Aggiornato al 05/05/2024

Non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo

Voltaire

Belvedere - Numero 97

Romano Botti – (Contemporaneo – Udine) - Veduta aerea della città di Cuba, particolare

 

 

Raul Castro dice che i diritti umani sono 61 e che Cuba ne rispetta 47 e dice anche che nessun paese al mondo rispetta tutti i 61 diritti. Dunque nessuno è in grado di scagliare pietre o di dare lezioni in merito.  Forse bisognerebbe dire al Presidente cubano quello che Enrico Cuccia diceva a proposito delle azioni di una società e cioè che non si contano, ma si pesano.

Il grande problema ideologico di Cuba è comunque decidere di non rimanere agganciata al concetto del pensiero unico. Se si supera questo e non è facile dopo tanto tempo e tanto sforzo, tutto il resto viene da sé, magari lentamente ma arriva.

Non temere quelli che la pensano diversamente non vale solo per Cuba, ma per come sta andando il mondo, vale per molti paesi, molti personaggi e molti movimenti. E’ la dimostrazione di assenza di laicità, ma forse anche l’assenza di cultura e la presenza di una intelligenza precaria o la voglia di dominare sopra tutto e tutti. La verità è che si incontra sempre più gente che pensa di essere depositaria di verità (se cree la muerte, direbbero in Messico).

La pace tra il Governo Colombiano e la guerriglia della Farc che da oltre 50 anni devasta quel paese, è stata fatta e le parti si sono riunite alla presenza anche del Segretario di Stato americano John Kerry. La dimostrazione di una politica estera di Obama un po’ diversa dal passato e attenta ad alcuni valori di base. Certamente si tratta di una maniera di fare politica che non paga subito e questo aumenta il merito di Obama (che ha sbagliato tanto nella sua visione del mondo, ma ha lavorato per la pace, e ha avuto anche il Nobel forse non interamente meritato, come dimostrano queste cose).

A proposito di politica estera e di alleanza occidentale fa rumore la dichiarazione di Donald Trump che dice che se diventa Presidente intende rimanere nella Nato, ma che non intende pagare quello che oggi gli Stati Uniti spendono. Una dichiarazione sballata per come l’ha detta il candidato, ma che potrebbe anche innescare un processo positivo se si avvia una discussione in merito.

Donald Trump, che peraltro continua a vincere ed è sempre più vicino alla nomination, dice anche che potrebbe chiudere le frontiere e prendere altre decisioni drastiche. Ma queste campagne elettorali sono ormai in tutto il mondo una sagra di stupidate, l’occasione per dire cose strampalate, una cosa avvilente e volgare. In tutto il mondo e non solo in America.

Le voci che in Birmania Aung San Suu Kyi (Nobel per la pace) diventi Ministro degli Esteri si fanno più intense. Non è diventata Presidente perché suo marito non è birmano, ma può far parte del governo. Sarebbe una operazione importante per il paese anche sul piano simbolico. L’azione politica di questa donna ha cancellato il regime militare che ha guidato il paese con un braccio di ferro.

Petrobras, la grande compagnia petrolifera brasiliana, molto chiacchierata perché da questa azienda sono partite le tangenti per il Partito dei Lavoratori, per l’ex Presidente Lula oggi nell’occhio del ciclone e per l’attuale Presidente del paese Dilma Rousseff, che è stata anche Presidente di Petrobras, nel 2015 ha perso 9,6 miliardi di dollari. Certo il calo del prezzo del petrolio ne è la causa principale, ma forse non ha l’aria questo grande gruppo di essere gestito al meglio.

Il Brasile è un gigante senza strategia, senza un piano che possa portarlo verso il futuro (anche se può avere, come ha avuto, momenti di splendore). Il gigante dell’America Latina condiziona tutto quel continente e non solo. E non si vede chi possa al suo interno prendere le redini di questo grande paese (come partito, come persona, come cultura). Si vedono solo tante proteste di piazza, ma solo in opposizione e non a favore di qualcuno o di qualcosa.

Il terrorismo tiene la prima pagina dei giornali ormai da tempo e stabilmente o per quello che accade e quello che può accadere, o per un arresto e una retata, per una fuga o perché si scopre un piano mentre se ne prepara un altro. Si accumulano purtroppo anche i morti e la paura avanza in tutto il continente, anche se gli appelli a continuare la vita di sempre si susseguono. Certamente quello che succede invece cambierà la vita di tutti i cittadini e dei loro figli, limiterà la libertà di muoversi, richiederà più prudenza e attenzione nelle scelte di un viaggio, di una abitazione, di una scuola, di qualsiasi cosa.  Non siamo di fronte ad una prospettiva di maggiore libertà!

In ogni modo di fronte ad una minaccia così grande, così determinante è straordinario pensare come molti paesi e l’Europa non sono attrezzati adeguatamente, soprattutto nelle fondamentali funzioni di intelligence. È stranissimo vedere come i paesi della Unione Europea ancora non hanno deciso di mettere insieme esperienze e risorse per controllare e garantire la sicurezza dei cittadini. È ancora più bizzarro rendersi conto che in effetti una strategia per combattere il terrorismo non esiste, ma vengono solo espressi pensieri come fossero slogan e nulla più. Per esempio come si fa a far finire i conflitti in quella zona del mondo dove nascono e si sviluppano tutti i movimenti di rottura degli schemi della attuale civiltà, come si fa a controllare che non si vendano armi da quelle parti a chicchessia, si deve parlare con l’ISIS e con i suoi padrini oppure si devono solo mandare aerei a bombardare? Quanto tempo deve passare per controllare i quartieri ghetto che sono stati fatti crescere in tutta Europa e in tutto il mondo e le carceri? Probabilmente molti anni, molti soldi e la cancellazione delle politiche degli ultimi cinquanta anni.

Fanno a prescindere senso quei politici che cercano di sfruttare queste disgrazie a scopo elettorale e di consenso come fossero sciacalli. Diamine che mediocrità!

I fatti di Bruxelles sono terribili, possono spingere tanta gente verso il niente. Sono la dimostrazione della cattiveria della umanità, sono l’espressione della totale assenza di rispetto verso il proprio simile ed ancora l’immagine più evidente del pericolo del fanatismo religioso. E sono la dimostrazione ulteriore di come i partigiani possono vincere nei confronti di eserciti regolari anche potenti (non è la prima volta ovunque).

Il fatto che i servizi segreti della Russia di Putin avessero avvertito il Belgio di attacchi imminenti dice tante cose in merito non solo alle intelligence dei paesi della Unione Europea e soprattutto in merito alla efficienza di quella russa. E poi dice che queste cose non nascono dal niente e che se le cose si vogliono sapere si possono sapere. Certo non è semplice, non è gratis, non è cosa per tutti.

Il fatto che Vivendi cerchi di impostare in Telecom Italia una sua governance nei metodi e nei protagonisti è assolutamente normale visto che si sono comprati con denaro sonante la maggioranza di riferimento del gruppo. Allo stesso modo è normale che la strategia di questa loro impresa sia resa compatibile con quella del loro intero gruppo e soprattutto dei loro interessi. Lo Stato italiano non può opporsi perché stiamo parlando di una azienda quotata in borsa e Vivendi ha fatto i suoi acquisti nel rispetto di tutte le regole. Quello che può fare lo Stato italiano è spingere per il controllo della rete (che peraltro richiede notevoli investimenti per essere adeguata alla tecnologia e al futuro) in modo che le infrastrutture possano rimanere in qualche modo sotto il controllo nazionale. Ma non può spingere verso lo scorporo perché improponibile in termini di costi e di equilibrio aziendale. Tutti quelli che discutono di questa vicenda lanciando slogan di vario tipo non hanno idea di quello che è il diritto e il rispetto delle regole oppure sono in malafede (cioè gridano per motivi politici come siamo soliti fare tutti più o meno in questo paese).

Naturalmente Vivendi avendo deciso di investire nel mercato italiano vuole farlo e lo farà sino in fondo e questa è la dimostrazione che i suoi investimenti non sono di tipo finanziario ma industriale. In questo contesto si deve inquadrare il loro interesse verso Mediaset, che serve per integrare contenuti e strutture e mettere a fattor comune investimenti operativi, utilizzare la rete Telecom Italia e fare concorrenza a Sky.

Un tema di discussione è l’intreccio telecomunicazioni e televisione nel futuro, soprattutto in relazione alla utilizzazione delle strutture dei siti per il mobile e per la televisione che, a parte che molti sono mal posizionati, dovrebbero essere superate dalla fibra. Perché il ruolo di internet sarà probabilmente prevalente (e non solo in questa applicazione). In altri termini, le operazioni che il gruppo Mediaset (le strategie le sta sicuramente facendo Fedele Confalonieri pur sotto la guida del Cavaliere) ha in mente e sta cercando di perseguire, sono fatte per cercare di capitalizzare il più possibile cose che a breve perderanno di valore o quantomeno del valore attuale.

Ma la politica o i consiglieri vicini alla politica hanno capito tutto questo? Cosa sta facendo o pensando di fare in questo contesto la RAI per esempio? non sarebbe male un piano del paese in merito alla utilizzazione della tecnologia nelle infrastrutture. Sul famoso piano della rete a banda larga sarebbe opportuno conoscere anche le ricadute previste non solo nelle imprese e nella vita dei cittadini, ma anche quali saranno i ruoli possibili dei protagonisti del mercato e del pubblico, cioè dello Stato.

Su Telecom Italia molti stanno perdendo la memoria. Non si ricordano quando Ciampi e Prodi la svendettero alla Fiat per un tozzo di pane (ne avevano bisogno dissero perché era in ballo la trattativa per il nostro ingresso nella Unione Europea). La Fiat affidò la sua conquista al grande manager Rossignolo amato da Umberto Agnelli, che al suo solito non seppe gestire preso tra la sua altezzosità e il fatto che non conosceva minimamente il business dell’azienda (aveva forse ragione Carlo De Benedetti quando lo licenziò dalla Fiat nel suo breve periodo di potere). Allora intervenne lo statista D’Alema che da Presidente del Consiglio affidò la cosa ai famosi capitani coraggiosi coordinati da Colaninno che distrussero l’azienda comprandola con i soldi della stessa azienda in una fantastica operazione di ingegneria finanziaria. Naturalmente la cosa si è ripetuta con Tronchetti Provera, che seguendo il maestro Colaninno fece guadagnare a quest’ultimo un sacco comprandogli l’azienda sempre con i soldi della stessa e così dandogli una bella mazzata definitiva (all’azienda si capisce). I governi italiani, nel mentre, erano affaccendati in altre importantissime vicende. Le amnesie in questo paese si vanno diffondendo, chissà come mai. E ogni tanto salta fuori qualcuno che dice cosa bisogna fare e che a quei tempi evidentemente aveva altro cui pensare.

Con le liquidazioni che i vari amministratori delegati di Telecom Italia che si sono succeduti negli ultimi venti anni hanno incassato (l’ultimo Patuano con 7 milioni di euro, almeno dicono), si poteva forse costruire il ponte sullo Stretto, ammesso che abbia senso costruire quel ponte certamente inutile, almeno sicuramente non prioritario. Uno scandalo del paese, una vergogna, una ingiustizia, uno schiaffo a tutto il mondo del lavoro! Purtroppo questo non si può dire solo di Telecom Italia, ma lo si deve dire anche di altri enti e aziende di questo Stato sconocchiato e che forse non sa dove sta di casa la giustizia sociale ed anche di grandi aziende private (ancora indimenticabile la liquidazione della Fiat a Romiti dopo che questo grande manager aveva avuto modo nel tempo di esprimere tutto il suo impegno che purtroppo non era riuscito ad avere successo).

La situazione dei call center nel nostro paese adesso è davvero diventata critica. Infatti, Almaviva, che aveva rilevato questo settore aziendale dalla Telecom Italia ha annunciato il licenziamento di oltre tremila persone, di cui più della metà a Palermo. Un classico caso di superficialità delle imprese, della politica, degli osservatori e dei consulenti per non lasciarsi andare ad altri giudizi più pesanti (dei sindacati che arrivano sempre alla fine meglio non parlarne). Si sa da tempo che questo tipo di struttura operativa sia per gli aspetti gestionali che per quelli di marketing non funziona più, perlomeno non funziona più come prima. A causa di leggi sulla protezione della privacy, della irritazione degli utenti per l’abuso che si è fatto imprudentemente del mezzo, di nuove tecnologie e anche, infine, di nuove metodologie per il mercato che hanno scavalcato la semplicità della soluzione call center, che può invece continuare in casi limitati e per certe applicazioni, ma evidentemente con organici diversi per quantità (soprattutto) e qualità.

Adesso in merito ai call center inizia un iter laborioso per cercare di salvare i posti di lavoro di Almaviva, anche se già tanti se ne sono persi in iniziative piccole e diffuse. Se riusciranno sarà comunque per un breve periodo perché non si può combattere contro i mulini al vento, non si possono bloccare soluzioni imprenditoriali che ormai non servono più e che non sono produttive.

La storia della Banca Etruria ha dato e continua a dare colore alle critiche ingiustificate (nel senso che non la toccano personalmente) alla Ministra Maria Elena Boschi, perché suo padre faceva parte del consiglio di amministrazione della banca e quindi può effettivamente essere considerato colpevole quantomeno di disattenzione, se non si vogliono magari seguire tutte le ipotesi della magistratura. È evidente che l’attacco al Ministro fa parte dell’azione di logoramento in atto verso Renzi che le opposizioni, tra cui la più attiva quella interna al PD, fanno per spingerlo alle dimissioni. Detto tutto questo per amore di verità e correttezza, non c’è il minimo dubbio che il Ministro si dovrebbe dimettere per motivi di opportunità. Può continuare a dare il suo contributo alla causa in modo diverso se vuole, ma far finta di nulla significherebbe un atto di altezzosità che sarebbe opportunamente notato e sottolineato. E che non va bene per chi occupa posizioni istituzionali di rilievo come in questo caso.

Forse non è esagerato dire che i due ex manager che si contenderanno presumibilmente la carica di Sindaco di Milano (perché i 5 stelle almeno in apparenza sembrano per i milanesi fuori dal gioco) e cioè Giuseppe Sala per il centro sinistra e Stefano Parisi per il centro destra, potrebbero essere due buoni gestori, magari con un carattere difficile dicono, e nulla più. In altri termini, la loro storia e l’impostazione che stanno dando alla campagna elettorale vola basso, conferma che si tratta di due amministratori che faranno bene alla città, ma certamente nessuno dei due potrà essere, almeno così sembra, il Sindaco di una Milano ambiziosa e con una visione del futuro un po’ meno provinciale. Un Sindaco che possa giocare un ruolo nazionale e internazionale e non solo occuparsi delle buche stradali e di quanto deve essere grande l’area C o di quanti autovelox devono essere installati per racimolare soldi dalle multe ai cittadini. Prima o dopo anche in questa città di origine bottegaia, ma dinamica e coraggiosa, scopriranno che hanno bisogno di un Sindaco diverso, sicuramente lo scopriranno.

Il solco tra maggioranza e minoranza all’interno del PD è ogni giorno più profondo e si può affermare che ormai è insanabile. Se questo può portare ad una scissione in prospettiva o meno non si può dire, ma questo non succederà almeno sino al prossimo congresso del partito previsto per l’autunno del 2017 e che dovrebbe essere anticipato di sei mesi e cioè si potrebbe svolgere nella primavera del prossimo anno. Per il semplice fatto che la minoranza ritiene di poter riprendersi (come dicono loro e come fosse cosa loro) il partito e cacciare Renzi considerato un usurpatore ideologico, lo faranno candidando Enrico Letta che ha già iniziato la sua campagna elettorale, il suo percorso che può accreditare la sua candidatura e (lui spera insieme a Bersani e compagnia) la sua elezione a segretario. In effetti Enrico Letta è la faccia più pulita della minoranza, quella meno compromessa con il passato, più presentabile anche a livello internazionale, sicuramente ben accetta agli amici esterni e fiancheggiatori come il sindacato o altre iniziative collegate (per esempio le cooperative). E’ anche un protagonista politico forse non adeguato ai tempi, almeno dal punto di vista del ritmo e poi purtroppo potrebbe essere condizionato dai suoi elettori che gli chiederebbero sicuramente la restaurazione, come ai tempi delle grandi famiglie regnanti d’Europa. La situazione interna di questo grande partito è brutta e forse lo è per colpa di chi non vuole mollare il suo ruolo, più che per motivi ideali. Comunque la cosa peggiore è la conflittualità crescente, e che si prevede in aumento, che lo attanaglia e che lo blocca nella elaborazione progettuale, che sarebbe tanto importante di questi tempi. Il vantaggio per la concorrenza, soprattutto di tipo populista, è evidente. Il danno per il paese è pure evidente.

È partita la raccolta delle firme per l’abolizione del job act, proprio quello che è riuscito ad aiutare nel corso dell’anno passato una ripresa della occupazione e il cui effetto sembra continui anche quest’anno. I protagonisti principali di questa raccolta sono la sinistra del PD insieme ad altre sinistre sparse e forse da qualcuno dimenticate e la CGIL con in testa la pasionaria Camusso. Ma si prevede entro brevissimo tempo l’arrivo nella coalizione anti job act anche della destra, di tutta la destra da Salvini alla futura mamma, da casa Pound alle visioni di Brunetta, dall’ex Direttore del Corriere della Sera ad altre frange sparpagliate. Naturalmente il problema non è il job act, ma l’opposizione a Renzi, a questo Governo. Opposizione legittima perché si tratta di una armata che cerca di difendere il proprio ruolo, il proprio passato, il proprio futuro, di coprire errori, di fare ammoino per far vedere che esiste, di fare qualcosa durante queste belle giornate di primavera.

Le Università italiane sono evidentemente destinate a cambiare, a ridurre la quantità dell’offerta magari concentrandola in punti di eccellenza a favore della qualità, a riconsiderare la presenza dei fuori corso oltre certi limiti di tempo e di risultati, a rivedere la loro distribuzione sul territorio, a rivedere metodi di insegnamento, ad impiegare di più e meglio professionisti riconosciuti a livello nazionale e internazionale. Probabilmente per fare tutto questo bisognerà rivedere la loro governance, oggi, secondo alcuni attenti osservatori, nelle mani soprattutto della casta ingegneristica, medica e giuridica. In altri termini, il lavoro da fare è tanto e lungo, ma assolutamente necessario se si vuole attraversare la linea che ci mette nel futuro.

Ma le Università non sono centri di cultura anche se organizzano o possono organizzare a latere cose che aiutano ad ampliare orizzonti e a riflettere. Le università sono e devono essere centri di formazione, di preparazione, dove si imparano cose ed a maneggiare strumenti per fare mestieri, dove si ricerca. La scuola dove si forma la cultura dei giovani deve essere il Liceo. Perché al liceo si discute, si collegano fatti e persone, si analizzano eventi, si imparano metodi, si sceglie se essere laico o condizionato da qualche cosa come una ideologia, una religione, un interesse. Perché al Liceo ci sono i maestri che poi si ricordano tutta la vita. Ecco perché è importante il progetto della scuola superiore e del liceo in particolare ed ecco perché la selezione dei maestri che insegnano nei licei è fondamentale per il futuro dei giovani e cioè del paese.

Gli immigrati che anno dopo anno arrivano nel nostro paese sono in grande calo. Tanto per dare un dato ufficiale: nel 2010 erano 598 mila e l’anno scorso sono stati 245 mila. I permessi di lavoro richiesti poi sono ancora più drasticamente calati. Vuol dire che aumentano quelli che arrivano per ricongiungimento familiare o per motivi umanitari. Mentre questi sono i dati, aumentano le grida di chi sostiene (impropriamente evidentemente) che gli stranieri vengono per rubarci il lavoro. La cosa seria invece è che il nostro paese non è valutato particolarmente appetibile e questa considerazione fa riflettere.

A Basilea si sono riuniti scienziati e studiosi per parlare della intelligenza. Cosa è, cosa significa, si può misurare? Il dibattito è stato interessante anche se non è arrivato, come previsto peraltro, a nessuna conclusione. Una cosa sembra, secondo questi autorevoli protagonisti, si possa affermare e cioè che le persone intelligenti sono una larghissima minoranza e questa conclusione, forse da qualcuno già intuita, non è una bella notizia per il futuro della umanità.

La legge di Godwin è stata formulata nel 1990 e si riferisce ai navigatori del mare di internet. Dice che a misura che una discussione sulla rete si allarga, la probabilità che si menzioni Hitler e il nazismo tende a crescere.

Inserito il:24/03/2016 16:26:04
Ultimo aggiornamento:24/03/2016 22:26:22
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