100 anni di pensioni, ma senza riconoscere il merito
di Franco Del Vecchio
Il 30 dicembre 1923 il Regio Decreto N° 3184 stabilì, per la prima volta in Italia, il versamento di un contributo di pari importo, da parte dei lavoratori e dei datori di lavoro, per la creazione del sistema pensionistico a capitalizzazione che divenne obbligatorio con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale il 16 febbraio 1924, cliccare per credere.
Il sistema prevedeva anche il contributo dello Stato all’ente di gestione “Cassa nazionale per le assicurazioni sociali” diventato poi INPS, una sorta di contributo a favore del sistema pensionistico.
Purtroppo la seconda guerra mondiale fece perdere il 98% del potere d’acquisto della lira e il capitale pensionistico accumulato perse valore e non fu in grado di onorare le promesse. Per pagare le pensioni si passò dal sistema a capitalizzazione a quello a ripartizione, che utilizza i versamenti dei lavoratori che versano i contributi per pagare le pensioni di coloro che ne hanno diritto.
Oggi lo Stato non solo non contribuisce più al sistema previdenziale, come allora, ma propone di penalizzare addirittura i pensionati del ceto medio riconoscendo solo in minima parte l’inflazione. Infatti se fosse confermata la proposta del Governo nella Finanziaria 2024 e l’inflazione 2023 si chiudesse al 5,7%, coloro che ricevono una pensione 10 volte superiore al minimo (circa 3.600€ netti) otterrebbero un incremento di 1,25% sulla pensione e, dovendo pagare su tale importo il 43% di tasse IRPEF, il reale recupero dell’inflazione sarebbe solo dello 0,7% con una perdita secca in un solo anno del 5% del potere d’acquisto. Negli ultimi due anni chi ha una pensione superiore a 3.600€ netti ha perso e continuerà a perdere, fin che vive, oltre il 10% del potere d’acquisto.
Il riconoscimento del merito e la certezza del diritto sono in Italia deboli pilastri democratici indeboliti da populismi e campagne elettorali permanenti. Lo Stato non riconosce il merito di coloro che si sono impegnati nel lavoro versando tasse e cospicui contributi previdenziali. Invece di perseguire l’evasione fiscale lo Stato preferisce impoverire il ceto medio facendo cassa sulle pensioni oltre 35mila euro lordi l’anno (2.000 € netti al mese).
Una ulteriore conferma dell’Italia in fondo alla classifica della meritocrazia in Europa.
La Confederazione della Dirigenza pubblica e privata CIDA ha lanciato una petizione che invito a firmare cliccando “Salviamo il ceto medio”, oppure il link https://chng.it/TNHbgbrjPK compilando il modulo on-line e cliccando il link ricevuto con la mail di conferma. Non è necessario versare alcun contributo, perché ci ha già pensato CIDA.
Maggiori informazioni ascoltando l’intervista di 5 minuti al link https://www.federmanager.it/podcast-vita-da-manager/ cliccando poi il pulsante giallo con il triangolo bianco in corrispondenza del testo "Salviamo il ceto medio – La petizione".