Kume Bryant (Contemporary, Tucson, Arizona) - Artificial Intelligence – 2013
Uomini e computer
di Franco Filippazzi
Il confronto critico, la possibile competizione tra l’uomo e il computer non è un tema nuovo.
Se ne parla ormai da anni, da quando questa macchina, poco più di mezzo secolo fa, ha fatto il suo ingresso nella società.
Un ingresso dapprima per usi specifici e limitati, e poi via via per compiti sempre più elaborati e complessi. E così il tema del rapporto uomo-macchina è andato via via modificandosi. Da supporto e aiuto all’uomo in lavori routinari, alla sua sostituzione in compiti sempre più complessi e vicini a capacità ritenute in precedenza prerogative umane. Basti pensare al computer che batte il campione di scacchi e ultimamente quello di Go.
In sostanza, un crescendo del livello di abilità e di capacità ritenuti esclusivi dell’uomo.
E’ questa in effetti la prospettiva di fondo della Artificial Intelligence, un termine creato nel 1956 durante una famosa riunione di studiosi al Darmouth College di Boston.
Non voglio qui parlare della storia della AI, un tema su cui esiste una letteratura immensa. E nemmeno parlare del futuro che ci aspetta, un mondo in gestazione in cui le nuove tecnologie modificano, in un crescendo inarrestabile, concezioni secolari sull’uomo e sulla natura.
Scopo di questa breve nota è soltanto quello di fare una breve considerazione provocatoria sulle macchine intelligenti.
La nota è stata stimolata da una notizia di cronaca di qualche giorno fa. In occasione di una recente ricorrenza nazionale, in una cittadina di provincia si tiene una partita di calcio tra due squadre del luogo.
La partita procede tra alti e bassi delle due squadre, tra cori di incoraggiamento per i propri giocatori e fischi per gli avversari.
Ad un certo punto, su uno degli spalti compare uno striscione su cui c’è scritto “Viva Mussolini”.
La gente guarda stupita, scuote la testa, e il gioco continua.
Però, prima che finisca la partita, sullo spalto opposto compare un altro striscione su cui c’è scritto: “E fatelo giocare!”.
I computer, le macchine cibernetiche potranno competere con l’uomo su tante cose, ma una cosa i computer non potranno mai avere, e cioè il senso dell’umorismo.
Perché umorismo significa imprevedibilità, significa sorpresa, implica un salto tra premesse e conclusioni. L’umorismo è qualcosa che esce dagli schemi della logica, della razionalità, degli algoritmi su cui si fondano i computer. Un computer non si farà mai una risata.