La donna e la depressione.
“La depressione femminile …. più frequente di quella maschile,
più legata alle défaillances e ai naufragi delle relazioni interpersonali:
più radicata nelle metamorfosi dell’intersoggettività come
struttura portante della condizione umana”.
E. Borgna, Come in uno specchio oscuramente, Feltrinelli (2007)
Le donne sono più vulnerabili degli uomini ai disturbi di tipo depressivo, a partire già dal periodo puberale, ma le modificazioni endocrine durante la transizione menopausale (perimenopausa), come vedremo, possono contribuire ad un “periodo di vulnerabilità” specifico (Kessler RC., Gonagle KA., 1993).
Così come anche la gravidanza e il post-partum rappresentano dei “picchi” per lo sviluppo della malattia.
Le donne, dunque, si ammalano di depressione più degli uomini, con un rapporto 2:1 a partire dall’ adolescenza e per tutto il corso del life-span.
Le teorie utilizzate per spiegare questo fenomeno sono riassumibili in tre gruppi:
1. Biologiche
2. Psicologiche
3. Socio-culturali
Attualmente l’ipotesi più accreditata è quella biopsicosociale, che, in qualche modo, raggruppa tutte le precedenti.
Fasi di vulnerabilità specifica per la depressione femminile (alcune caratterizzate dalla presenza di sangue, altre dalla sua assenza), sarebbero, quindi:
- l’adolescenza (con il menarca)
- la gravidanza
- il post-partum
- la perimenopausa
E’ altresì da considerare, come fattore incrementante la percentuale di depressione femminile, la tendenza delle donne a chiedere aiuto più degli uomini, con un maggiore uso dei servizi psichiatrici, un maggior numero di prescrizioni di psicofarmaci e tassi più elevati di ospedalizzazione (Cyranowski J. M., 2000).
La genesi della depressione femminile sarebbe multifattoriale, e dovuta a:
- fattori neuroendocrini: differenze nella struttura cerebrale e nella percentuale di sintesi della serotonina nel cervello umano;
- fattori psicosociali: differenze nelle strategie di “coping”, nella vulnerabilità personale, nella frequenza di esposizione e nella qualità degli eventi stressanti, come separazioni, perdite traumatiche (passati o recenti), abusi e violenze
- fattori legati alla storia dello sviluppo (relazioni d’attaccamento nell’infanzia e in età prepuberale)
- carico genetico: storia familiare di disturbi psichiatrici, affettivi e non
- tratti temperamentali (in particolare l’ansioso e l’inibito)
- variazioni ormonali in determinate fasi del life-span (pubertà, variazioni premestruali, gravidanza, post-partum, perimenopausa).
Dal punto di vista sintomatologico, le donne sembrano configurare con maggior frequenza
il quadro della depressione atipica (Khan A., 2005), con reattività dell’umore, aumento di peso e/o aumento dell’appetito, ipersonnia, paralisi plumbea, sensibilità interpersonale.
Nel sesso femminile, la comorbidità con altri disturbi psichiatrici riguarda soprattutto i Disturbi d’ansia, i Disturbi somatoformi e la Bulimia nervosa.
La teoria dell’extreme female brain di Baron-Cohen (2002), ipotizza che questi disturbi di tipo “inibitorio”, sarebbero dovuti ad una maturazione neurale precoce del cervello femminile: una più rapida maturazione della corteccia frontale nelle ragazze porterebbe ad una maggiore consapevolezza di sé rispetto ai ragazzi, ad una tendenza ad internalizzare i disagi, con maggiori difficoltà ad adattarsi al mondo esterno e conseguente maggiore vulnerabilità.
Tecniche di neuroimaging hanno evidenziato che:
> Il volume globale del cervello è maggiore negli uomini che nelle donne
> Le donne hanno una percentuale più elevata di materia grigia, gli uomini di sostanza bianca
> Il flusso ematico cerebrale globale è maggiore nelle donne che negli uomini
> Differenze sesso-specifiche nei markers serotoninergici, dopaminergici e gabaergici indicano che i cervelli maschile e femminile differiscono anche da un punto di vista neurochimico. Il cervello femminile presenta una diversa plasticità neuronale nelle diverse fasi del ciclo mestruale, nei due emisferi cerebrali (Biggio G., Serra M.A., 2009).
Diversi studi, inoltre, sottolineano il ruolo centrale svolto dagli ormoni steroidei, e dall’allopregnanolone (un metabolita del progesterone) in particolare, durante tutto il ciclo vitale della donna, nel determinare la maggiore incidenza di ansia e depressione in particolari momenti della vita femminile ( Kendler KS., 2004).
Dunque, fattori di rischio per la depressione maggiore sarebbero il sesso femminile, il nevroticismo (ossia la tendenza alla instabilità e al turbamento emozionale) e gli LSE ( eventi di vita stressanti). Soggetti con elevato nevroticismo risulterebbero più sensibili agli effetti depressogeni degli eventi avversi. Altri dati avrebbero, invece, riscontrato un rapporto femmine-maschi più elevato anche con bassi livelli di eventi avversi (Kendler KS., 2001).
Esisterebbero differenze tra i sessi anche nel “peso” dato agli eventi di vita: gli uomini sarebbero più vulnerabili a problemi o perdita del lavoro, problemi legali, divorzio o separazione.
Le donne risulterebbero più vulnerabili a problematiche affettive e domestiche (la perdita di un’amicizia intima), problemi nel saper gestire le crisi personali e delle persone più intime, la malattia di qualcuno, anche tra i conoscenti meno intimi, la morte di qualcuno nella propria cerchia ristretta, mentre, in entrambi i sessi, avrebbero lo stesso peso di vulnerabilità, problemi finanziari e coniugali, malattie proprie o di persone della cerchia ristretta, morte di qualcuno della propria cerchia più distante.
Le donne avrebbero, poi, un tasso più elevato di tentativi di suicidio rispetto agli uomini, i quali presentano, però, un’incidenza più alta di suicidi riusciti. Il suicidio rappresenterebbe, comunque, una tra le principali cause di morte per le donne occidentali di età compresa tra i 20 e i 59 anni.
In generale, un carico di fattori stressanti prima della pubertà rappresenta un fattore di rischio per disturbi psichiatrici, come disturbo depressivo maggiore e disturbo di personalità, in soggetti con predisposizione genetica.
Nelle diverse fasce d’età si osserva che prima dell’età scolare è dominante il ruolo degli eventi legati alla famiglia, mentre poi entrano in gioco fattori legati alla scuola e al rapporto con i pari.
Il valore protettivo svolto dalla rete di supporto sociale varia anch’esso tra i due sessi.
Studi di Kendler et al. (2005) hanno evidenziato che le relazioni sociali ad alto supporto emozionale risultano più protettive contro l’insorgenza della depressione maggiore nelle donne rispetto agli uomini.
Un altro studio condotto da Kendler et al. (2006) su coppie di gemelli ha evidenziato, che l’ereditabilità per la depressione maggiore era più elevata per le donne che per gli uomini (42% vs 29%).
Un approccio, che qui mi sembra interessante citare, è quello che riunisce i fattori di rischio genetico e quelli psicosociali ed è quello proposto dai teorici delle pathway evolutive(Kendler et al., 2006).
Secondo questo modello tre sono le pathway che possono condurre alla patogenesi della depressione nell’arco della vita della donna, dall’infanzia all’età adulta:
- la pathway internalizzante,
- la pathway esternalizzante
- la pathway avversità/difficoltà interpersonali.
Le tre “vie” sarebbero connesse tra loro attraverso i fattori di rischio genetico comuni.
Le avversità in età infantile sono importanti fattori di rischio per lo sviluppo di disturbi esternalizzanti. In realtà gli autori non hanno riscontrato grandissime differenze tra uomini e donne in termini di pathway verso la depressione dall’infanzia all’età adulta, anzi per certi aspetti sottolineano una certa similarità dei percorsi.
Le avversità precoci avrebbero effetti depressogeni più potenti nel sesso femminile, in particolare per quanto riguarda alcuni eventi quali la perdita di un genitore, lo sradicamento da casa, gli abusi (emozionali e psicologici).
Sarebbe, dunque, importante ricercare, in alcune fasi specifiche del ciclo vitale e riproduttivo della donna, e in particolare nel periodo adolescenziale, elementi “predisponenti” o francamente “scatenanti”.
L’esordio in età adolescenziale rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di episodi depressivi in età adulta e per una cronicizzazione della depressione.
Depressione e Climaterio
Definizioni
La premenopausa rappresenta il periodo, variabile da pochi mesi a quattro-sei anni, caratterizzato dalla fluttuazione e graduale riduzione delle secrezione degli ormoni ovarici (estradiolo, progesterone e testosterone), e dai sintomi ad essa associati.
La menopausa naturale coincide con la cessazione della produzione ovarica di follicoli, di ovociti, di estrogeni e progesterone, con conseguente scomparsa del ciclo mestruale e da sterilità definitiva. La diagnosi di menopausa naturale è normalmente stabilita dopo 12 mesi di amenorrea non associata a cause patologiche.
La menopausa iatrogena è causata dalla ovariectomia chirurgica bilaterale, dalla chemioterapia o dalla radioterapia pelvica o total body.
La menopausa è precoce quando l’esaurimento ovarico e la scomparsa definitiva delle mestruazioni avviene prima dei 40 anni.
La menopausa è anticipata quando compare tra i 40 e i 45 anni.
Fisiologicamente, all’inizio i cicli mestruali diventano irregolari, e le concentrazioni di ormone follicolo-stimolante (FSH) aumentano in risposta ai diminuiti livelli di ormoni di produzione ovarica. Al progredire della transizione menopausale, i cicli mestruali cominciano a perdere la loro ciclicità fino a non comparire più del tutto, e l’ovulazione viene meno.
La transizione menopausale inizia generalmente intorno ai 45 anni e dura comunemente 4 o 5 anni, anche se a volte può durare molti anni.
L’ultima mestruazione compare generalmente in un’età che va tra i 40 ai 58 anni, con una media di 51 anni in Italia.
La sintomatologia, oltre ai disturbi affettivi, comprende, tipicamente, sintomi di ordine fisico e sintomi pertinenti alla sfera cognitiva.
Si hanno, organicamente, irregolarità mestruali, con cicli che tendono, dapprima, ad anticipare (polimenorrea) e, poi, a ritardare (oligomenorrea); sintomi neurovegetativi, ossia vampate di calore, sudorazioni notturne, insonnia, alterazioni dell’appetito, variazioni della pressione arteriosa, riduzione del desiderio sessuale; sintomi urogenitali e sessuali: secchezza vaginale, disturbi minzionali (frequenza, urgenza, iniziale incontinenza da urgenza e/o da sforzo), dispareunia, difficoltà orgasmiche; sintomi articolari, come artralgie e dolori muscoloscheletrici, che si associano frequentemente a depressione dell’umore. Le sindromi dolorose possono scatenare o peggiorare gli stati depressivi o ansiosi, così come questi ultimi possono abbassare la soglia di sopportazione del dolore.
I sintomi cognitivi sono rappresentati da:
perdita di memoria e difficoltà di concentrazione;
comorbilità neurologiche.
La depressione è, infatti, un fattore predittivo di altre patologie neurodegenerative associate all’età, all’invecchiamento cerebrale e alla carenza estrogenica, la malattia di Alzheimer, e il Parkinsonismo.
In particolare, due studi recenti hanno dimostrato che la menopausa precoce iatrogena, aumenta significativamente il rischio di malattia di Alzheimer e di Parkinsonismo (Rocca WA., Bower JH., et al., 2007; Rocca WA., Bower JH. et al. 2008), in quanto:
a) priva il cervello di ormoni essenziali per la salute dei neuroni, con conseguenze importanti sulle capacità cognitive della donna;
b) aumenta la componente vascolare del deterioramento cognitivo (la cosiddetta “demenza aterosclerotica”) e/o dei deficit del sistema colinergico genericamente legati all’età.
La transizione menopausale costituisce un momento di “crisi” che, analogamente all’adolescenza e alla maternità, richiede adattamenti fisiologici, psicologici e relazionali.
Secondo uno stereotipo di riferimento la maternità e la crisi adolescenziale hanno un significato evolutivo e creativo, mentre la menopausa è per lo più un’esperienza di lutto dovuto alla perdita della fertilità e rappresenta di per sé un fattore di vulnerabilità per lo sviluppo di disagio psichico.
Dati empirici, invece, mostrano che spesso le donne hanno un’attitudine positiva nei confronti della menopausa, ritenendola non solo una transizione fisiologica, ma anche un’opportunità per bilanci esistenziali, ulteriore maturazione e realizzazione di obiettivi.
Secondo la teoria dello sviluppo psicosociale di Erikson (1902-1994), la transizione menopausale naturale si inserisce nella fase caratterizzata dall’antitesi tra generatività e stagnazione: l’esito positivo è lo sviluppo della generatività intesa non solo come procreazione e allevamento della prole, ma anche come produttività e creatività, mentre quello negativo è rappresentato dalla stagnazione, un affievolimento delle tendenze creative e produttive.
Studi epidemiologici longitudinali mostrano che nella popolazione generale lo stato menopausale di per sé non è associato ad un aumentato rischio psicopatologico e la transizione menopausale corrisponde ad un periodo di aumentata vulnerabilità per depressione unipolare soltanto in alcune donne vulnerabili. E’ comunque importante considerare che le modificazioni del sistema serotoninergico e, in parte, dopaminergico e noradrenergico, indotte dalla carenza di ormoni sessuali, deporrebbero per una maggiore incidenza di eventi depressivi.
I fattori di vulnerabilità sono rappresentati da fattori genetici, pregressi episodi depressivi in particolare durante periodi di fluttuazioni ormonali (depressione post-partum, sindrome disforica premestruale), sintomi vasomotori e stressors psicosociali.
I fattori di stress psicosociale sono associati a un aumentato rischio per sviluppo di sintomi depressivi subclinici e un esordio di disturbo depressivo maggiore durante la transizione menopausale e il loro impatto è maggiore rispetto a quello dello stato menopausale per sé.
Uno degli studi importanti è quello multicentrico e multi-etnico SWAN (Study of Womens Across the Nation) che segue prospetticamente da più di tredici anni un campione totale di circa 16.000 donne della popolazione generale statunitense. Secondo questo studio donne in peri-menopausa o in post-menopausa e donne che assumevano terapia ormonale estro-progestinica avevano un rischio maggiore di sviluppare sintomi depressivi rispetto a donne in premenopausa, indipendentemente da fattori demografici o comportamentali.
Lo stato menopausale, di per sé, costituirebbe un potenziale fattore di rischio per l’esordio di un disturbo depressivo maggiore e studi longitudinali hanno dimostrato un aumento del rischio di sviluppare disturbi depressivi nelle donne in peri-menopausa rispetto a quelle in pre-menopausa (Cohen L. S., 2006).
Questo studio ha confermato che fattori predittivi della depressione postmenopausale sono:
- precedenti episodi depressivi in età fertile,
- sindrome premestruale e/o depressione post-partum,
- comorbilità con sintomi menopausali maggiori, in particolare vampate, sudorazioni notturne, insonnia,
- menopausa non trattata con terapia ormonale sostitutiva,
- stress esistenziali maggiori,
- elevato Body Mass Index,
- basso livello socioeconomico.
D’altronde, sintomi depressivi possono sovrapporsi a quelli associati alla menopausa, complicando ulteriormente il quadro. Infatti i sintomi della menopausa, specialmente nelle donne con patologie psichiatriche pregresse, possono esacerbare i quadri depressivi, e, a sua volta, la depressione può esacerbare i sintomi menopausali.
La relazione fra sintomi depressivi e menopausa è poco chiara. Una delle controversie maggiori consiste nello stabilire se l’umore depresso sia causato da fattori psicologici correlati all’invecchiare della donna o se i cambiamenti ormonali possano influire significativamente su questa condizione.
La ricerca sulla correlazione tra menopausa e sintomi depressivi ha fornito risultati contraddittori.
Alcuni studi, tra i quali il nostro, di cui si parlerà in modo più dettagliato in seguito, evidenziano un aumento dell’incidenza della depressione nella donna nella transizione menopausale e che le donne che entrano nella transizione menopausale più precocemente sono a maggior rischio di sviluppare una depressione de novo. Altri hanno documentato una relazione tra riduzione perimenopausale degli ormoni sessuali e aumentata vulnerabilità a disturbi dell’umore, anche in donne senza precedenti depressivi (Freeman EW., 2006).
Un’altra area interessante riguarda la cosiddetta “sindrome del nido vuoto”: contrariamente a molta letteratura psicodinamica, uno studio dimostra una diminuzione nell’incidenza di umore depresso e di irritabilità dopo la partenza dell’ultimo figlio da casa. Il ritorno dei figli a casa durante la transizione menopausale risulta in una riduzione del buon umore e in una diminuzione di frequenza dell’attività sessuale nelle donne: qualcuno ha parlato di “sindrome del nido troppo pieno” (Dennerstein L., 2008).
Tra le indagini più recenti, lo Structured Clinical Interview for DSM-IV Axis I Disorders (SCID) è stato utilizzato per determinare l’incidenza di sintomi depressivi o di depressione maggiore in 266 donne in età premenopausale o perimenopausale senza sintomi depressivi all’inizio dell’indagine (Bromberger JT., 2004). Delle donne prese in esame, 42 (15,8%) sono andate incontro ad un episodio di depressione maggiore nei 7 anni successivi.
I fattori di rischio sono risultati essere:
- sintomi vasomotori frequenti (almeno 6 episodi in 2 settimane): aumentano di due volte il rischio di depressione (HR 2.14, p=0.03). Questo studio correla con altri che dimostrano come le vampate, non sono solo un segno di regolazione neurovegetativa, ma un “semaforo rosso” che si accende sulla vulnerabilità complessiva del cervello alla carenza di ormoni sessuali. Le vampate severe e/o frequenti sono infatti fattore predittivo di aumentata vulnerabilità alla depressione, alla malattia di Alzheimer e al parkinsonismo;
- storia di episodi ansiosi precedenti (HR 2.20, p=0.02), anche se non è chiaro se si manifesti prima l’ansia o la depressione;
- episodi dolorosi negli anni precedenti o durante lo studio (HR 2.25, p=0.04); non è ancora chiarito se influiscano di più sulla manifestazione del primo episodio o sulla ricorrenza delle recidive;
- utilizzo di sostanze psicoattive;
- un BMI elevato;
- problemi economici.
(Graziottin A., Serafini A., 2009).
La controversia sul ruolo delle modificazioni endocrine e di salute correlate all’età e alla menopausa rispetto ai fattori psicodinamici resta attuale.
I ricercatori di estrazione biologica (ginecologi, neurologi e psichiatri) tendono a dare sempre maggiore attenzione ai fattori neuroendocrini, mentre i ricercatori di matrice psicodinamica danno una priorità etiologica ai vissuti negativi personali.
Secondo Bromberger JT. et al. (2004) più che i reali problemi oggettivi di salute e il calo di prestanza fisica fisiologica all’avanzare dell’età, ciò che è maggiormente rischioso per l’insorgenza di depressione in menopausa sarebbe il timore e la percezione negativa di essi (HR 1.88, p=0.07).
In questo studio non sono state trovate associazioni fra i livelli di ormoni sessuali e/o l’alterazione del pattern mestruale e l’inizio della depressione.
Riferimenti bibliografici
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