Aggiornato al 05/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Belvedere - Numero 96

Jenny Aitkin (Contemporanea – Scotland) – Old little viewpoint

 

In una recente intervista Nigel Farage che è il capo del partito Ukip in Gran Bretagna (una specie di Movimento 5 stelle locale) ha dichiarato che non esiste più la destra o la sinistra, ma che esistono quelli che sono per il sistema, magari proponendosi di farlo funzionare meglio (senza riuscirci dice lui), e quelli che sono antisistema e cioè quelli che si propongono di rovesciare le regole politiche e sociali attuali e che in qualche modo sono figlie della seconda grande guerra mondiale. In effetti, se si guarda quello che sta avvenendo nel mondo, a partire dal Continente europeo e al suo interno della stessa Unione Europea, Farage ha ragione e, in un modo più o meno aperto, il suo pensiero è quello di Marine Le Pen in Francia o di Frauke Petris in Germania e non è lontano da quello di Donald Trump che si sta affermando in America.

Ma è lo stesso di certi movimenti spagnoli e, in casa nostra, di quello che pensano Casaleggio e Salvini per esempio (e forse non solo). Naturalmente o per pudore, o per evitare la fatica di spiegare o per qualsiasi altro motivo si continua a parlare di destra e di sinistra, chi fa parte di quest’ultima sostenendo che la differenza sta nella correttezza e nella attenzione alle esigenze delle classi meno favorite, più deboli rispetto alla destra che propugna un sistema dove chi è più forte e fortunato vince e gli altri soccombono. Ma intanto la sinistra in tutto il mondo ha perso la connotazione della correttezza e della onestà essendo travolta da grandi scandali di corruzione e per comportamenti disonesti di molti suoi leader anche storici. In secondo luogo in certe parti del mondo ormai la sinistra è rappresentata da vecchi personaggi ancorati a teorie, metodologie e pensieri del passato che fanno diga contro il futuro che cercano di allontanare in tutti i modi perché non sanno come interpretarlo e trattarlo.

È vero che a macchia di leopardo stanno nascendo movimenti figli della vecchia sinistra ma che stanno rielaborando obiettivi e strumenti per raggiungerli, ridefinendo priorità sociali e metodi per costruire le comunità del futuro. Di questi gruppi che hanno paura quelli che sono antisistema perché non sanno cosa contrapporre a parte la distruzione del passato. La verità è che si stanno rimescolando le carte e ristabilendo le regole del gioco ed è faticoso per molti che sono ancorati a privilegi fisici e morali cui non sanno e non possono rinunciare. Comunque, a parte i partiti che ci sono e ci saranno, la grande divisione proposta da Farage è quella giusta, nel senso che o si è per il sistema o si è per rovesciarlo a prescindere.

In questo contesto così mobile, incerto, indefinito, drammatico sotto tanti punti di vista, i popoli hanno difficoltà a capire le nuove regole, a capire chi devono sostenere, chi può effettivamente rappresentare il nuovo senza distruggere e cancellare il passato, ma rinnovandolo, modificandolo, adattandolo all’uomo di oggi, ai suoi sentimenti e alle sue emozioni che sono diverse, in poche parole al suo modo di vivere di oggi. Ed allora viene spontanea la domanda: la democrazia come oggi funziona può essere il ponte che ci porta nel futuro? Non è per caso che la democrazia non funziona più perché è incompatibile con i tempi e con i suoi ritmi e con le sue tecnologie e che avrebbe bisogno di radicali cambiamenti? Forse un dibattito internazionale prendendo spunto da quello che avviene nei vari paesi del mondo, delle voci dei nuovi protagonisti, delle frustrazioni ed anche delle situazioni sociali sempre più insostenibili, non sarebbe intempestivo o inappropriato, anzi il mondo in un certo senso sta aspettando nuovi modelli di riferimento, nuovi modi di fare comunità, nuovi sistemi per abbattere o quantomeno moderare le diseguaglianze che rischiano di distruggere il mondo.

Non promuovere questo dibattito, non aprirsi a qualche cosa che bisogna inventare, può voler dire lasciare lo spazio, far emergere sentimenti anti e basta, significa favorire gruppi che vogliono distruggere, far correre le nostre società verso un baratro culturale e che inevitabilmente diventa politico, sociale ed economico. Ed ancora può favorire lo sviluppo di società chiuse, xenofobe, violente, senza una etica comune e che si potrebbe nascondere dietro forme religiose fanatiche e assolutiste che già tanta rovina hanno fatto nella storia della umanità.

Ogni tanto ci sono partiti, movimenti, amici e conoscenti, giornalisti ed osservatori più o meno intelligenti che dicono cose sul nostro paese che non stanno né in cielo né in terra e non si riesce a capire perché lo fanno, cioè se per stupidità o per partito preso.

Il nostro paese ha un debito enorme, è dilaniato da una situazione legislativa incredibilmente abnorme per quantità e qualità di leggi che si intersecano (e che sono la dimostrazione di come negli ultimi decenni il Parlamento ha lavorato male, molto male), ha perso (se mai li ha avuti) alcuni valori etici e di interesse verso una società solidale (principalmente ha perso il rispetto) ed è prigioniero di sistemi di corruzione diffusi a tutti i livelli, la scuola pubblica (e privata) ha solo l’interesse a produrre diplomi  a prescindere dal merito e ha perso ogni forma di selettività considerata antidemocratica e antipopolare.  Inoltre, non c’è una classe dirigente degna di questo nome sicuramente nella pubblica amministrazione ma anche, molto spesso, nella industria privata che arranca per mancanza di professionalità e non solo di denaro come alcuni tendono a dire (giustificando cattivi risultati di impresa), il paese è costruito sulle corporazioni che sono chiuse egoisticamente in se stesse e che si combattono tra di loro e che combattono i poteri istituzionali che non riconoscono nella sostanza, alcune professioni chiamate liberali non sono libere perché regolate da albi, esami, autorizzazioni, permessi e quote associative, il sistema della giustizia è male articolato, poco professionale, attraversato  da desideri di potere e di prevaricazione nei confronti degli altri poteri democratici, autoregolamentato e con una indipendenza che va oltre il rispetto dell’equilibrio sociale.

E, per finire, un sistema economico basato su una apparente libertà di impresa e in realtà soggetto ad un sistema bancario condizionato e sottoposto al potere politico e ad un potere burocratico che è l’unico che può aprire o chiudere porte e possibilità per operare, un sistema sindacale che non protegge e promuove il lavoro ma solo gli occupati e piano piano è diventato il sindacato dei pensionati, un sistema fiscale basato non su diritti e doveri ma su sovvenzioni, concessioni, elargizioni, esoneri e favoritismi erede della concezione dello Stato Pontificio dal punto di vista culturale e costituzionale. In questo contesto ogni potere tende a continuare se stesso e rifiuta travasi, integrazioni e innovazioni, ciò che mette il paese in mano ai vecchi e lo rende diffidente del potere giovanile, chiuso verso l’inserimento delle donne in qualsiasi management a partire da quello politico, non disponibile per paura verso cambiamenti (e se proprio questi bisogna farli, è necessario tenere presente che nulla deve mutare come giustamente diceva don Fabrizio Salina).

Dunque questi che vogliono parlare del nostro paese come mai non fanno una analisi del perché siamo in questo stato, come ci siamo arrivati, di chi è la colpa, non indicano i nomi e cognomi dei principali caporioni responsabili di questa distruzione. Come si fa a giudicare l’oggi se non si capisce o non si vuole capire perché questo oggi è così. Come si fa a disegnare un futuro e a giudicare chi fa cose verso il futuro se non si capisce che si devono tagliare i legami con il passato, quei legami culturali, tradizionali e personali che sono responsabili, diretti o indiretti, più o meno, del baratro nel quale ci troviamo. In altri termini, spesso si assiste a discussioni sul futuro basate sul vuoto come se ci trovassimo nel 1861 con la proclamazione del Regno d’Italia appena fatta e con l’entusiasmo (dimostratosi poi ingiustificato) che immaginava un radioso avvenire.

Interessante idea va circolando in Svizzera e cioè la creazione di un Fondo di investimenti in capitale di rischio per il futuro che solleciti e spinga le due mila casse pensioni esistenti nel paese ad investire almeno l’1% del loro patrimonio nelle start up. Un modo per spingere la ricerca, sviluppare occupazione, creare interesse nel mondo accademico e in quello imprenditoriale. Il ponte verso il futuro è fatto di idee, c’è poco da discutere.

La Cina si trova a ridimensionare le proprie capacità produttive e di conseguenza a dover licenziare qualche centinaio di migliaia di operai. Non può farlo senza reti di protezione e senza una certa gradualità. Il suo regime sociale non avrebbe più senso se dovesse farlo brutalmente, infatti. Sta dunque per iniziare per il grande paese un momento particolarmente difficile (a parte tutti gli altri problemi sul tappeto).

L’azione di Salvini di concerto con la Meloni (che comunque rimane una comparsa in cerca di palcoscenico) per contrastare il candidato di Berlusconi alle elezioni per il Sindaco di Roma è chiaramente stata fatta per scippare la leadership del centro destra a Berlusconi, ormai in grande difficoltà perché abbandonato dai suoi collaboratori più giovani e impegnati e circondato, come si diceva una volta, da nani e ballerine.  In vista naturalmente delle prossime elezioni politiche e del futuro si capisce. Certo non manca il cinismo a Salvini e alla sua compagna di viaggio per decidere di infierire così sull’ex cavaliere che in qualche modo negli ultimi venti anni ha dato lustro, potere e ruolo ai loro movimenti, che senza di lui probabilmente oggi non ci sarebbero o sarebbero dei lumicini sparsi in qualche punto della campagna padana o dell’agro romano. Ma questa è la politica bellezza, come direbbe Petrolini!

Ma Salvini e la sua scudiera Meloni, viene da chiedersi, hanno una idea di come si deve amministrare un ente pubblico, di cosa è uno Stato, hanno mai letto la Costituzione e pensano che si deve rispettare o pensano che è solo un documento scritto da facinorosi meridionalisti, sanno che un bilancio dello Stato va curato e non è un programma di governo, che non si possono licenziare di colpo tutti i dipendenti pubblici per motivi giuridici (siamo fino a prova contraria uno Stato di diritto) e per una certa pace sociale, capiscono cosa significa far parte di un sistema internazionale che rappresenta un circuito finanziario essenziale, il canale per avere le materie prime che non abbiamo, il modo per rimanere agganciati alle evoluzioni non solo tecnologiche, ma anche e soprattutto culturali e sociali?

E si potrebbe continuare. Insomma sanno che non basta cacciare gli immigrati, licenziare gli statali, dare i soldi alle stalle della Padania, togliere le tasse alle piccole e medie imprese, andare in giro vestiti come se si dovesse partecipare al Grande Fratello per far funzionare uno Stato?  Speriamo di sì viene da dire, perché gli italiani sono famosi per avere sostenuto personaggi che li hanno ridicolizzati e ridotti in miseria e potrebbero anche continuare perché amano molto questo loro masochismo sociale forse dovuto al contrasto che non riescono a risolvere tra le ambizioni che amano manifestare ed esibire e la cultura e le capacità che non hanno per raggiungerle.

Al referendum sulle trivelle bisogna partecipare per motivi ideologici o per logorare il segretario del PD e Presidente del Governo? Sembra una domanda stupida, ma molti se la stanno facendo.

Pare sia pronto un piano importante relativo ad una radicale ristrutturazione del sistema organizzativo del Partito Democratico. Vedremo se è vero e se il nuovo che risulterà sarà più efficace. Tuttavia che bisogna farlo, che bisogna sburocratizzare, che è necessario lasciare spazio ad un modo diverso di fare politica sul territorio, di tagliare strutture e organi che discutono e costano e si oppongono spesso per motivi di corrente o di cosca, è assolutamente necessario. Forse tutti i partiti e movimenti richiederebbero una revisione organizzativa.

Il Politecnico di Torino ha deciso di inasprire le regole per gli studenti fuori corso espellendoli se nel biennio non riusciranno a superare gli esami previsti del primo semestre. In tutti gli Atenei italiani si sta facendo una politica che piano piano toglie la Università dal parcheggio sociale, favorisce il merito ed evita il permanere in una attività di studio ragazzi assolutamente non predisposti per quel tipo di impegno. Questa politica dovrebbe o potrebbe alleggerire gli Atenei, ridare loro un equilibrio economico, investire di più sui talenti impegnati e sul futuro dei giovani che ne hanno capacità e voglia nel loro interesse e in quello del paese. Prima o dopo doveva cominciare ed è assolutamente inevitabile, perché un brutto titolo di studio non serve nel mondo del lavoro del futuro e non è una alternativa, né formale e né sostanziale, alle scelte che invece la vita consente.

Marco Patuano lascia l’amministrazione delegata di Telecom Italia perché il nuovo Consiglio di Amministrazione, in pratica i nuovi padroni, vogliono discontinuità. Forse è giusto visti i risultati del gruppo in questi anni, è la motivazione che è banale e volgare. Come è banale e volgare il conservare nel ruolo il Presidente Recchi come se con il passato dell’azienda lui non c’entrasse, solo perché sembra sia protetto da banche e finanza internazionale. E poi se guardiamo ai possibili candidati alla successione, i nomi che stanno circolando cioè, viene proprio la pelle d’oca e si capisce che la motivazione della operazione non la stanno spiegando. Se sarà uno di loro per davvero, infatti, la Telecom Italia non andrà da nessuna parte. A meno che non sia un uomo di paglia, un uomo che deve solo fare il segretario del vero amministratore delegato dal cui ufficio si vede la Torre Eiffel.

Siamo nell’ottantesimo anno della morte di Carlos Gardel (avvenuta a Medellin in Colombia nel 1935), probabilmente il più grande interprete del tango argentino. Il tango argentino (un pensiero triste che si balla) è anche uruguayano della zona del Rio de la Plata ed è probabilmente l’espressione più rappresentativa del sentimento di tutta l’America Latina. Di Gardel come non ricordare, ad esempio, Caminito, la Cumparsita, Adios Muchachos e Volver tra le più diffuse (bellissima, appassionata, romantica). In anni più vicini il grande interprete del tango è stato Astor Piazzolla, ma Carlos Gardel è l’immagine del tango (viene da tangere e significa tocco) con la sua personalità e la sua straordinaria voce calda (l’alternativa di quel continente a Rodolfo Valentino).

La felicità consiste nel trovare in se stessi la convinzione che consente di rendere coerente quello che si ha con quello che si desidera.

Inserito il:20/03/2016 17:48:53
Ultimo aggiornamento:06/04/2016 10:17:10
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