Etologia ed Istinti e Sessualità.
Seconda parte
Rispetto a ciò che accade nel mondo animale appaiono ovvi i possibili confronti con certi comportamenti dell’uomo. Le condizioni del mezzo interno, gli stimoli ambientali e l’apprendimento potrebbero indurre nei centri nervosi, soprattutto ipotalamici, una condizione di eccitabilità eliminabile solo con un adeguato comportamento che porti alla sazietà per quel certo bisogno. Il meccanismo col quale si realizza il comportamento diretto ad uno scopo potrebbe spiegarsi con l’abbassamento selettivo delle soglie sensoriali verso gli stimoli adeguati e con la facilitazione di certi tipi di risposta.
Un’interpretazione biochimica ipotizza l’accumulo di mediatori in certe strutture cerebrali connesse ai diversi comportamenti, con conseguente facilitazione dei comportamenti stessi. Il modo nel quale i comportamenti si realizzano potrebbe soprattutto dipendere dalla facilitata utilizzazione di vie nervose, ripetutamente e con successo, utilizzate nella evoluzione. Questi ‘antichi sentieri’ comportamentali sarebbero le strutture di un comportamento istintivo concepibile come facilitazione anziché come pulsione(Balestrieri A., 1974).
E’ importante rilevare che queste interpretazioni fisiologiche e biochimiche permettono di riportare le immagini di energia psichica e di energia specifica di azione a qualcosa di concreto ed accettabile sul piano delle conoscenze biologiche, anche se non è stato certamente risolto il problema neurofisiologico e biochimico dell’organizzazione sincronica e diacronica dei comportamenti anche estremamente complessi e prolungati che l’istinto rende possibili.
L’integrazione nervosa ottiene qui i suoi più stupefacenti risultati. In tutto questo si deve riconoscere l’esistenza di elementi ambientali nella determinazione del comportamento, anche se non è ben noto, né in questo campo né in altri, come il patrimonio genetico si traduca nella forma dell’organismo ed eventualmente, nel comportamento di quest’ultimo. Sembra, infatti, difficile negare che gli animali abbiano la disposizione congenita a realizzare certi comportamenti, sottolineando, comunque, che lo stesso piano genetico prevede che le strutture nervose siano largamente disponibili ad apprendere.
Il comportamento congenito potrebbe allora essere inteso secondo la linea prospettata da Thorpe(1964), cioè come il rapido realizzarsi, al contatto dell’ambiente, di un rapporto con l’ambiente stesso predisposto dall’eredità nelle strutture; come una tendenza congenita a riconoscere certe forme invece di altre; come una specializzazione a riconoscere immediatamente certi stimoli che sono possibili per lo più in situazioni biologiche appropriate. Dunque, in quest’ottica, tra il comportamento che sembra congenito e pronto alla nascita, il condizionamento, l’imprinting e i successivi apprendimenti nel corso di tutta la vita, sembrano esservi differenze quantitative e cronologiche non tuttavia assolute ed essenziali ed integrazioni continue tra meccanismi diversi.
Dopo queste considerazioni sul significato generale degli studi etologici, diventa possibile considerare l’applicazione che tale studio ha avuto nel comportamento umano (etologia umana). Le osservazioni più convincenti riguardano i comportamenti della prima infanzia. La ricerca del capezzolo, la suzione, il riflesso prensorio, i movimenti di arrampicamento, di nuoto, di locomozione, il pianto ed il riso, costituiscono un equipaggiamento comportamentale già studiato da pediatri e psicologi e per il quale gli etologi sottolineano il carattere prevalentemente congenito. Comportamenti molto simili si trovano già, del resto, nei primati.
Un altro filone per l’etologia umana è il confronto comportamentale tra culture molto diverse. Già Darwin aveva notato la concordanza tra le mimiche dei popoli tra loro più lontani. Gli etologi cercano di spiegare con influssi genetici, anziché culturali, le coincidenze, soprattutto a proposito del riso, del sorriso, dei cenni di negazione e di assenso, delle espressioni di esultanza, di seduzione, di superbia, di segno, di sottomissione, di potere e proprietà, ecc. L’etologia umana si occupa anche della sessualità.
Per comprendere i ‘sistemi di parentela (consanguinea) e di regole matrimoniali’ (systems of kinship and marriage), è necessario considerare il processo che Darwin chiamò ‘selezione sessuale’ (sexual selection) e il suo corollario al quale è stato dato recentemente il nome di ‘selezione parentale’ (kin selection). Fondamentalmente, la selezione sessuale è una variante della selezione naturale, ma che non consiste tanto in una lotta contro quelle che Darwin chiamava le ‘forze ostili della natura’, quanto in una lotta dei sessi per una migliore riproduzione.
Tale selezione implica la competizione tra gli animali di un sesso, di solito i maschi, per appropriarsi dei partners dell’altro sesso e, d’altra parte, la scelta fatta da quest’altro sesso, di solito le femmine, tra i vincitori, dei partners più confacenti. Questo perché le femmine hanno bisogno dei maschi non solo per l’inseminazione, ma anche per la protezione ed, eventualmente, per la ricerca del cibo; di conseguenza, esse scelgono quelli che il successo nella competizione designa come i più capaci. A proposito della selezione sessuale, le ‘strategie’ dei due sessi presentano differenze piuttosto marcate.
Dal punto di vista della riproduzione, il maschio ha il vantaggio di accoppiarsi con quante più femmine gli è possibile, mentre la femmina, che ha una sola possibilità all’anno, deve cercare di procurarsi i ‘migliori’ geni. I primi lavori sulla selezione sessuale ponevano l’accento sulla ‘concorrenza tra maschi’, ma, più recentemente, si è capito che la ‘scelta da parte delle femmine’ costituisce forse il determinante estremo della traiettoria dell’evoluzione.
L’istinto sessuale è stato anche ritenuto il motore generale del comportamento, ma appare importante rilevare che nei comportamenti sessuali più istinti possono collaborare (sesso ed oralità-alimentazione, sesso ed aggressività).
Nell’opera di Wickler(1971) sulle anomalie sessuali del regno zoologico, si discute il ‘fine naturale’ della copula, che può essere svincolata dallo scopo puramente riproduttivo ed essere intesa come rituale avente significato di rapporto interpersonale e di legame di coppia.
Per quanto riguarda il problema dell’omosessualità si discute, ancora oggi, il possibile meccanismo di imprinting. L’etologia chiarisce che molti rapporti di questo tipo tra animali non sono frutto di vera attrazione, ma piuttosto di errore nel riconoscimento del sesso del partner, oppure rappresentano delle ritualizzazioni atte ad affermare il rango ed il dominio senza significato sessuale. Osservazioni simili si fanno anche in ambito umano.
Particolare interesse in etologia umana riveste il problema della aggressività, che può essere concepita come istinto primario, dotato di una forte pulsionalità o come un comportamento assai facilitato per il raggiungimento di diversi fini(Balestrieri A., 1974). Di fatto, l’uomo sembra avere una spiccata propensione aggressiva e trarre evidente soddisfazione dal realizzarla.
Per la filogenesi della mente umana è necessario passare dalla regolazione tipicamente istintiva, sinora considerata, a quella che si basa sul pensiero e sulla cultura.
L’ideazione (o pensiero) diviene possibile quando il nesso tra stimolo ambientale e risposta, va sempre più complicandosi, cosicché l’elaborazione intermedia della risposta stessa diviene più ricca e libera rispetto a quella relativa semplicità di connessione che l’istinto ancora comporta.
In altre parole, in una regolazione istintiva un determinato segnale ambientale libera una sequenza comportamentale congenita prevista, che l’esperienza dell’individuo riesce soltanto ad adattare un po’ meglio alla situazione.
Invece, nel comportamento ideativo lo stimolo ambientale non è che lo spunto per organizzare un comportamento sulla base di ciò che l’individuo ha sinora appreso, alla sua previsione per il futuro ed alle sue persistenti facilitazioni istintive.
Questa modalità di risolvere i problemi comportamentali mediante la possibilità del pensiero può essere chiamata intelligenza.
Sembra evidente che l’intelligenza si è potuta sviluppare solo col costituirsi di un intervallo tra stimolo e risposta comportamentale, nell’ambito del quale possano essere evocate ed utilizzate le tracce mnesiche, formulate in maniera astratta le ipotesi di soluzione dei vari problemi, nonché fatte previsioni per il futuro.
Questa ‘facoltà di non reagire’ immediatamente, detta anche fattore di posposizione (Stenhouse D., 1975), distingue in generale il comportamento istintivo da quello intelligente. E’ anche lo spazio in cui, verosimilmente, si organizzano i fenomeni di autocoscienza e la soggettività affettiva. L’ampiezza di tale intervallo distingue anche oggi le personalità più immediate e ‘istintive’ da quelle più riflessive.
Le possibilità evolutive sono consistite nell’aumento delle capacità adattative ed inventive individuali e nella trasmissione dei prodotti di tale inventiva ai propri contemporanei e discendenti tramite il linguaggio.
L’esistenza del linguaggio è infatti correlata al meccanismo simbolico del pensiero, cioè alla possibilità di dare nomi alle cose e di ‘ragionare’ in astratto.
Per comprendere meglio il ruolo sia dell’istinto che della ideazione nella psiche umana, si può proporre un modello che consideri separabili una pulsione da una modalità comportamentale per soddisfarla. Ad esempio l’istinto sessuale è composto da una pulsione e da un comportamento che va dal corteggiamento alla copulazione. Ma già forse nei primati, e certamente nell’uomo, l’accoppiamento deve essere appreso, mentre il desiderio (pulsione sperimentata) è spontaneo.
Attenendosi a questo modello del nesso allentato tra pulsioni e comportamenti si comprende allora che le pulsioni umane appaiono ‘grandiose nella loro indeterminatezza’ e si vanno via via applicando a quelle modalità personali di vivere che l’ontogenesi forgia attraverso l’intelligenza e la cultura. In sostanza le pulsioni sono soddisfacibili da una infinità di comportamenti via via escogitati dall’Io individuale con un’invenzione continua di sostituzioni e sublimazioni.
Nell’uomo gli istinti sono rimasti come meccanismo completo solo in alcune attività ai limiti del puro automatismo (come l’alimentazione, certi aspetti più semplici della vita sessuale e parentale, ecc.). Per il resto gli istinti primitivi hanno lasciato in noi delle pulsioni, delle tendenze generali, diversamente classificate dai vari indirizzi della psicologia. Sono la libido sessuale, il desiderio di affermazione, l’aggressività e la paura, il senso sociale e quello etico…Gli istinti dell’uomo sono i grandi contenuti dei suoi desideri, delle sue paure, delle sue emozioni, delle sue avversioni ed anche dei suoi ‘deliri’.
E’ evidente che l’elaborazione a livello intellettuale e culturale permette all’uomo di trasformare in una infinità di comportamenti, bisogni, abitudini, anche una o poche pulsioni fondamentali. Se si volesse esprimersi con un’immagine, si potrebbero raffigurare i comportamenti realizzati dal pensiero intelligente, e fissati e trasmessi dalla cultura, come una rete, una trama continua, al di sotto della quale originari focolai pulsionali proiettano la loro energia su aloni relativamente distinti ma in parte sovrapponibili.
Ogni nostro comportamento, con le sue relative esperienze soggettive, trova origine e sostegno in più di un focolaio pulsionale; così l’intelligenza può utilizzare e riunire in un suo progetto comportamentale moduli istintivi di origine diversa.
La pluralità delle tendenze istintive ed il loro gioco con altri fattori esterni ed interessi, fa sì che sia proprio la nostra personalità a sciogliere ed a realizzare la nostra individuale esistenza.
Riflessi ed istinti si trasmettono in via genetica in quanto le strutture nervose che li realizzano sono previste nella mappa cromosomica. Solo le mutazioni possono creare ‘novità’.
Il pensiero si trasmette invece attraverso la cultura, che comprende tutto ciò che ognuno apprende e trasmette per esperienza propria o perché comunicatogli dai suoi simili e tende a tramandare se stessa mediante i meccanismi dell’abitudine, della tradizione, delle lingue e delle leggi.
Ma anche nella cultura esiste una componente mutazionale rappresentata dalle nuove idee, usi, costumi che i singoli o i gruppi portano continuamente nelle civiltà. Lo studio naturalistico delle strutturazioni organizzative dell’essere umano si conclude con il considerare la personalità nel suo complesso, con gli aspetti oggettivi e soggettivi che la caratterizzano.
La personalità può ritenersi ‘quello che uno è’, cioè la peculiare ed irrepetibile essenza di ogni persona.
Tale essenza si esprime nel comportamento e nella esperienza soggettiva di un Io vissuto come unitario, continuo, persistente nel tempo.
Esiste un approccio strettamente biologico allo studio della personalità che si rifà a conoscenze di fisiologia nervosa, di endocrinologia, di ricerca costituzionalistica.
Ad esempio, le ricerche endocrinologiche tendono a dimostrare l’influsso ormonale su certi comportamenti di tipo sessuale, aggressivo, migratorio. Osservazioni simili si fanno anche in campo clinico. Ancora, vanno ricordati i dati della psicologia costituzionalistica la quale mette in rapporto alcune forme di habitus costituzionale e certi aspetti dominanti della psiche. In linea generale, infatti, costituzione e morfologia corporea, possono dipendere da centri nervosi vegetativi e trofici che siano in correlazione con quelli che regolano il comportamento.
Il problema rimane quello di riconoscere generiche possibilità o tendenze, poi sviluppate dall’apprendimento, oppure nel voler trovare una vera determinazione genetica dei comportamenti personali attraverso precise strutturazioni nervose.
In ambedue i sensi le prospettive di studio della biologia del comportamento offrono sostanziali innovazioni. Si può innanzitutto considerare lo sviluppo della personalità come utilizzazione da parte dell’individuo di certe disponibilità che la genetica gli fornisce, in base ad una serie continua di scelte, determinate dalle circostanze ambientali, dagli apprendimenti, dai conflitti, dalle identificazioni.
Ogni scelta influenza necessariamente le successive. In ogni caso la formazione concreta della personalità deve legarsi a delle impronte che corrispondono alle scelte avvenute in ogni momento, sulla base sia delle determinanti genetiche che degli influssi ambientali. Tali impronte possono fondamentalmente essere concepite come tracce più o meno labili che si iscrivono su di un supporto invariabile e geneticamente determinato, oppure come impatti plasmanti, scolpenti, strutturanti che edificano o modificano il substrato nervoso.
Una concezione decisamente strutturativa è quella di Edelman(1987), che viene da lui definita del darwinismo neurale.
Secondo l’autore le cellule nervose andrebbero incontro durante lo sviluppo embrionale, oltre che a regolazioni genetiche, a migrazioni casuali non direttamente controllate dal gene. Ad un certo punto le loro posizioni ed i loro rapporti verrebbero fissati ad opera di molecole di adesione (CAM-cell adesion molecules). Ci si troverebbe così di fronte alla varietà individuale delle strutture. Su questo “repertorio primario” gli influssi ambientali eserciterebbero una azione col rinforzo di certi rapporti intranervosi che a tali influssi corrispondono e di selezione eliminante per altri non utilizzati.
Questo darwinismo neurale scolpirebbe definitivamente la persona. Secondo questa teoria non è escluso che la ‘morte’ (o, in alcuni casi, l’atrofia) neuronica selettiva per influssi ambientali (anche psicologici) possa spiegare certe immagini diagnostiche strumentali, ad esempio nelle schizofrenie, o nelle forme depressive gravi, che sembrano risalire alla personalità premorbosa.
Potrebbe, dunque, trattarsi di fenomeni epigenetici selettivi a carico delle strutture più legate agli aspetti istintivo-affettivi della personalità. Tali fenomeni potrebbero venir fatti risalire anche a mancate o distorte risposte ambientali alle richieste istintive essenziali per lo sviluppo(Balestrieri A., 1974).
Una tale visione concreta della personalità in base ai dati delle esperienze fa riconsiderare anche il concetto di ‘endogeno’ così tanto utilizzato in psicopatologia. Se endogeno significa ‘che viene dal di dentro’, cioè da quello che uno è già prima di ammalarsi, bisogna pur ammettere che questo peculiare essere non derivi soltanto da fattori genetici, costituzionali, umorali, ma sia anche espressione di come la persona è stata ‘scolpita’ dalle esperienze specialmente nell’età formativa.
Così endogeno vorrebbe dire: che c’era prima come disposizione o tendenza ad ammalarsi in un certo senso, non ‘fatalmente’ legato a fattori generici o comunque indipendenti dalle esperienze. La teoria di Edelman sembra molto attribuire al caso per la variabilità individuale del ‘repertorio primario’, sul quale poi le esperienze reali eserciterebbero l’azione selettiva.
Nulla vieta peraltro di sostenere i fattori genetici che intervengono in questa prima strutturazione dei neuroni. Lo stesso Edelman lo riconosce, almeno per quanto riguarda lo strutturarsi di caratteristiche che sono specie-specifiche. Il confronto con l’etologia ci porta peraltro a considerare anche la possibilità che il ‘repertorio primario’ non sia inerte nei confronti delle esperienze che possono venire ‘accettate’.
Questo riconduce al concetto, evidenziato dallo studio dell’imprinting, che certe esperienze vengono attese in modo privilegiato e che le stesse esperienze danno e fissano poi l’impronta definitiva alla struttura.
Intesa in questo senso, la teoria del darwinismo neurale completerebbe il quadro conoscitivo della biologia del comportamento.
Riferimenti bibliografici
Balestrieri A. Il significato degli studi etologici per la psichiatria. In: Balestrieri A. et al. ( a cura di): Etologia e Psicologia, Bari, Laterza, 1974
Edelman G.M. Neural Darwinism. Basic Books, New York, 1987
Ploog D. Verhaltensforschung und Psichiatrie. In: Gruhle H.W. et al.:Psychiatrie der Gegenwart. Bandl/1B Springer, Berlin 1964
Stenhouse D. L’evoluzione della intelligenza, Milano, Longanesi,1975
Thorpe W.H. Learning and istinct in animals. Meuthen, London 1964
Wickler W. Gli animali questi peccatori. Mondadori, Milano, 1971