Progressi scientifici nella cura della tiroide.
In accordo con il titolo della rivista, quale argomento può essere più attinente con il futuro, se non quello medico?
La medicina è la scienza maggiormente proiettata al futuro rispetto a tutte le altre, per la continua ricerca di soluzioni atte a trovare una risposta sempre più puntuale e precisa alla scoperta dei meccanismi delle malattie, alla diagnosi ed alla terapia.
Un vero e proprio effetto “virale” che si insinua nelle menti dei ricercatori e dei medici: scoprire, scoprire, scoprire. Ma anche validare le scoperte con importanti risultati scientifici che garantiscano la sicurezza della scoperta.
Non per nulla è la scienza che negli ultimi 100 anni ha registrato i più importanti passi in avanti ed è sempre proiettata nel futuro.
Sono sotto gli occhi di tutti, sebbene alcune volte con sequele importanti o grandi polemiche, l’allungamento dell’ età della vita, la forte riduzione di mortalità di alcuni gruppi di malattie una volta ampiamente mortali, la precocità della diagnosi, l’ affidabilità dei farmaci sempre più scevri di effetti collaterali.
Anche nel campo delle tireopatie (branca dell’ endocrinologia che si occupa a tutto tondo delle malattie tiroidee), mio campo professionale da 20 anni, si sono registrati importanti positivi cambiamenti.
Basti pensare all’ avvento dell’ agoaspirato che ha permesso una diagnosi dei noduli tiroidei, alla possibilità di vedere con precisione i noduli e le loro caratteristiche mediante l’ ecografia ad alta risoluzione, all’ aumentata precisione degli esami di funzione tiroidea, che ci permettono di diagnosticare condizioni subcliniche, alla PET che ha permesso di dare in molti casi una risposta ai rialzi di Tireoglobulina, quando le metastasi da Carcinoma tiroideo, perdono la capacità di inglobare lo iodio radioattivo, con successivi risvolti terapeutici.
Ma esistono ancora le cosiddette “zone grigie”. Aree della nostra attività a cui non sappiamo dare una risposta precisa, che ci lasciano perplessi, noi per primi e nei confronti dei pazienti.
Una di queste, forse la più pressante, è la diagnosi citologica di incertezza o indeterminatezza sul prelievo dell’ agoaspirato, che può verificarsi al variare della casistiche nel 15-20% dei noduli tiroidei. Non sapere se un nodulo è benigno o maligno rappresenta una sconfitta. Un dilemma ancora non risolto, malgrado negli ultimi 10 anni si è cercata ogni possibile via e si sono sperimentate moltissime tecniche.
Dai prelievi seriati in più punti del nodulo, alla diagnosi di probabilità di malignità in base alle dimensioni del nodulo o alle caratteristiche ecografiche, all’ immunoistochimica, alla captazione del fluordesossiglucosio (FDG), tracciante usato in PET per la ricerca delle cellule tumorali, alla recente classificazione citologica modificata che cerca di dividere questi tipi di noduli in una classe a rischio molto basso (senza atipie cellulari) ed in un’ altra con rischio più alto (con atipie cellulari).
Tutti i tentativi però portano per ora, come nel passato, ad un’ unica soluzione: togliere chirurgicamente il nodulo per esaminarne il tessuto, cioè fare l’ esame istologico. Ricordo che comunque stiamo parlando di forme che risultano Carcinomi in non più del 20% dei casi. E anche una volta che il paziente ricade nel 20% della diagnosi infausta, si trova di fronte ad un Carcinoma poco aggressivo e nella grande maggioranza dei casi ampiamente curabile.
In questa situazione di apparente stallo dove sta il futuro?
Il futuro, come spesso capita, viene dal passato e dal presente. Viene dalla caratterizzazione di tutte le sequenze del DNA umano e da questo la scoperta dell’ alterazione dei geni che regolano alcuni importanti processi.
Sono stati scoperti alcune modificazioni geniche responsabili della trasformazione delle cellule tiroidee in senso carcinomatoso.
Tra questi il più importante è il gene BRAFV600E. Trovare l’ alterazione di questo gene nelle cellule pare non possa dare un aiuto in senso prognostico, almeno per ora, ma può aiutare a rendere meno “grigia” la zona che vogliamo esplorare.
Tale analisi oggi è possibile farla sul prelievo citologico. Se il gene BRAFV600E è positivo la probabilità di trovarci di fronte ad un Carcinoma papillare tiroideo è quasi del 100%.
Sarà necessario procedere all’ escissione chirurgica, mediante asportazione totale della ghiandola ed eventualmente dei linfonodi limitrofi alla stessa.
Viceversa se il gene BRAF non presenta modificazioni il nodulo non può essere considerato sicuramente benigno, ed a seconda dei casi e delle valutazioni clinico (dimensioni del nodulo, età del paziente, altre patologie correlate), ecografiche (ecogenicità, vascolarizzazione, margini, contenuto della lesione, durezza del nodulo), citologiche (atipie presenti o assenti) si procederà a monitorarlo nel tempo mediante ecografia, oppure all’ asportazione per verifica istologica mediante nodulectomia, lobectomia (asportazione di metà ghiandola) oppure tiroidectomia totale.
Piano piano, forse, ma diciamolo a voce bassa, ci sarà la possibilità di porre diagnosi di certezza nella quasi totalità dei noduli tiroidei, portando al tavolo operatorio solo i Caricinomi e i grossi strumi multinodulari compressivi al collo.