Alfred Kubin (1877-1959) - The Water Ghost - 1905
Il Perturbante ed il Rimosso
di Anna Maria Pacilli
In Psicoanalisi la parola Perturbante è usata per tradurre il tedesco “Das Unheimliche” che, letteralmente, significa il "non familiare" o, meglio, ciò che era familiare e che di colpo diventa in qualche modo estraneo o sinistro.
Freud ha utilizzato questo termine per indicare quello stato d’animo di disorientamento che ci assale quando ci troviamo di fronte alla possibilità di gestire qualcosa che ritenevamo assodato, più o meno perfettamente conosciuto e, comunque, sotto controllo e che, invece, si rivela in grado di turbare il nostro equilibrio e la nostra interpretazione della realtà .
Il Perturbante porta, necessariamente, a reagire attivando delle difese che tentano di riportare la situazione ad uno stato, possibilmente quello "quo ante", in cui, comunque, possiamo rilassarci. Quello che speriamo in questi casi è il ritorno ad una sorta di normalità che corrisponderebbe al "vissero felici e contenti” delle fiabe di quando si era bimbi.
Sembra, però, che il ” felici e contenti ” sia possibile solo dopo che un Perturbante è avvenuto e da lì si sia tornati alla normalità. Come se per giungere al normale, per farvi ritorno (e per apprezzarlo), bisognasse necessariamente turbarsi "prima". Insomma, forse quelle fiabe a lieto fine non le abbiamo mai apprezzate abbastanza da bambini, quando erano loro a rappresentare tutto il nostro mondo, mentre, poi, le si apprezza di più da adulti, quando si sia stati "turbati".
Ciò che irrompe nella vita di ognuno di noi ci sconvolge perché, in qualche modo, si associa in noi al ritorno del rimosso: qualcosa che avevamo deciso di ignorare e di tenere fuori dalla nostra economia psichica, irrompe con violenza nel quotidiano, rompe un equilibrio che va ripristinato. Il Perturbante diventa, dunque, non tanto l’estraneo che turba la nostra vita e che non conoscevamo prima, quanto, appunto, il rimosso, ciò che era familiare, noto, ma che, proprio in quanto conosciuto come spiacevole, era stato accantonato, ed ora torna alla luce, in tutto il suo disagevole splendore.
Come agire, allora?
Cercare di "riposizionarlo" nell'inconscio, in modo che non ci turbi oltre, ma rischiando che riaffiori, comunque, di tanto in tanto, oppure cercare di affrontarlo in modo più radicale, con lo scopo di eliminarlo una volta per tutte, ma, in questo modo, andando incontro ad un cambiamento più radicale nella nostra vita, che ci renda davvero immuni?
Allora, la soluzione più definitiva sarebbe quella che non ci fa ricostruire il "lieto fine", ma quella che ci allena a cercare di accettare gli aspetti perturbanti del nostro mondo, dunque assolutamente non lieti, in modo elastico, sapendo che esistono ma che abbiamo imparato a gestirli e non a "dimenticarli".
Pubblicato anche su www.annamariapacilli.it