto ai metalli, in termini di peso dello strallo stesso e di conseguenza del peso gravante sulle altre strutture del ponte. Anche per gli stralli un’applicazione estremamente impegnativa del 1996 è avvenuta per il ponte di Stosse, nella regione di Winterthur, dove stralli in composito con fibre di carbonio da allora non hanno mostrato alcun segno di deterioramento.
Nonostante le perplessità, dubbi, incertezze, inerzie citate, l’applicazione dei compositi in strutture di ponti ha certamente progredito anche se lentamente dai primi anni ’90. E’ del 1992 quella che si ricorda come la prima applicazione, citata da TuttoCompositi, cioè il ponte di Aberfeldy, Scozia riportato in Fig. 5 di 63 m di lunghezza, con anche le torri in composito: controllato di recente ha mostrato assenza di difetti particolari.
Fig 5- Il primo ponte interamente in composito, Aberfeldy, Scozia, 1992. Da Composites and Architecture, Tutto Compositi
Intanto in molti laboratori sia di ricerca sia industriali, anche in Italia si moltiplicavano studi e sperimentazioni sull’uso dei materiali compositi per ponti, alla luce delle loro proprietà che via via convincevano sempre più anche i non addetti.
Materiali e tecnologie alternative
Oltre che su esperienze personali, che potrebbero certo non essere sufficienti, le osservazioni riportate sono basate su solide esperienze e conoscenze sia nazionali che internazionali e nel seguito si cercherà succintamente di citarne alcune.
Che il settore delle costruzioni civili sia interessato solo da poco tempo allo sfruttamento delle enormi potenzialità dei materiali compositi fibrosi è un fatto noto; ma nonostante ciò le applicazioni, gli interessi e la preparazione industriale, le normative e l’attenzione in generale presentano notevoli ritmi di crescita, in Italia ma soprattutto nei paesi più avanzati, come si può facilmente verificare.
I valori delle cosiddette “proprietà specifiche”, indicate nell’articolo precedente, cioè il valore contemporaneo delle proprietà meccaniche e del peso del materiale, sono i parametri di primaria importanza nella progettazione di componenti altamente efficienti in moltissimi settori. E’ facilmente comprensibile ciò per il settore aeronautico, sportivo, navale, spaziale; ma altrettanto facilmente può essere compreso per le costruzioni civili.
Come esempio di grande attualità si può considerare il caso di costruzioni anti-sismiche: proporzionando opportunamente l’elasticità e la rigidità delle strutture primarie si possono tollerare spostamenti anche significativi del manufatto, accettando nelle situazioni più gravi anche il collasso di elementi non-strutturali o semi-strutturali assicurando comunque il non collasso degli elementi strutturali del manufatto assicurandone la continuazione della missione. Tutto ciò è decisamente favorito dall’uso di materiali leggeri la cui elasticità o rigidità sia programmabile, come appunto accade per i materiali compositi fibrosi.
Ma l’esempio forse più significativo è dato proprio dal caso di ponti, viadotti, o simili strutture. Specialmente in caso di grandi luci il ponte deve essere stabile e sicuro per fronteggiare la sua missione, cioè il transito di mezzi pesanti come auto, moto, TIR, treni, e contemporaneamente eventuali elementi naturali come venti, tempeste, movimenti tellurici.
E nell’individuazione dei materiali con cui costruire il ponte e tutti gli elementi conseguenti si pone realmente la scelta di materiali sia resistenti meccanicamente, sia con rigidità ed elasticità voluta. Ma se il peso degli stessi materiali è molto elevato, esiste il rischio (assurdo!) che le strutture del ponte debbano essere proporzionate per far fronte non alla sua missione, ma per sopportare il proprio peso. Questo pericolo esiste davvero per ponti di taglie particolari.
Paragonando però le “proprietà specifiche” dei materiali tradizionali con quelle dei compositi si è visto, nell’articolo precedente citato, come queste ultime siano molte volte superiori di quelle stesse dei materiali tradizionali e quindi certamente preferibili potendo offrire alternative di ponti molto più leggeri e più resistenti e a rigidità controllata.
Ma la proprietà ulteriore, che appare decisiva per la loro scelta, è la migliore resistenza ad agenti corrosivi che sono la causa principale dell’invecchiamento e degrado dei ponti in materiali tradizionali.
Le osservazioni che precedono riguardano sia costruzioni ex-novo, come ad esempio della parte crollata del ponte Morandi, sia tutti gli aspetti di consolidamento strutturale e di riabilitazione con ripristino della funzionalità di elementi in materiali tradizionali degradati dall’invecchiamento e dalla corrosione, come le restanti parti del ponte Morandi, o gli altri numerosi casi noti.
Occorre distinguere quindi tra tecnologie indirizzate alle due finalità differenti:
1- per costruzioni ex-novo
2- per operazioni di ripristino e consolidamento strutturale
Ex-novo
I dettagli delle tecnologie di costruzione di ponti ex-novo sono da adattarsi alle situazioni logistiche del sito d’insediamento e non si vuole qui esaminare le diverse casistiche. E’ istruttivo invece mostrare come i principali aspetti delle diverse tecnologie siano consolidati e di facile attuazione utilizzando assemblaggi successivi.
Si può partire da elementi in composito ottenuti da una tecnologia chiamata “pultrusione” che permette di ottenere “pultrusi” molto simili ai noti profilati metallici, con sezione a T, doppio T, U, L, e così via ma anche di geometria molto più complessa e di qualunque dimensione. Un esempio di pultrusi di semplice geometria è mostrato nella Fig. 6.
Fig. 6- Esempio di pultrusi di geometria semplice. Da Eurograte.com
I pultrusi sono poi assemblati, in fabbrica, per formare semi-strutture nelle forme più variabili e complesse che costituiscono i singoli elementi, parti di ciò che occorrerà comporre nel sito di ricezione: un esempio è riportato nella parte di soletta di Fig. 7.
Fig. 7- Esempio di parte di armatura in composito per soletta di ponte prodotta con pultrusi in fase di assemblaggio
Esistono a questo punto due alternative per la costruzione vera e propria:
- si può terminare l’assemblaggio completo delle “semi-strutture” in fabbrica e trasportarle singolarmente nel luogo finale e assemblarle ivi con tutte le operazioni di finitura, collegamenti e quanto altro necessario. Questo caso è mostrato dalla Fig. 8 che mostra il passaggio di una semi-struttura nelle strade di Frampton Cotterell, diretta a formare il ponte sul fiume Frome.
Fig. 8 - Movimentazione di semi-struttura da fabbrica a sito, Frampton Cotterell, Gloucestershire, in Inghilterra
- Oppure si può trasportare la semi-struttura sul posto finale e qui provvedere alle operazioni di realizzazione della struttura finale completa, ad esempio con il getto di calcestruzzo, ove previsto, e con tutte le altre operazioni finali di finitura. Fig. 9 mostra un esempio di questi casi, in cui dopo il posizionamento delle semi-strutture in composito si provvede al getto.
Fig.9 - Posizionamento finale di semi-strutture in materiale composito, seguito dal getto di calcestruzzo
E’ opportuno ricordare che il calcestruzzo non prefigura alcun danno alle armature in materiale composito, come avviene invece nel tempo per armature in metallo, come ripetutamente descritto in precedenza.
E’ anche opportuno osservare che uno dei limiti giustamente imposto ai compositi è rappresentato dalle richieste di resistenza a fuoco/fumi. Nel caso di ponti questi requisiti, regolati da precise norme nei casi di applicazioni in ambienti chiusi, non sono applicabili se non limitatamente agli aspetti di auto-estinguenza, pienamente soddisfatti.
Ripristino e consolidamento
Numerose aziende italiane sono ormai ampiamente attrezzate per la messa in opera di compositi quando sia necessario intervenire per ripristino e riabilitazione di strutture ed elementi in cemento armato degradati da invecchiamento.
Naturalmente le operazioni tecnologiche, sia a livello progettuale sia a livello operativo, devono essere eseguite da personale esperto delle caratteristiche dei materiali compositi e oggi esistono numerose opportunità di adeguarsi con corsi di qualificazione volti a fornire tutte le necessarie conoscenze (anche sperimentali) per le applicazioni di compositi, sia manualmente sia in modo automatizzato. Il materiale deve essere deposto sulle superfici del manufatto per ripristinare le caratteristiche iniziali di esso, e possibilmente di aumentarne l’efficienza, oltre che ovviamente la durata.
Per completezza si ritiene utile, per meglio comprendere le basi dei criteri di applicazione dei compositi e di come il tutto consista in operazioni semplici, veloci, non invasive per il territorio, reversibili se necessario, citare i principali aspetti da curare nell’uso di queste tecnologie:
- preparazione delle superfici
necessaria per assicurare l’aderenza e/o il contatto tra composito e pezzo e quindi la reale trasmissione dei carichi dal pezzo al composito. Si distingue perciò tra casi in cui è sufficiente il solo “contatto” tra elemento e composito come quando occorra trasmettere solo sforzi di tipo normale alla superficie; e altri casi in cui è invece indispensabile assicurare una perfetta “aderenza” tra i due componenti al fine di trasmettere anche e soprattutto sforzi di flessione e di taglio. In entrambi i casi le fibre del composito avranno direzioni opportune stabilite dal progetto per assicurare la richiesta di resistenza e rigidità necessaria nel caso specifico, come si è chiarito spiegando le proprietà di anisotropia del materiale composito fibroso.
- posa in opera del composito
Quest’operazione avviene con tecniche diverse secondo i casi, e si distingue principalmente tra tecniche manuali e tecniche automatiche. Le tecniche manuali prevedono nel maggior numero di casi l’utilizzo di tessuti delle fibre di progetto che vengono impregnati dalla resina polimerica in loco durante la loro deposizione e sovrapposti con direzione delle fibre in modo da definire la stratificazione e lo spessore necessario.
Nelle tecniche automatiche la deposizione del composito, il più delle volte costituito da tessuto o fibre monodirezionali, già impregnate dall’esatta quantità di resina: si parla allora di materiale “pre-impregnato”, di alta qualità e ripetibilità delle caratteristiche. In questi casi esistono attrezzature automatiche o semi-automatiche di deposizione che facilitano e velocizzano il deposito, senza alcun “fastidio” nella zona di lavoro.
- protezione della superficie
Si rende necessario talvolta proteggere la superficie finale da radiazioni UV, o prepararla per il successivo aggrappo di intonaco. Anche queste operazioni non hanno bisogno di particolari attenzioni.
Figg. 10 e 11 mostrano casi d’interventi con necessità di “aderenza”. Nel caso di pilastri come in Fig. 11 il materiale può essere depositato con l’ausilio di semplici macchine automatiche o semi-automatiche. Analogamente come nell’esempio di Fig. 12, ancora per il ripristino di pilastri o colonne, dove però è sufficiente un’applicazione in “contatto”.
Fig.10 – Nel caso di rinforzi d’interni di volte e di travi per adeguamento anti-sismico occorre “aderenza” tra il composito posizionato manualmente e la volta o trave esistente. Da Olympus FRP
Fig.11 –Nel caso di ripristino della funzionalità di pilastri di viadotto, occorre sia ”contatto” che “aderenza” tra le superfici del composito e del manufatto
Un caso eclatante per l’anno in cui fu effettuato, 1991, è stata la prima riparazione al mondo effettuata con compositi in “aderenza”, sul ponte Ibach nel Cantone di Lucerna, sulla autostrada nazionale svizzera A2. Circa 6 Kg complessivi di 3 lamine di composito con fibre di carbonio di 5 m in lunghezza, 2 mm di spessore e 150 mm di larghezza furono adoperate e messe in opera in una notte, al posto di 175 kg di acciaio, utilizzando semplicemente una piattaforma mobile. La prova di carico sul ponte con veicoli per 84 tonnellate fu strabiliante convincendo tutti della bontà dell’intervento che dal 1991 mostra ancora la sua validità.
Fig. 12- Deposito di composito per cerchiatura in “contatto” su esterno di colonna. Da Università della Calabria
Un altro intervento di consolidamento strutturale, previsto in taluni casi di deterioramento delle proprietà iniziali dell’elemento in cemento armato, consiste nell’utilizzo di tiranti in materiale composito messi nelle zone delle travi del ponte sollecitate in trazione: la presenza dei tiranti (costituiti come gli stralli da fibre che lavorano solo in trazione) pone la trave in pre-compressione in queste zone facilitando molto poi il suo lavoro in esercizio, mantenendo bloccate fessurazioni, cricche e prodotti dall’invecchiamento e rallentando enormemente il degrado.
Conclusioni
In questo articolo si è mostrato come è possibile con l’uso dei materiali compositi fibrosi sia realizzare nuovi ponti leggeri, resistenti e programmati per qualunque missione, sia intervenire su elementi locali di strutture, come anche su ponti, per la ri-abilitazine di elementi degradati, corrosi dal tempo e da agenti corrosivi in modo semplice, affidabile, non invasivo e veloce. Tutto come sembra non sia stato nè fatto né preso in considerazione nella gestione del ponte Morandi, e come molto probabilmente accadrà nei casi di necessità di ripristino funzionale in altri siti.
Lungi dalla convinzione di poter interferire sulle decisioni, ormai prese, e sulla gestione di tutti gli aspetti tecnici relativi al ponte “Morandi”, nei due articoli preparati per Nel Futuro si è voluto mostrare come l’aver trascurato di almeno considerare la possibilità di sfruttamento delle enormi potenzialità dei materiali compositi fibrosi, come invece avviene quotidianamente in tanti altri settori, sia stata un’enorme “disattenzione”. Anche se è difficile pensare davvero così, dopo che simili considerazioni erano a suo tempo state inviate allo stesso Piano, a quotidiani come La Repubblica, a Istituzioni pubbliche e a persone addette ai lavori, e snobbate senza commento.
Tuttavia, una tenue speranza di “smuovere le acque” forse emerge dalla pubblicazione di questi articoli, qualora riuscissero nel convincere qualcuno delle verità in essi inserite, e dell’attualità del vecchio monito di S. Agostino, Sermones 164-14, “Humanum fuit errare, diabolicum est… in errore manere”.
Altrimenti, come ha detto qualcuno, “non ci resta che piangere”.