Britney Penouilh (New Orleans, LA, Usa - Contemporary) - Quantum Mechanics
La battaglia per chi ha ragione nell’universo
di Achille De Tommaso
I fisici hanno passato decenni a cercare di conciliare due teorie molto diverse. Ma sta forse per emergere il vincitore, che sta per trasformare la nostra comprensione di tutto, dal tempo alla gravità.
Ciò che sta per accadere, quindi, potrebbe essere nientemeno che una terza rivoluzione nella fisica moderna, con implicazioni sconcertanti. Potrebbe dirci da dove vengono le leggi della natura e se il cosmo è costruito sull'incertezza o se è fondamentalmente deterministico, con ogni evento legato in modo definitivo a una causa.
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Al momento i fisici hanno due libri di regole, molto separati, che spiegano come funziona la natura. Quello della relatività generale, che descrive magnificamente la gravità e tutte le cose che domina: i pianeti orbitanti, le galassie in collisione, le dinamiche dell'universo in espansione nel suo complesso. E poi c'è quello della meccanica quantistica , che gestisce le “cose molto piccole” e le quattro forze: l'interazione gravitazionale, l'interazione elettromagnetica, l'interazione nucleare debole e l'interazione nucleare forte.
La relatività e la meccanica quantistica sono teorie fondamentalmente diverse che hanno diverse formulazioni. Ma non è solo una questione di terminologia scientifica; è uno scontro di descrizioni incompatibili tra loro e con la realtà che osserviamo; nel modo seguente. Nella relatività generale, gli eventi sono continui e deterministici, nel senso che ogni causa corrisponde a uno specifico effetto locale. Nella meccanica quantistica, gli eventi prodotti dall'interazione delle particelle subatomiche avvengono in salti (salti quantici), con risultati probabilistici piuttosto che definiti. Si noti: le regole quantistiche consentono connessioni istantanee, proibite dalla fisica classica; in un certo senso “più veloci della luce”. Ciò è stato dimostrato in un recente esperimento in cui i ricercatori olandesi hanno dimostrato che due particelle - in questo caso elettroni - potevano influenzarsi reciprocamente all'istante, anche se erano molto distanti (entanglement quantistico).
Recentemente il dibattito è entrato in una nuova, intrigante e imprevedibile, fase. Due fisici importanti hanno messo in campo posizioni estreme nei due temi, conducendo esperimenti che potrebbero finalmente stabilire quale approccio sia quello valido.
Craig Hogan, astrofisico teorico all'Università di Chicago e direttore del Center for Particle Astrophysics presso il Fermilab, sta reinterpretando il lato quantistico della questione con una nuova teoria in cui le unità quantistiche dello spazio stesso potrebbero essere abbastanza grandi per essere studiate direttamente. Nel frattempo, Lee Smolin, membro fondatore del Perimeter Institute for Theoretical Physics di Waterloo, in Canada, sta cercando di spingere in avanti la fisica tornando alle radici filosofiche di Einstein e estendendole in una nuova direzione.
Hogan, campione della visione quantistica, afferma :”Poichè lo scontro tra relatività e meccanica quantistica si verifica quando si tenta di analizzare ciò che la gravità fa su distanze estremamente brevi, allora dobbiamo sfidare la “continuità dello spazio”.
Spiego meglio: un'assunzione di base nella fisica di Einstein è che lo spazio sia continuo e infinitamente divisibile, in modo che ogni distanza possa essere ridotta, sempre, a distanze ancora più piccole; all’infinito. Hogan propone dubbi su ciò. Proprio come un pixel è la più piccola unità di un'immagine sullo schermo e un fotone è la più piccola unità di luce, egli sostiene, quindi potrebbe esserci un'unità indivisibile di distanza più piccola: un quanto di spazio.
Dalla fine degli anni '60, un gruppo di fisici e matematici ha sviluppato una struttura chiamata teoria delle stringhe per cercare di riconciliare la relatività generale con la meccanica quantistica; e nel corso degli anni, questa teoria si è evoluta fino ad essere considerata quella di default, che è la meno peggio, perché non è riuscita a mantenere gran parte delle sue promesse iniziali. Ma, se avesse ragione Hogan riguardo alla “spezzettatura in quanti” dello spazio, ciò eliminerebbe molte delle attuali formulazioni della teoria delle stringhe e ispirerebbe un nuovo approccio alla riformulazione della relatività generale in termini quantici.
Suggerirebbe nuovi modi per comprendere la natura intrinseca dello spazio e del tempo. E il più strano di tutti: rafforzerebbe l'idea che la nostra realtà apparentemente tridimensionale sia composta da unità più elementari e bidimensionali. Hogan prende sul serio la metafora del "pixel": proprio come un'immagine televisiva può creare l'impressione di profondità da un mucchio di pixel piatti, egli suggerisce, così lo stesso spazio potrebbe emergere da una collezione di elementi che agiscono come se esistessero solo due dimensioni.
Come molte idee estreme della fisica teorica odierna, le speculazioni di Hogan possono sembrare sospettosamente simili al filosofare a tarda notte nel dormitorio delle matricole universitarie. Ciò che le rende drasticamente diverse, però, è che Hogan ha intenzione di metterle sotto una dura prova sperimentale.
A partire dal 2007, Hogan ha iniziato a pensare a come costruire un dispositivo in grado di misurare la “granulosità” dello spazio. Nel giro di due anni Hogan ha messo insieme una proposta sperimentale e collabora oggi con il Fermilab, dell'Università di Chicago per costruire una macchina per la rilevazione di “pezzi di spazio”, che lui definisce elegantemente un "holometer". (Il nome è un gioco di parole esoterico, che fa riferimento a uno strumento di rilevamento del XVII secolo e alla teoria secondo cui lo spazio 2D potrebbe apparire tridimensionale, analogo a un ologramma.)
L'olometro è tecnologicamente poco più di un raggio laser, uno specchio semiriflettente per dividere il laser in due fasci perpendicolari e altri due specchi per far rimbalzare quei raggi lungo un tunnel lungo 40 metri. I supporti agli specchi sono calibrati per registrare le posizioni precise degli specchi. La quantità della discrepanza dei fasci rivelerebbe la scala dei pezzi di spazio da ricercare.
Per la scala dei pezzi di spazio che Hogan spera di trovare, ha bisogno di misurare le distanze con una precisione di 10 elevato alla -18 metri, circa 100 milioni di volte più piccola di un atomo di idrogeno, e raccogliere i dati ad una velocità di circa 100 milioni di letture al secondo. Sorprendentemente, un tale esperimento non è solo possibile, ma realizzabile in maniera abbastanza economica. "Siamo stati in grado di farlo abbastanza a buon mercato a causa dei progressi della fotonica, di molte parti pronte all'uso, dell'elettronica veloce e di cose del genere", afferma Hogan. "È un esperimento piuttosto speculativo; quindi non lo avresti fatto a meno che non fosse stato economico." L'olometro al momento sta ronzando, raccogliendo i dati; ci si aspetta di avere letture preliminari entro la fine dell'anno.
In direzione totalmente diversa, viaggia Smolin. Smolin ritiene che l'approccio alla fisica su piccola scala (quello di Hogan) sia intrinsecamente incompleto. Le versioni correnti della teoria dei campi quantici fanno un buon lavoro spiegando come si comportano le singole particelle o i piccoli sistemi di particelle, ma non tengono conto di ciò che è necessario per avere una teoria del cosmo nel suo complesso. Essi non spiegano perché la realtà è come la vediamo.
Un percorso più fruttuoso, egli suggerisce, è considerare l'universo come un unico enorme sistema e costruire un nuovo tipo di teoria che possa applicarsi all'intera cosa. In realtà abbiamo già una teoria che fornisce una buona struttura per tale approccio: la relatività generale. A differenza della teoria quantistica, la relatività generale non prevede ci sia posto per un osservatore esterno o un orologio esterno, perché non esiste un "fuori". Invece, tutta la realtà è descritta in termini di relazioni tra oggetti e tra diverse regioni dello spazio. Anche qualcosa di fondamentale come l'inerzia, come vedremo poi, può essere pensata come connessa al campo gravitazionale di ogni altra particella nell'universo.
Quest'ultima affermazione è talmente strana che vale la pena soffermarsi un attimo e considerarla più da vicino. Vediamo cosa accadrebbe se l'universo fosse completamente vuoto tranne che per due astronauti. Uno di loro sta girando, l'altro è fermo. Ma quale dei due sta girando? Dalla prospettiva di ognuno dei due astronauti, l'altro è quello che gira. Senza alcun riferimento esterno, sostenne Einstein, non c'è modo di dire quale visione sia corretta, e nessuna ragione per cui si debba percepire un effetto diverso da quello che l'altro sperimenta.
La distinzione tra i due astronauti ha senso solo quando reintroduci il resto dell'universo. Nell'interpretazione classica della relatività generale, quindi, l'inerzia esiste solo perché è possibile misurarla contro l'intero campo gravitazionale cosmico. Ciò che è vero in quel pensiero è valido per ogni oggetto nel mondo reale: il comportamento di ciascuna parte è inestricabilmente correlato a quello di ogni altra parte.
"La relatività generale non è una descrizione di sottosistemi. È una descrizione dell'intero universo come un sistema chiuso ", dice Smolin. Se i fisici stanno cercando di risolvere lo scontro tra relatività e meccanica quantistica, quindi, sembra una strategia intelligente per loro seguire la guida di Einstein e andare a cercare la soluzione nel “più grande possibile”. (e non nel “più piccolo”) .Infatti l’idea di Smolin è che il pensiero riduzionistico su piccola scala (quello di Hogan) sia il modo sbagliato per risolvere i grandi enigmi.
Ciò che vogliamo sapere - ciò che tutti noi vogliamo sapere - è il motivo per cui l'universo è così com'è. Perché il tempo va avanti e non indietro. E come noi siamo finiti qui, con queste leggi e questo universo; non molto altro. La meccanica quantistica non risponde a queste domande.
L'attuale mancanza di qualsiasi risposta significativa a queste domande rivela "qualcosa di profondamente sbagliato nella nostra comprensione della teoria dei campi quantici", dice Smolin. "La lezione della relatività generale, ancora e ancora, è il trionfo del relazionalismo", dice Smolin. “Il modo più probabile per ottenere le risposte più grandi è impegnarsi con l'universo nel suo insieme”.
E il vincitore è?
Se si voleva scegliere un arbitro nel dibattito, non si poteva individuare persona migliore di Sean Carroll, esperto di cosmologia, teoria dei campi e fisica gravitazionale al Caltech di Pasadena. Egli conosce bene la relatività, e conosce bene la meccanica quantistica (e ha anche un sano senso dell'assurdo). Carroll assegna la maggior parte dei punti della contesa al lato quantico. "Molti di noi in questo gioco credono che la meccanica quantistica sia molto più fondamentale della relatività generale", dice. Questa è stata la visione prevalente fin dagli anni '20, quando Einstein cercò, e più volte fallì, nel trovare difetti nelle previsioni controintuitive della teoria dei quanti. Il recente esperimento olandese di “entaglement”, che dimostra una connessione quantica istantanea tra due particelle ampiamente separate, è il tipo di evento che Einstein derise come non realizzabile, definendolo come "azione spettrale a distanza"; mentre le prove oggi dimostrano che tanto spettrale non è.
Prendendo una visione più ampia, il vero problema non è la teoria della relatività generale contro quella quantistica, spiega Carroll, ma la dinamica classica contro la dinamica quantistica. La relatività, nonostante la sua stranezza percepita, è classica nel modo in cui considera causa ed effetto; la meccanica quantistica sicuramente non lo è. Einstein era ottimista sul fatto che alcune scoperte più profonde avrebbero scoperto una realtà classica e deterministica che si nascondeva dietro la meccanica quantistica, ma nessun ordine simile è stato ancora trovato.
La dimostrata realtà di un'azione “spettrale” a distanza sostiene che tale ordine non esiste.
Indipendentemente da come le teorie si svilupperanno, la grande scala è comunque, inevitabilmente, importante; perché è il mondo in cui abitiamo e osserviamo. In sostanza, l'universo nel suo insieme deve essere la risposta finale; e la sfida per i fisici è magari trovare i modi per farlo emergere dalle loro equazioni quantiche. Anche se Hogan ha ragione, i suoi frammenti spaziali devono passare alla realtà che viviamo ogni giorno. Anche se Smolin ha torto, c'è un intero cosmo là fuori con proprietà uniche che devono essere spiegate; qualcosa che, almeno per ora, la fisica quantistica fa abbastanza bene; ma non completamente. E forse da sola non potrà mai dare la risposta finale.
Spingendo i limiti della comprensione: Hogan e Smolin stanno aiutando il campo della fisica a fare questa connessione. Lo stanno spingendo verso la riconciliazione non solo tra la meccanica quantistica e la relatività generale, ma tra idea e percezione. La prossima grande teoria della fisica porterà indubbiamente a una nuova e bella matematica e a nuove tecnologie inimmaginabili oggi.
Ma la cosa migliore che può fare è creare un significato più profondo che ricolleghi tutto ciò a noi, gli osservatori; che, in fondo, siamo la scala fondamentale dell'universo. O così almeno crediamo.
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Detto ciò, apparirebbe che la meccanica quantistica sia molto vicina allo spiegarci Tutto. Ma, se avete avuto la pazienza di leggere fin qui, in un prossimo articolo vi racconterò come molti fisici pensino che la meccanica quantistica sia una “balla pazzesca”.