Aggiornato al 05/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Belvedere - Numero 77

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Kay Walton (Contemporanea - Texas) – Paesaggio

LE PRIMARIE per la designazione dei candidati che un partito presenterà poi alle elezioni ufficialmente, hanno risvolti positivi e negativi. Per come si fanno in Italia all’interno del Partito Democratico che per il momento è l’unico partito che li fa, presentano una obbiettività parziale perché in ogni caso non sono chiare le regole per definire chi e come si può candidare e quali impegni deve poi assumere il vincente e nei confronti del partito e dei perdenti, così come non è chiaro quali impegni devono comunque assumere i perdenti e quali ruoli possono pretendere per il fatto che hanno sostenuto nel partito una battaglia anche se non vincente.
Inoltre e soprattutto, le regole vengono fatte o modificate volta a volta e questa non è la migliore garanzia di imparzialità e forse anche di democrazia, perché comunque dimostra una certa piegatura discrezionale del sistema.
D’altra parte le primarie hanno il merito di operare una sensibilizzazione della opinione pubblica molto prima delle campagne elettorali ufficiali, selezionano i candidati, li obbligano a presentare programmi e fare uno sforzo di razionalizzazione della loro azione politica, spesso ad annunciare, se non tutti, almeno alcuni dei principali collaboratori di cui intendono servirsi in caso di una loro vittoria, allargano alla società civile la possibilità di partecipare più di prima e comunque non solo dopo l’imprimatur di una segreteria politica. Insomma le primarie sono uno strumento democratico e che favorisce la partecipazione, che va affinato e reso più efficiente e più obbiettivo e che può dare aiuto alla evoluzione del paese, della sua cultura politica e del modo di capire come partecipare.

L’UNIONE EUROPEA perché per anni è stata guidata male e forse è nata male pur partendo da una grande e importante idea nata dopo la seconda guerra mondiale.
Il fatto è che piano piano l’idea espressa da statisti, politici con il supporto di filosofi e uomini di cultura fra cui forse gli unici pieni di dubbi erano gli storici, è scivolata verso gli economisti che se ne sono impadroniti e l’hanno trasformata nella sostanza in un centro commerciale e di affari dove si possono incrociare interessi e dove i luoghi di tutte le transazioni sono le banche cui piano piano si sono affiancate le società finanziarie favorite dalla globalizzazione e dalla tecnologia.
Allora sono nate regole complicate fatte per togliere autonomia agli Stati, si è sviluppata una burocrazia elefantiaca che blocca e ritarda il progresso e l’innovazione, si sono spente le valutazioni politiche per basare tutte le azioni su bilanci, valutazioni contabili, soldi che entrano e soldi che escono. 
Detto tutto ciò e concordando con i peggiori giudizi negativi sulla attuale Unione Europea le azioni da intraprendere sono di due tipi, come diceva il polacco Samuele Jacoboski, o distruggerla sapendo che una operazione di tale fatta è per sempre o almeno per qualche secolo o tentare di modificarla piano piano e in qualche modo di riorientarla.
La prima cosa è la più facile e chiunque è capace o può essere capace di disegnare una azione per raggiungere rapidamente il risultato voluto, nel secondo caso bisogna fare politica. E fare politica è più difficile, più impegnativo, più logorante, più incerto.
Tra le due alternative i sostenitori della prima ipotesi sono solo politici o uomini di partito, mentre la seconda ipotesi è sostenuta da statisti e da uomini di cultura. La speranza che prevalgano questi secondi, la speranza che questa iniziativa diventi veramente la speranza (il giro di parole è voluto) dei popoli europei.

A proposito delle polemiche sulle QUATTRO BANCHE FALLITE e che sono relative non alla sostanza e metodologia del fatto, ma a lotte politiche nel senso che alcuni gruppi partitici, legittimamente, hanno colto la palla al balzo per inveire contro membri del governo o chiedere le dimissioni del governo intero per conflitto di interessi (in un paese dove il conflitto di interessi non è mai esistito sembrerebbe (!) o comunque si fa finta che sia così).
La verità è che le quattro banche non sono state salvate dal governo che, invece, ha salvato i dipendenti e i clienti risparmiatori compresi ed ora tenta anche di salvare gli investitori perlomeno quelli che sono stati chiaramente truffati in barba a regolamentazioni italiane ed europee ed in barba a qualsiasi principio liberale di mercato.
Ma le famose quattro banche non sono che l’avamposto di una schiera di banche che si trovano più o meno nelle stesse situazioni come conseguenza di politiche dissennate e clientelari di un management incompetente e incapace e di una totale mancanza di controlli della Banca d’Italia da una parte e da parte della Autorità di settore che si chiama Consob (nessuno lo vorrà ammettere perché si tratta di cosa gravissima ma da anni che questa situazione va avanti e qualche denuncia da parte di qualche persona avveduta gli anni passati la hanno vista).
Bisogna risolvere rapidamente il tema della aggregazione delle banche tra di loro perché le dimensioni piccole anche se permettono un buon collegamento su qualche territorio non possono più consentire la competitività necessaria ( siamo con la Germania il paese europeo con il maggior numero di banche, di personale bancario, di dirigenti bancari, di consiglieri di amministrazione, di manager e così via), bisogna risolvere il problema della professionalità del personale oggi molto carente, bisogna vedere come affrontare il tema degli esuberi che sono tanti (purtroppo non si può sperare in una collaborazione sindacale non per mancanza di volontà ma per incapacità), bisogna rivedere le regolamentazioni bancarie per consentire alle banche più avvedute di entrare in settori di mercato paralleli al fine di sfruttare le loro strutture tecnologiche, fisiche e relazionali, è necessario ancora emanare politiche di indirizzo verso i settori considerati più strategici nella visione economica del futuro del nostro paese come l’agroalimentare, il culturale, il professionale e quello della ricerca, infine risolvere (magari forzando le barriere europee) il problema dei crediti inesigibili che rappresentano una palla al piede allo sviluppo e alla risistemazione dell’intero comparto.
Ora il mondo politico discute delle quattro banche e di un conflitto di interessi che non si sa se esiste e comunque potrebbe servire al massimo a far fuori qualche Ministro, ma non a cambiare la situazione sulla quale nessuno fa proposte (insomma è come guardare la luna e descrivere il dito che la indica).

I 40 ANNI DI REPUBBLICA sono un evento importante perché questo giornale è ormai forse più nazionale del Corriere della Sera, fa parte di una iniziativa imprenditoriale che presenta risultati positivi, ha un tasso di diversificazione e di innovazione abbastanza alto tendendo conto del paese e della cultura dei lettori, ha un livello di indipendenza da altre iniziative economiche di tipo imprenditoriale o meno, il suo editore, di cui si può dire tutto quello che si vuole nel bene o nel male, ha comunque assicurato una autonomia assoluta dei giornalisti e di chi lo ha diretto per tutto questo tempo.
Certamente Repubblica, almeno sino a questo momento, è stata ed è ancora una creatura del decano Eugenio Scalfari e il suo comportamento è sempre dipeso dalle scelte politiche e sociali dello stesso. Questo ultimo aspetto forse negli ultimi tempi è stato un po’ un limite perché lo sguardo sul mondo che cambia non solo e non tanto da un punto di vista tecnologico ed economico, quanto soprattutto nella ricostruzione di valori e nella ridefinizione di obbiettivi ha trovato un limite in un atteggiamento un po’ conservatore e presuntuoso del suo fondatore e icona.
Ma, infine, i 40 anni di Repubblica sono un evento importante perché soprattutto dimostrano che la democrazia nel nostro paese sarà incompiuta, ma la libertà e la possibilità di avviare e gestire strumenti nuovi e professionali esiste, basta solo volerlo e, soprattutto, saperlo fare.
Il suo editore, Carlo De Benedetti, ha scritto che l’iniziativa di Repubblica e L’Espresso rimane la più importante della sua vita professionale e quella cui lui rimane più legato sentimentalmente.
Si capisce, ma forse poteva essere un po’ più soft e in qualche modo far risaltare anche quella da lui percorsa in Olivetti, sia per quello che è stata per lui in un momento del tutto particolare del suo percorso e sia per quella magnifica azienda che lui prima ha contribuito a risollevare e poi in qualche modo ha abbandonato o trascurato in mani non sempre sicure e per la quale qualche ombra pare di intravedere obbiettivamente nella sua coscienza.

In questi giorni si parla molto di nuove leggi a proposito delle UNIONI CIVILI a prescindere dal sesso e fa un po’ specie vedere la politica divisa tra cattolici e laici, come se la società italiana dentro quella europea e mondiale dovesse rispondere ad una credenza religiosa o meno o, in alternativa, magari aderire ad un concetto di laicità che separa, giustamente, l’attenzione verso gli uomini e il loro modo di vivere in una comunità dal loro pensiero religioso, che può certamente influenzare il comportamento di ognuno e anche collettivo, ma non il sistema di relazioni né la natura dei propri sentimenti e delle proprie emozioni umane. Sarebbe bello insomma se costoro che sono incaricati di fare le leggi per tutti noi si concentrassero sul funzionamento della società, sul rispetto umano, sul principio di voler tener conto della diversità della natura e sulla libertà dell’uomo che, senza scomodare il libero arbitrio, è riconosciuta persino nei sacri testi.

 

Inserito il:16/01/2016 11:59:50
Ultimo aggiornamento:03/02/2016 22:20:59
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