Aggiornato al 21/12/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire
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Leonid Afremov (1955 -      ) - Paura

In bilico tra cambiamento e depressione: appunti di viaggio.

L’argomento propostomi ha suscitato in me, tra le prime emozioni, quella di un ricordo: il mio primo anno di insegnamento della disciplina psichiatrica al Corso di Laurea in Infermieristica dell’Università di Cuneo.

E’ passato ormai un po’ di tempo da permettermi di scusarmi con i lettori (e con me stessa) se non ricorderò esattamente quanti anni fa. Ma ricordo esattamente le emozioni che provai e le parole che queste emozioni mi spinsero a dire.

Tra le prime domande, chiesi ai ragazzi cosa pensavano della Psichiatria, se avevano già avuto esperienza col malato psichiatrico e che tipo di esperienza avevano avuto.

Ricordo molti volti esprimere incredulità e, a tratti, stupore, e ricordo che molte voci pronunciarono la parola “paura”. Ecco, io cercai, per quanto era nelle mie possibilità, di rassicurarli rispetto al fatto che non necessariamente, anzi in misura molto minore rispetto a quanto si possa pensare, il malato psichiatrico è una persona pericolosa, insomma non tanto più, per le caratteristiche insite nella sua malattia, di altre e che, spesso, è un luogo comune che la malattia psichiatrica si associ al concetto di “aggressività”. Cercai di condurre i giovani all’idea che le paure sono più spesso dentro di noi e che si tratta, per lo più, di paure che riguardano ciò che non conosciamo.

Ciò che conosciamo, infatti, a meno che non costituisca un reale pericolo per la nostra integrità personale, riusciamo a gestirlo più facilmente perché l’abbiamo già sperimentato, non rappresenta una novità per noi.

L’ignoto, invece, in quanto “cambiamento” rispetto alle nostre abitudini, ci spaventa.

La sicurezza derivante dal conservare ciò che abbiamo acquisito, ci dà tranquillità, il nuovo ci può destabilizzare.

Il messaggio che stavo trasmettendo ai miei studenti in realtà, capii poco dopo, era dettato da un mio meccanismo proiettivo: cosa pensavo di fare durante questo percorso nuovo per me?

Volevo essere la classica insegnante cattedratica che pretendeva di raccontare la Psichiatria, così come la si leggeva sui “sacri” testi ( e come io stessa non l’avevo imparata, grazie al Prof. Ferro dell’Università di Chieti, che era stato assolutamente originale nell’avvicinarci alla patologia psichica), oppure volevo portare qualcosa di nuovo tra i giovani, provando ad addentrarmi nei meandri dell’animo di chi soffre per una patologia della mente?

Scelsi, ed, in realtà, avevo già scelto dentro di me, la seconda via, anche se un po’ la temevo, perché si trattava di mettermi in gioco in prima persona, si trattava di rischiare, di inventare, anche.

Perché gli stati d’animo che si provano quando ci si trova al cospetto della sofferenza, non li si trovano scritti da nessuna parte e, dunque, bisogna cercarli dentro di sé.

Allargando il discorso a temi più generali, tutto o quasi tutto ciò che è nuovo, può spaventare: trovarsi al cospetto del non noto, non è sempre piacevole, anche se può trattarsi di una situazione, di una circostanza, che potremmo immaginare come gradevole.

Si tratta, comunque, di qualcosa di nuovo, e, in quanto tale, incerto. Non sappiamo se sarà realmente come ce lo prefiguriamo, se ci porterà esattamente quella gioia che ci attendiamo, oppure se ci deluderà. E, se non ci deluderà, non sappiamo se la gioia sarà duratura.

Un altro problema insito nel concetto di “ novità”,  è la durata.

Paradossalmente, come accade in alcuni rapporti sentimentali, scegliamo di rimanere in storie  e con persone che non sono più capaci di generare in noi emozioni, pur di non rischiare, avventurandoci in altre storie che, invece, si prospetterebbero come più felici, proprio perché è insita in loro quella “dose” di ignoto che ci spaventa.

Salvo, poi, come accade sempre più negli ultimi anni, abbandonarci a storie virtuali, in cui si ha la sensazione di poter, comunque, strappare alla banale quotidianità, attimi di distrazione internettiana. Nascono, così, storie e, a volte, addirittura, mondi paralleli. Ci si può “costruire” così come si vuole, si appare mostrando di sé solo le parti che si credono appetibili per l’altro, intrecciando amori “liquidi” così come li ha definiti Zygmunt Bauman nel 2003, incerti, senza solidità, mutevoli in base al contenitore, non dotati di forma propria e, dunque, variabili in base alle circostanze. Connettersi e disconnettersi, in questi rapporti, è solo un gioco, inventare qualcosa in più offline richiede impegno. Eppure, queste storie sembrano dare un po’ di calore e, al contempo, di refrigerio, ad esistenze destinate alla banalità, senza mettere a rischio rapporti “consolidati”, anche se profondamente infelici.

Si tratta di storie in cui, per lo più, non si arriva ad un incontro nel reale, perché per alcuni sentirsi in bilico tra il vecchio e il nuovo, tra desiderio di emozioni e paura di un legame, con la conseguente spinta al cambiamento, è vissuto come intollerabile, possibile fonte di “depressione”. Appare paradossale, se ci si pensa un po’ più attentamente, come sia possibile accettare un’esistenza destinata all’immobilità e viverla come meno depressogena, rispetto ad una situazione nuova, al cospetto della quale, la spinta vitale porterebbe una possibile ventata di gioia.

Ma lì, nel nuovo, nell’incertezza, si avrebbe più paura di soccombere.

Un sentimento di depressione può derivare anche dalla sensazione di non farcela, dal sentirsi incapaci di separarsi da ciò che si ha e che ormai è diventato parte di sé, dalla sensazione di inadeguatezza derivante dall’affrontare le novità, dal non sentirsi pronti a farlo, e, probabilmente, dal non esserlo mai.

Molto meglio rimandare ( non solo al “dopo”, più spesso al “mai”), pur di non affrontare:

Meglio aggirare l’ostacolo, piuttosto che trovarselo “vis à vis”.

Sono quelle depressioni accompagnate da una componente ansiosa, invece, che possono spingere al cambiamento, al rinnovamento. Ovviamente parlo di quella forma di ansia parafisiologica e non proprio patologica, ossia non di quell’ansia che fa perdere il controllo sulle cose, ma di quell’ansia più lieve, quell’agitazione “buona” che funge da propulsore nella vita.

Livelli più alti di ansia, caratteristici di quelle personalità fortemente ansiogene e generati anche dal solo pensare ad un cambiamento, prima ancora di mettere in moto i meccanismi per tentare di attuarlo, possono diventare ingestibili da parte dell’economia psichica dell’individuo.

Al contrario, le depressioni “pure”, quelle cioè, caratterizzantesi per una sensazione di sfiducia in sé e  negli altri, di inutilità, di incapacità ad affrontare la quotidianità e il futuro, non prevedono la possibilità di un cambiamento, ma un senso di rassicurante e drammatica staticità.

Inserito il:31/07/2015 11:52:37
Ultimo aggiornamento:23/08/2015 18:22:03
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