Aggiornato al 05/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Belvedere - Numero 95

 

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Francesco Battaglioli (1725 – 1796) – Ferdinando VI e Barbara di Braganza nei giardini di Aranjuez - 1756

 

Forse il fronte degli economisti a livello internazionale che pensano che il futuro non è altro che la proiezione del passato magari con qualche piccolo escamotage in più e che pensano che la visione del mondo deve partire dall’assetto economico di una società, e che chi non è nella fascia dei beneficiari deve continuare a soffrire per dare una mano a quelli che sfruttano e se la godono, forse questo fronte comincia ad avere qualche crepa. In una recente intervista persino Joseph Stiglitz, premio Nobel per l’economia, ha cominciato a dire, anche se ancora timidamente, che bisogna cambiare modello, che bisogna lavorare per inventare un nuovo modello che magari non sia in grado di assicurare la felicità a tutti, ma che perlomeno la dia a chi si impegna per averla e che non esasperi le differenze tra gli uomini al di là di un ragionevole criterio naturale.  Altri cominciano a dire che anche lo stesso concetto di globalizzazione non va cancellato, ma va rivisto e che non può essere pilotato solo da chi è più forte o da strutture parallele alla geografia fisica e politica del mondo.

 

Per la verità alcuni economisti stanno cominciando a pensare in maniera folle proponendo di scavalcare le banche ordinarie e di ordinare alle banche centrali di distribuire direttamente soldi ai cittadini, cosa che consentirebbe a costoro di spendere, di incrementare l’inflazione e di rimettere in sostanza in moto l’economia. Una specie di quantitative easing diretto, per il popolo. Una rivisitazione di una idea dell’economista Milton Friedman alla fine degli anni 60, che proponeva di lanciare danaro ai cittadini da un elicottero come la soluzione per far funzionare il paese e per la felicità di tutti. L’idea è certamente folle, ma vale la pena ragionarci attorno per pensare ad un futuro diverso.

La crisi del Brasile, che simboleggia la crisi di tutta l’America Latina e che è la più grave che attanaglia questo grande paese da cento anni, dimostra che impostare il futuro sulla globalizzazione dell’economia rappresenta un grande sistema di fragilità e una soluzione nelle mani di gruppi esterni al paese che possono decidere, se di loro interesse o per necessità, qualsiasi cambio di direzione in qualsiasi momento. La caduta delle materie prime, del prezzo del petrolio, la crisi di un paese come la Cina che ha dovuto interrompere o quantomeno rallentare i processi di intercambio commerciale stanno mettendo in ginocchio il Brasile. In altri termini, senza un personale modello, magari compatibile, basato sulla economia coerente e possibile del paese e magari molto diversificato e sul rispetto di un progetto sociale anche solidale, la fragilità è dietro l’angolo. È finito o sta finendo il tempo che bastava mutuare un modello di successo e supportato da alcuni geni mondiali dell’economia, magari anche mischiato con tutta la tecnologia possibile. Ci vuole un modello pensato ad hoc, basato sulle caratteristiche specifiche di un paese e sulla caratteristica umana e culturale dello stesso, ci vuole, in poche parole e detto volgarmente, un business plan del paese che tenga conto del contorno internazionale e delle sue regole, ma soprattutto dei propri traguardi possibili e voluti e della sua storia che non si può cancellare per essere uguali ad altri.

A proposito del Brasile pensare al suo ex Presidente Lula, icona del Partito dei Lavoratori, l’uomo leader della sinistra del paese, ora nominato Ministro dalla Presidente Dilma Rousseff probabilmente (si fa per dire) per dargli l’immunità e non farlo andare in galera, che viene scoperto con depositi in banca (cassette di sicurezza) pieni di monete d’oro, statue, gioielli preziosi e altri valori materiali, dà una gran pena e una grande sfiducia nell’umanità. Ricorda purtroppo i tempi di un famoso scandalo sanitario nel nostro paese quando un grande burocrate sanitario venne arrestato per corruzione e gli furono trovate monete e accendini d’oro nei cuscini del suo salotto.

I problemi sono gli stessi per l’Unione Europea, anzi sono più gravi perché questa Unione non ha personalità, non è uno Stato, non ha una politica e una strategia comune per tutti i paesi soci, ma è basata solo su interessi economici e patti commerciali. Naturalmente quando questi interessi economici entrano in crisi per situazioni generali dell’economia internazionale o per il tentativo da parte di qualcuno più forte di prevaricare, tutto va a carte quarantotto. Esattamente quello che sta succedendo e i cocci volano da tutte le parti. Questi cocci provocano nei vari paesi soci reazioni contrarie violente e che incidono pesantemente anche sugli equilibri interni di tutti i paesi così compromessi per i malfunzionamenti dell’Unione Europea. Cosa si può e si deve fare dopo aver verificato che la strada della Unione è una idea che non va cancellata e che è un percorso difficile ma obbligato per il futuro di tutto il Continente? Si può dare una politica, si possono rivedere le regole di funzionamento e di competenza, si possono stabilire le modalità di collaborazione o di penalizzazione reciproca. Ma per fare questo ci vuole la volontà di tutti, la volontà che comprende anche la rinuncia di qualche fetta di autonomia, ci vogliono, soprattutto, protagonisti diversi che abbiano certamente competenze economiche, ma che principalmente siano capaci di disegnare un progetto sociale e politico che va bene per tutti. E che abbiano la forza e la volontà politica e umana di portarlo avanti.

In Spagna, dopo il fallito tentativo del socialista Pedro Sanchez di formare un governo insieme a Ciudadanos e Podemos oppure insieme a Ciudadanos e Partito Popolare, si dovrebbe andare a votare ma non è ancora stata stabilita la data delle elezioni e si continua a trattare. Tutti si parlano, ciascuno pone veti come se potesse imporre condizioni, si formulano ipotesi, mentre si accentua la lotta politica nel paese. Bisogna anche dire che stanno scoppiando alcune situazioni interne (pesantissime) a Podemos e nello stesso Partito Popolare, dove in questo caso da molte parti è avanzata la richiesta a Mariano Rajoy di fare un passo indietro nell’interesse del Partito e del paese. Intanto il Re non lascia il paese in queste condizioni (salvo il viaggio in Portorico per il Congresso della lingua spagnola nel nome di Cervantes), sta a guardare, parla con questo e con quello, cerca di indirizzare, fa il suo mestiere. La Spagna deve trovare presto una soluzione, non può per molto rimanere sospesa come ora.

Se la situazione spagnola dovesse permanere si potrebbe arrivare anche ad uno scontro istituzionale tra il Congresso (Parlamento) e l’attuale governo di Mariano Rajoy che è sfiduciato e che se vuole continuare a governare come fa nella sostanza facendo finta di niente, deve sottomettersi al voto del Parlamento o altrimenti lanciare la spugna e consentire altri governi o le elezioni. Lo scontro è molto vicino a giudicare dalle parole scambiate tra uomini del Presidente e uomini del Congresso con la popolazione sempre più allibita.

In Venezuela alle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento hanno vinto le opposizioni per cui adesso Nicolas Maduro ha difficoltà a governare ed a far passare tutte le sue leggi. E allora che fa questo grande campione di democrazia socialista, erede di Chavez? Toglie poteri al Parlamento e si avvia sempre di più verso la dittatura anche sul piano formale. Elementare Watson!

Il giorno dopo le elezioni amministrative parziali tedesche si è smorzata l’emozione. Certamente c’è una sconfitta dei partiti tradizionali, CDU di Angela Merkel compresa, e una avanzata dei populisti di Alternativa per la Germania. Come dovunque del resto, come in Francia, in Italia, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e si può dire in tutto il mondo. Ma paradossalmente il ruolo, la figura di Angela Merkel ne esce rafforzata e le prossime elezioni politiche quasi sicuramente lo dimostreranno, perché rappresenta agli occhi del paese, pur con le sue incertezze e le sue visioni, lo statista, il rappresentante di tutti, capace di mediare appunto tra il populismo e gli estremismi di destra e di sinistra che purtroppo avanzano e che non sono solo nelle strade, ma anche nelle banche e nelle istituzioni. Il paese, in altri termini, anche grazie a questa tornata elettorale ha preso atto che senza la Merkel c’è il caos, il rischio.

Le elezioni tedesche saranno utili soprattutto per far capire a certa burocrazia europea e a certo management politico che la ricreazione è finita e che il mantenimento del potere attaccandosi al conservatorismo e al network che lo ha gestito sino ad ora nel continente non è più possibile senza cambiare, senza una visione diversa del futuro. Tutto fa brodo come diceva un non dimenticato ed efficace slogan.

Allora la Borsa di Londra e di Francoforte hanno raggiunto un accordo per fondersi. È cosa fatta sembra. Da notare che la maggioranza (il 54%) sarà nelle mani della Borsa di Francoforte (rilievo di non poco conto). Gli inglesi hanno perso la Borsa a favore dei tedeschi, il Financial Time l’hanno comprato i giapponesi, gli rimane da vendere la London School e poi la famosa piazza finanziaria di Londra sarà poco inglese (a questo punto lo è già).

La politica estera della Francia è quasi incomprensibile. Perché ha deciso di fare il portatore d’acqua della Germania non è assolutamente chiaro, soprattutto non si sa quali vantaggi formali o sostanziali dà questa politica al paese. Da Mitterand in poi la Francia ha scelto questo ruolo di gregario della Germania e tutti i Presidenti lo hanno continuato con costanza. Forse la speranza di giocare un ruolo a rimorchio, di maggiore influenza rispetto a tutti gli altri paesi, per il solo fatto di essere il paese più vicino a quello guida e leader. La politica estera del nostro paese dovrebbe tenerne conto e smettere di considerare gli interessi comuni con la Francia perché ce ne sono sempre meno almeno sul piano politico.

Le primarie americane ormai non hanno più niente da dire, possono solo confermare la cavalcata vittoriosa dei due accreditati dai sondaggi sin dall’inizio e cioè Hillary Clinton e Donald Trump. Se non scende in campo a breve qualche altro indipendente (Bloomberg like visto che il magnate dell’editoria digitale ha rinunciato) la lotta per la Presidenza a Novembre sarà tra questi due (a meno che il Partito Repubblicano non si spacca, cosa anche probabile).

La Corea del Nord continua ad annunciare esperimenti nucleari e continua a dichiararsi pronta ad attaccare chiunque e dovunque, dagli Stati Uniti al Giappone. L’unica politica nei confronti di questo leader e del suo entourage è quello di sorvegliarlo attentamente e di lasciarlo parlare, magari concordando silenziosamente con qualche suo vicino e alleato come la Cina quale intervento fare in caso di emergenza.

Il ritiro della Russia dalla Siria dichiarando che la sua missione è finita è un colpo diplomatico del Presidente Putin (sempre più accreditato come il leader più capace). Dimostra di essere sempre lui e il suo paese a dettare i tempi della crisi e di essere comunque l’arbitro della situazione. Consente, inoltre, di rivedere certe politiche con tanti paesi (quelli arabi ad esempio) che si erano di conseguenza deteriorate. La differenza tra Obama e Putin è proprio dovuta al fatto che Putin pensa per prima cosa che conviene per la Russia e poi magari al resto, mentre Obama spesso pensa cosa è meglio per la situazione e non sempre con priorità agli Stati Uniti (questa è anche un’accusa forte che gli fa anche quel marpione di Donald Trump).

L’Europa attende Brexit, per meglio dire il referendum del prossimo 23 giugno in Inghilterra. Tutti i paesi, le banche, l’Unione preparano piani alternativi per far fronte a qualsiasi sia la soluzione finale. In altri termini l’Europa sta vivendo come in sospensione questo momento, fatto di pazienza e di lavoro sottobanco per essere pronti a tutto. Una esperienza per tutti, mentre cresce il fronte delle personalità che si schierano per il sì (cioè per Brexit).

In Svizzera, la Swisscom, il principale operatore telefonico ed ex monopolista e proprietario di Fastweb, ha deciso che la sua strategia è fondamentalmente rivolta verso l’internet delle cose. Una differenza con altri operatori che puntano sulla tv, sulla pubblicità e sull’entertainment. Per Swisscom significa investimenti, la creazione di una rete ad hoc (low power network), la collocazione di Sim in tutti i prodotti per tutti i servizi. La sensazione è che questa strategia sia meno remunerativa e appariscente a breve e più lungimirante e sicura per il futuro.

Le due Polizie, quella egiziana e quella italiana supportate dalle due magistrature, sembra che alla fine si sono messe a collaborare per scoprire la verità sulla morte del ricercatore italiano (Giulio Regeni). Ricercatore che era anche analista sindacale, giornalista e collaboratore di centro studi inglesi forse un po’ spericolati. In ogni caso è accertato che il Regeni era ospite dell’Egitto da molti anni e non un occasionale visitatore.  La notizia di questa collaborazione nelle indagini è molto positiva e speriamo si arrivi ad un vero chiarimento anche per una chiarificazione dei rapporti tra i due paesi. Sono possibili sorprese tuttavia.

Le scene che i partiti, quasi tutti anche se non con la stessa intensità, stanno facendo nel nostro paese per scegliere i candidati che dovranno competere tra di loro alle prossime amministrative in importanti Comuni  sono assolutamente ridicole e rappresentano uno spettacolo che individua senza dubbio la pochezza intellettuale e morale di questa casta nazionale. La cosa più penosa è che mentre annaspano per trovare una soluzione decente, presentabile davanti a tutti i cittadini, continuano ad insultarsi tra di loro accusandosi a vicenda chissà di quali malefatte e brogli (evidentemente anche di quelli che non solo hanno fatto, ma che hanno intenzione di fare). E poi hanno pure il coraggio di avere paura dell’assenteismo dei cittadini e si arrovellano per capire cosa devono fare per moderarlo e riprendere la fiducia della comunità. Un mondo di cornuti, direbbe Sciascia, con qualcuno più furbo capace di ballare sulle corna degli altri.

Chissà per quale motivo la scelta dei candidati per partecipare alle elezioni, quale che sia il metodo che i partiti utilizzino (primarie, indagini computerizzate, nomine delle segreterie), a Napoli e Roma è più difficile, complicata che da altre parti, tanto che sempre ci sono strascichi e polemiche a non finire. Forse che c’è un concentrato di persone di alto livello e tutto è più difficile per questo? Mah!

La storia della candidata del movimento 5 stelle e che da anni è portavoce dello stesso movimento e che era stata eletta (Casaleggio dixit) dalla rete per competere nella gara per fare il Sindaco di Milano e che ha deciso di rinunciare, è molto, ma molto bizzarra. Al punto che viene proprio la voglia di solidarizzare con lei a prescindere e di partecipare ad una protesta contro le volgarità morali e antidemocratiche che si trovano dietro molti angoli.

Osservare come Berlusconi si sta muovendo per le candidature del suo partito (nel senso che è proprio suo) nei vari Comuni, viene anche un po’ di tristezza. L’uomo è sicuramente in grande declino e stringe un po’ il cuore persino vedere un vecchio combattente, un uomo abituato a dialogare con ben altri protagonisti della politica italiana e internazionale, scendere a becchettarsi in un simile pollaio di periferia. Non si riesce a capire perché non si aggrappa alla dignità e lasci perdere la banda tipo Brancaleone che lo segue tra un battito di tamburo e una piroetta.

Perché i vigili urbani nel nostro paese e soprattutto nelle più importanti città rappresentano un grande potere? Un potere che se ne frega del Sindaco, degli Assessori, delle elezioni, dei cittadini, dei regolamenti e di altro. Questi fanno quello che vogliono, decidono di andare in strada a svolgere le loro funzioni istituzionali o decidono di non andarci, programmano le ferie come vogliono e in relazione alle loro esigenze a prescindere da quelle dei cittadini, si stabiliscono i turni di lavoro e magari si definiscono i premi di produttività, decidono come si devono organizzare e perché. I sindaci intelligenti politicamente, come Pisapia a Milano per esempio, lo sanno e per non fare brutte figure decidono di non tentare nemmeno il braccio di ferro e lasciano loro fare qualsiasi cosa. E così da quasi tutte le parti.  Gli stessi sindacati in pratica ubbidiscono ai loro diktat anche quando capiscono che si tratta di battaglie perse sul piano della civiltà e della giustizia e che si vincono solo sul piano del potere. Una brutta storia di questo paese, una categoria una volta di professionisti stimati e fondamentali per il governo delle città e oggi una banda di profittatori dello squallore e dello sfascio sociale.

Quando si parla della Sicilia molti pensano che la mafia non poteva nascere e svilupparsi in altro luogo e che ancora in quel luogo mantiene centri di potere vero e assoluto. Certamente si è installata ovunque, ha rappresentato un esempio di organizzazione copiato sia a livello nazionale che internazionale, ha in parte decentrato molti poteri operativi. Perché la relazione tra mafia e Sicilia? Si dice per fatti culturali, per la stessa storia della Sicilia, invasa e occupata più volte e che ha creato nel DNA di quelle popolazioni anticorpi e diffidenza contro i poteri precostituiti, per l’abitudine ad ubbidire, ad arrangiarsi, a sopravvivere nelle pieghe dei potenti e della nobiltà che sino a non molto tempo fa deteneva poteri e ricchezze per motivi di casta. Anche la forte influenza della religione cattolica denota il senso di sottomissione e di sfiducia terrena della gente. Va bene tutto questo, l’analisi purtroppo corrisponde alla storia e alla situazione sociale ed economica e morale dell’isola.

Da un po’ si fanno analisi sulla situazione romana, sulla diffusa corruzione che è grande ma anche minuta, riscontrabile nei comportamenti della popolazione in ogni giorno, in ogni occasione, per ogni cosa. Si attribuisce alla cattiva politica la responsabilità di questa situazione.  Ma non si fa l’analisi sociale della popolazione dalla caduta dell’Impero Romano in poi, del ruolo avuto durante il martirio cristiano che veniva osservato comodamente dagli spalti o di cui si parlava nelle piazze come oggi si parla del campionato di calcio, del lungo periodo di acculturamento papalino operato in tanti secoli e che ha creato un certo tipo di DNA. Un DNA con una morale speciale dove tutto è permesso dal furto all’adulterio, dove questi reati non sono reati ma rappresentano furbizie, manifestazioni di abilità, di intelligenza, di capacità. Tanto poi, come dicono i preti, c’è la confessione e poi se si conosce un prete amico (e chi non ne conosce uno a Roma?) anche la penitenza può essere relativa. Il problema di Roma, come quello della Sicilia anche se per motivi diversi e in modo diverso, è un grande, grandissimo problema culturale. Non basta avere sindaci e assessori onesti, l’intervento dovrebbe essere di natura, consistenza e durata diversa.

Non si parla più della eliminazione delle auto blu, un problema non di grande significato economico per il paese, ma di grande importanza formale e morale. Un distintivo di come si interpreta il lavoro nelle istituzioni a tutti i livelli, una prevaricazione sfacciata nei confronti della popolazione. Non sarebbe male ogni tanto informarne i cittadini, così come non sarebbe male dare notizie su tutte le altre decisioni, come il tetto degli stipendi, la revisione del sistema degli incentivi per tutti e soprattutto per i dirigenti, che quando vengono prese sono molto strombazzate e poi stranamente cadono nel dimenticatoio. Si capisce che la burocrazia tende ad imboscare, ma è compito della buona politica impedire queste brutte forme di omertà.

I giornali che hanno perso più lettori, tra cartaceo e digitale, tra gennaio 2015 e gennaio 2016? Primo di questa non invidiabile classifica il Tempo (-45%) e secondo Il Fatto Quotidiano (-39,6%). Vuol dire qualcosa od è puramente casuale?

Le prediche di Papa Francesco sono sempre più seguite dai media e un po’ meno dalla folla.  Per la verità cominciano ad essere anche un po’ ripetitive. Molti pensano che è giunta l’ora di fare le riforme che dice o che lascia capire che bisognerebbe fare. Ma forse si comincia a capire la vera natura del gesuita: conservare il più possibile mentre parla gridando della necessità di cambiare.

Quest’anno ricorre il settantacinquesimo anniversario in cui è stato scritto il Concerto di Aranjuez da Joaquin Rodrigo a Parigi. Alla fine della guerra civile spagnola e alla vigilia della seconda guerra mondiale in una atmosfera del periodo molto particolare. Un pezzo per chitarra e orchestra in cui la voce della chitarra solista si sente sempre anche nei momenti di maggiore esplosione dell’orchestra. Un pezzo bellissimo, una musica straordinaria e giustamente famosa. Un simbolo della Spagna, una interpretazione di sentimenti, un senso di grande ottimismo.                       

 

Inserito il:17/03/2016 10:23:56
Ultimo aggiornamento:01/04/2016 12:21:41
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