Depressione e Immunità: riflessioni “a doppio senso”.
Gli studi classici sulla fisiopatologia dei disturbi depressivi condotti in ambito neurobiologico, hanno messo in evidenza che il sistema neurotrasmettitoriale monoaminergico, in particolare quello della serotonina, sarebbe il responsabile del disturbo depressivo maggiore.
In che modo? Sarebbero implicati, in questo senso, la riduzione dei livelli plasmatici di triptofano, o di quelli plasmatici e cerebrali di serotonina, modificazioni del trasportatore (SERT) e dei recettori della serotonina, attraverso una “down-regulation” dei recettori della serotonina del tipo 1A e una “up-regulation” di quelli di tipo 2.
A sua volta, il deficit di serotonina è stato messo in relazione con un aumento dell’attività di un enzima, la triptofano-pirrolasi epatica, stimolato dall’eccesso di corticosteroidi circolanti, che devierebbe il metabolismo del triptofano dalla produzione di serotonina verso quella della chinurenina.
Una “up-regulation” della via che dal triptofano porta alla chinurenina determinava non solo un deficit di serotonina, ma poteva essere implicata nello sviluppo di ansia, sintomi psicotici e deterioramento cognitivo associati alla depressione (1,2). Recenti studi di neuroimaging, e soprattutto la risonanza magnetica (RMN), hanno contribuito a spiegare la fisiopatologia della depressione.
Nei pazienti depressi sono state riscontrate alterazioni strutturali a carico dell’ippocampo, della corteccia prefrontale, dell’amigdala, del cingolato anteriore e dei gangli basali, e anche alterazioni funzionali in altre zone della corteccia cerebrale (3).
La perdita di volume di tale aree si correla sia alla riduzione del fenomeno della neurogenesi, sia ad un incremento dei fenomeni neurodegenerativi. D’altro canto, esperienze stressanti di vario tipo, ostacolerebbero la neurogenesi stessa.
L’utilizzo di farmaci antidepressivi di seconda generazione, che agiscono inibendo selettivamente il re-uptake della serotonina, mise in evidenza, comunque, che solo poco più della metà dei pazienti affetti da depressione maggiore presentava una remissione completa della sintomatologia. Da ciò si dedusse che l’ipotesi serotoninergica, da sola, non era sufficiente a spiegare la complessità del quadro clinico (4).
Così, più recentemente, la Neurobiologia ha evidenziato, in altro senso, che altri processi, come quelli infiammatori e neurodegenerativi, potrebbero essere coinvolti nello sviluppo della depressione.
L’infiammazione, molto più studiata nelle patologie somatiche, è considerata il processo finale di un’interazione tra stressors esterni e interni che potrebbe determinare l’insorgenza di una malattia. Più tardi questo fenomeno è stato esteso anche ai quadri psicopatologici, in particolare alla depressione.
Con l’avvento e il crescere della Psiconeuroimmunologia (5), è emerso il ruolo svolto dal sistema immunitario nell'interfaccia tra il Sistema Nervoso Centrale e gli organi periferici. Mentre l’attività neurobiologica delle citochine (6) fu messa abbastanza presto in evidenza, la funzione dei linfociti T nel contesto della depressione, fino a poco tempo fa era stata trascurata.
Le cellule T attivate, si vede, possono svolgere un ruolo neuroprotettivo importante nell’ambito sia dello stress che dell'infiammazione. Nell’ambito dei fenomeni infiammatori i linfociti T, poi, non hanno solo una funzione effettrice capace di eliminare cellule tumorali, infette e organismi patogeni, ma svolgono anche una funzione regolatrice tramite la produzione di linfochine, molecole che sono alla base di fenomeni di cooperazione cellulare nella risposta immunitaria (7,8).
Le cellule a funzione effettrice possiedono la molecola di riconoscimento CD8 (sono dette CD8+) e sono i linfociti T citotossici (CTL); le cellule con funzione regolatrice sono marcate dalla CD4 (dette CD4+) e sono i linfociti T helper (CTH).
La produzione di cellule T come fenomeno immunitario antigene specifico, ha dimostrato di ridurre l’incidenza di eventi stressogeni nell’ambito del sistema nervoso centrale, come fattori favorenti una patologia di tipo ansioso e/o di tipo depressivo. Questi studi sono stati condotti sperimentalmente sull'ippocampo delle cavie, e nel fenomeno sarebbero implicati anche i glucocorticoidi.
I dati ottenuti indicano che le cellule T svolgerebbero un ruolo nella patogenesi della depressione attraverso la “down regulation” di risposte infiammatorie croniche. Partendo dal concetto che le cellule T possano svolgere funzioni neuroprotettive ed addirittura un ruolo cardine nella plasticità neuronale, ed anti-infiammatorie durante lo stress e i fenomeni patologici in cui c’è una infiammazione, un’alterata funzione delle cellule T potrebbe contribuire direttamente allo sviluppo della depressione.
Nei pazienti affetti da depressione, infatti, sono stati trovati molti markers infiammatori: elevati livelli di proteine di fase acuta e di citochine pro-infiammatorie sia nel sangue periferico che nel liquido cerebrospinale, bassi livelli sierici di zinco, e mediatori infiammatori come le prostaglandine (9).
È anche noto il fenomeno della “neuroinfiammazione”, mediante l’attivazione della microglia nell’ambito del sistema nervoso. Non è ancora chiaro se l’infiammazione che si presenta durante un episodio depressivo origini a livello periferico, o se lo stress o altri fattori possano indurre direttamente un processo infiammatorio a livello del sistema nervoso centrale. Le citochine pro-infiammatorie, comunque, attraversano la barriera ematoencefalica e raggiungono il sistema nervoso, dove attivano le cellule immunitarie ed endoteliali, che, a loro volta, possono produrre altri mediatori dell’infiammazione, ma anche i nervi afferenti periferici, come il vago.
Una maggiore sensibilità all'apoptosi (fenomeno controllato geneticamente che determina la morte programmata di una cellula a un certo punto del suo ciclo vitale e che è distinto dalla “necrosi” cellulare, derivante, quest’ultima, da uno stress acuto o da un trauma), nonché una minore reattività ai glucocorticoidi, incapaci di limitare l’infiammazione, non solo può ridurre la “disponibilità” di cellule T nei pazienti depressi, ma anche la loro “efficacia” in risposta ad importanti stimoli immunitari (10,11).
Le citochine potrebbero, dunque, essere responsabili, almeno in parte, della resistenza ai glucocorticoidi tipica dei pazienti depressi (12), mentre, il fenomeno dell’invecchiamento, che si caratterizza per un’elevata sintesi di cortisolo (indotto dalle citochine pro-infiammatorie), potrebbe essere in parte responsabile dell’aumentato rischio di sviluppare un episodio depressivo maggiore nel soggetto anziano (13).
Ulteriori studi sulle alterazioni delle cellule T potranno portare a nuove intuizioni sulla correlazione tra sistema immunitario e depressione. Di converso, il miglioramento della funzione delle cellule T, quindi un rafforzamento del sistema immunitario, potrebbe rappresentare una strategia terapeutica alternativa ai consueti psicofarmaci nella patologia depressiva.
Riferimenti bibliografici
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