Soufiane Zahir (1983 - Casablanca) – Emotional Intelligence
Umano, troppo umano
di Giovanna Casertano
Nell'era digitale, così come spesso è definito questo periodo, la grande rivoluzione tecnologica sta trasformando il modo nostro di vivere, di pensare e soprattutto, di comunicare: le nuove e sofisticate strutture che rappresentano nuove modalità di interscambio della comunicazione abbattono le barriere spazio/tempo rendendo accessibile ogni tipo di informazione. Il lavoro di rete si diversifica da tutti gli altri mezzi di comunicazione tradizionali perché non si limita al puro trasferimento di informazioni codificate, ma cambia completamente il significato linguistico del messaggio. Le reti comunicative intelligenti plasmano e rifondono continuamente il contenuto comunicativo, creando nuove forme di senso di contenuti che trasformano i tradizionali linguaggio verbale e non verbale in linguaggi artificiali di programmazione catturati all'interno di una nuova dialettica . Il rischio è che in una società in cui tutto è comunicazione, si arrivi ad un eccesso di informazioni ed una mancanza di una reale comunicazione/relazione.
Contemporaneamente ai progressi tecnologici, un gruppo di ricercatori italiani, coordinati da Giacomo Rizzolati scopre i cosiddetti neuroni specchio: particolari cellule cerebrali presenti nel nostro sistema limbico in grado di percepire un’azione e determinati stati d'animo, comprenderne il significato e simularli internamente. Ciò consente di utilizzare le proprie risorse per penetrare il mondo interiore dell’altro mediante processo non conscio, automatico e prelinguistico di simulazione motoria.
Negli Stati Uniti invece, lo psicologo Daniel Goleman approfondisce il tema dell'intelligenza emotiva, già definita per la prima volta nel 1900 da Salovey e Mayer, per riproporla come un insieme di abilità che si possono sviluppare per gestire positivamente le relazioni interpersonali ed attuare una efficace comunicazione, soprattutto in ambito sociale ed organizzativo/aziendale.
La scoperta dei neuroni specchio e la teoria dell'intelligenza emotiva hanno apportato un enorme contributo nel campo della comunicazione relazionale.
La comprensione empatica è il concetto cardine su cui poggiano entrambe.
Il sentimento empatico che si attiva per il tramite dei neuroni specchio, non è solo una forma di conoscenza, ma anche un processo cognitivo, un’abilità che può essere praticata, allenata, sviluppata ed utilizzata con intelligenza emotiva in più contesti, a seconda delle situazioni e delle persone con cui si interagisce. L'empatia implica la capacità di riconoscere e comprendere gli stati psico-emotivi degli altri anche se non verbalmente espressi, senza esserne sentimentalmente coinvolti. Va da sé che un approccio empatico facilita le relazioni interpersonali.
“Se non siete capaci di controllare le vostre emozioni stressanti, se non siete empatici e non sapete instaurare vere relazioni personali, non importa quanto siete intelligenti: non potete andare lontano”.(Daniel Goleman)
Il sentimento empatico in realtà non è una scoperta nuova, per quanto oggi sia stata avvalorata dalle ricerche scientifiche. Il concetto di empatia era già conosciuto ed usato nell'antica Grecia per indicare quella partecipazione emotiva che l'oratore era in grado di suscitare nel pubblico.
All'epoca dei Lumi inoltre, mentre si affermava la rigorosità del metodo scientifico, nella conoscenza dei fenomeni e dell'uomo, Goethe se ne allontanava, sostenendo in opposizione allo stesso, un “empirismo delicato che si identifica nel modo più intimo con l'oggetto così diventa vera e propria teoria”. Le vere intuizioni venivano non dall'osservazione distaccata, ma da una profonda partecipazione ai fenomeni indagati.
“Io affermo che l’uomo non può mai conoscere se stesso, non può mai considerarsi puramente come oggetto. Gli altri mi conoscono meglio di quanto io conosca me stesso” (Goethe)
In questo contesto va inserita la Caratterologia di Ludwig Klages, filosofo e caposcuola della grafologia tedesca. Nel secolo scorso, proprio sulla scia delle riflessioni goethiane e nietzscheane elaborò quindi, la sua psicologia autentica, per studiare l'uomo nella sua essenza, attraverso le sue caratteristiche vitalistiche e spirituali. Il suo metodo di studio si opponeva alla psicologia ufficiale e alla psicoanalisi freudiana che, secondo Klages, pretendevano di conoscere l'essere umano col metodo di controllo e della misurazione come nelle scienze naturali e di formulare leggi di un uomo-ipotetico, senza tener conto delle sue differenze individuali.
La Caratterologia non si avvaleva del metodo scientifico e non si basava su un'osservazione neutrale, ma sulla contemplazione della propria esperienza che era da considerarsi la chiave del metodo psicologico di Nietzsche, il quale sosteneva: “Il materiale per la conoscenza dell’essenza altrui me lo fornisce la mia stessa essenza”. E ancora: “Ciò che ho più di ogni psicologo è l’acuta penetrazione, atta ad ogni deduzione difficile e rischiosa”. Questa capacità è quella particolare intuizione animica, quel pathos con cui l’uomo partecipa della vita comune a tutti gli esseri. Per Klages quindi la descrizione, il più esattamente possibile, della struttura dell’Io individuale secondo il procedimento nietzscheano, era premessa indispensabile prima di adoperare il metodo di studio del carattere e si basava sul metodo intuitivo che comprendeva il coinvolgimento personale dell'osservatore alla vita affettiva dell'altro, in quanto lo psichismo umano è un tutto dinamico che sfugge ad un’osservazione di tipo meccanico e richiede perciò una visione d’insieme, assicurata dall'empatia che si instaura nel rapporto tra l'osservato e l'osservatore: il caratterologo, facendo appello alle proprie esperienze emotive, stimola l'anima dell'osservato che trasmette le proprie esperienze ed i propri movimenti all'osservatore.
I movimenti sono peculiarità individuali che si manifestano soprattutto attraverso l'espressione corporea: gli atti abituali, la mimica facciale, il linguaggio e la scrittura trasmettono lo stato affettivo (impulsi istintivi e di azioni volontarie) ed esprimono meglio le qualità caratteristiche della persona nel suo insieme.
La scrittura in particolare, rappresenta il mezzo principale nello studio del carattere. La traccia grafica ha il vantaggio della permanenza: fissa lo stato d’animo e offre la possibilità di riviverlo più volte, permettendo così di conoscere meglio le dinamiche di base del carattere dello scrivente.
Così Klages utilizza la grafologia come strumento privilegiato della Caratterologia e applica il metodo intuitivo per l'analisi della scrittura: il procedimento di indagine è simile a quello impegnato per vedere un paesaggio: esaminare prima delle parti il tutto, in modo che le proprietà della vita interna formino una sola immagine in cui si vedano le proprietà parziale, vedere cioè le apparenze in modo simbolico, chiedendosi quale sia il ritmo della vita e quale la tendenza originale che si manifesta nelle apparenze. Anche la scrittura va quindi osservata ed interpretata, non come il risultato di un’operazione neutra o tecnica, secondo le pure leggi razionali, ma come un’opera d’arte, spostando l’attenzione dal contenuto linguistico alla forma autonoma di espressione, poiché è attraverso di essa che lo scrivente, plasmando la materia prima, cioè il modello calligrafico che si presta a varie soluzioni formali, libera e manifesta in modo inconscio il proprio Io. Il grafologo, ponendosi in modo empatico di fronte ad un manoscritto, è in grado di cogliere, prima di ogni altra caratteristica, quel movimento vitale, il ritmo vitale dello scrivente, che si esprime spontaneamente nella forma grafica personale.
La Caratterologia, pur essendo stata considerata un particolare ed interessante approccio alla conoscenza dell'uomo, soprattutto dal punto di vista ontologico, riscontrò scetticismo e diffidenza in ambienti scientifici, dove invece nel frattempo, la psicoanalisi freudiana era stata riconosciuta come scienza sperimentale e applicabile allo studio della personalità.
Le riflessioni di Goethe e il metodo intuitivo di Klages furono ripresi dal filosofo e psicologo tedesco Theodor Lipps che introdusse la dimensione dell’empatia in psicologia: “l’osservazione dei movimenti altrui suscita in noi lo stesso stato d’animo che è alla base del movimento osservato, tuttavia questo stato non viene percepito come una propria esperienza, ma viene proiettato sull’altro e legato al suo movimento: non è identificazione nell'altro, ma partecipazione o imitazione interiore”
In seguito Heinz Kohut, creatore della psicologia del Sé, riprese l'idea di un approccio partecipativo all'indagine scientifica, affermando che il metodo attuale era «lontano dall'esperienza» e perciò aveva poco a che fare con l'effettiva osservazione e suggerì una teoria sperimentale alternativa, che chiamò «vicina all'esperienza» perché raccoglieva i dati attraverso un processo empatico e introspettivo. Secondo tale teoria la presenza dell’ istanza psichica del Sé, cioè la totalità psichica dell'individuo che si sviluppa e si consolida in funzione dell'Io, emerge con il riconoscimento empatico dell'altro diverso dal proprio Sé già nell'età infantile. Inserire l'empatia nel cuore di una rigorosa metodologia scientifica sarebbe stato, a suo parere, essenziale per evitare che la ricerca «diventasse sempre più separata dalla vita dell'uomo» Secondo Kohut bisognava impegnarsi affinché la scienza fosse più empatica.
In questi ultimi decenni, quasi a dispetto degli enormi progressi nel campo della tecnologia che in qualche modo tendono a rendere l'uomo meno umano, le scienze ufficiali ed altre tecniche e discipline alternative che via via si stanno proponendo (la PNL e il Coaching per esempio) riscoprono un approccio più inter-soggettivo, empatico e meno distaccato nei confronti dell'uomo per comprenderne le dinamiche, sono solo biologiche, che sono alla base della sua personalità e di conseguenza del suo comportamento, al fine del benessere psico-fisico della persona.
La Grafologia in particolare, considerata fino a qualche tempo fa alla stregua delle cosiddette pseudo-scienze, viene rivalutata anche in ambienti scientifici, come valido strumento per lo studio della personalità.
Riscopriamo ancora una volta che la conoscenza, la comprensione e la comunicazione sono in fondo, sempre un fatto umano. Troppo umano.