Pablo Picasso (1881-1973) – Maternità-Madre e figlio - 1903
Il Contenimento Emotivo come fase di sviluppo del bambino.
di Anna Maria Pacilli
Quando i genitori fanno troppo per i figli, va a finire che i figli non faranno abbastanza per loro stessi (E.G. Hubbard).
Il dizionario Sabatini Colelli al termine “contenere” attribuisce il significato di “Tenere dentro di sé, racchiudere” ma anche “Trattenere, reprimere, limitare”. Sarebbe insito, dunque, nel termine stesso una sorta di contraddittorietà, che si dipana lungo un continuum che va, potremmo dire, dalla protezione al “soffocamento”. Tale contraddittorietà, sottile ma fondamentale, può diventare un binomio inscindibile nella relazione madre (o genitore, in generale) /figlio. La linea di demarcazione, come vedremo, tra un attaccamento sicuro alla figura materna ed un attaccamento, invece, di tipo insicuro, non sempre è individuabile ma questo può comportare seri danni nello sviluppo psichico del bambino prima e dell’adulto poi.
Aristotele sostiene che “La famiglia è il luogo della tragedia”, intendendo questo termine non necessariamente in una accezione negativa, ma nel senso di luogo in cui si sviluppano le molteplici dinamiche relazionali.
Nello sviluppo psicofisico del bambino, il ruolo svolto dalle figure genitoriali, innanzitutto dalla madre, è proprio quello di accogliere, sostenere e contenere le emozioni del bambino, senza “fagocitarle”. Il contenimento emotivo sarebbe rappresentato, secondo M. Mahler, dall’insieme delle cure e delle attenzioni che la madre offre al bambino dalla nascita fino ai tre, quattro anni di vita. Uscito dal grembo materno, dall’utero caldo ed accogliente, che ha la funzione di nutrire e proteggere, il bambino riceve stimolazioni dall’esterno, ma è necessario che gli stimoli siano graduali, dapprima più lievi e neutri per diventare solo successivamente più intensi e significativi. Tali stimolazioni risultano graduate nella loro intensità proprio dall’intervento della madre.
Anche l’allattamento che potrebbe sembrare uno dei gesti più naturali e spontanei, che quasi non necessitano di insegnamenti, non può essere un gesto meccanico, ma deve svolgersi in un ambito affettivo e di relazione di cura.
Se questo non avviene, se la madre non circonda il bambino con le sue braccia mentre lo nutre, il bambino percepisce frustrazione, assenza, dolore.
Sensazioni fisiche diventano così emozioni e le emozioni si fanno memoria.
Le emozioni, dunque, al pari dello sviluppo cognitivo, contribuiscono a determinare l’equilibrio psichico dell’individuo e il contenimento emotivo faciliterà, nell’ambito di un “attaccamento sicuro”, il contatto da parte del bambino con il suo mondo interiore.
Se l’attaccamento alle figure genitoriali, invece, si svilupperà in modo insicuro, il rapporto che il bambino instaurerà con le sue emozioni sarà di tipo evitante e questo determinerà, una volta adulto, varie forme di ansia, disturbi dell’umore e difficoltà a stabilire relazioni intersoggettive “sane”. Una madre sufficientemente buona, come sostiene D. Winnicott, è quella che decodifica i segnali che le invia il bambino, comprendendone il significato, riconosce le sue emozioni e le contiene.
Un po’ come avviene quando, da adulti, lo psicoanalista ci insegna a comprendere i nostri conflitti, restituendoceli decodificati, e dunque per noi più accessibili.
In ogni tipo di relazione, dalla nascita alla morte, dunque, l’empatia rappresenta un elemento fondamentale, a partire dal rapporto madre-figlio di dipendenza assoluta nel cammino verso l’indipendenza, laddove una buona capacità empatica con gli altri non può prescindere dall’avere un buon rapporto con il nostro Sé.