La Cina e l’accordo multilaterale nel Pacifico
di Bruno Lamborghini
L’inizio del 2022 segna la nascita del più grande accordo multilaterale di scambio del mondo, con il nome di RCEP, Regional Comprehensive Economic Partnership, cui partecipano 15 paesi della grande area Asia - Pacific ed in cui entra anche la Cina, forse per la prima volta in un accordo commerciale multilaterale.
Gli altri membri sono Australia, Brunei, Cambogia, Indonesia, Giappone, Laos, Malesia, Myanmar, Nuova Zelanda, Filippine, Singapore, Sud Corea, Thailandia, Vietnam. Nell’insieme rappresentano oggi il 31% del Pil mondiale e tra dieci anni forse il 50% o più, costituendo così il nuovo baricentro dello sviluppo internazionale. E’significativo che a questo accordo non partecipino gli Stati Uniti, ma al centro vi sia la Cina, quale maggiore paese e grande mercato dell’area.
Vale la pena ricordare che questo accordo in parte nasce da un precedente accordo di scambio multilaterale nell’area del Pacifico voluto dal Presidente Obama senza la Cina ed anzi in funzione anticinese, il TPP, Trans Pacific Partnership, guidato dagli USA e comprendente parte dei partecipanti al RCEP. I negoziati si erano avviati nel 2005, proseguiti nel 2015 con un accordo firmato nel 2016. Ma il presidente Trump il 23 gennaio 2017 ha ritirato l’adesione americana a questo accordo, come del resto per altri accordi multilaterali, avviando una politica di accordi bilaterali e di introduzione di dazi commerciali in particolare verso la Cina.
Gli undici paesi rimasti nel TPP dopo l’uscita degli USA, avevano aderito nel 2018 ad un nuovo accordo denominato CPTPP, Comprehensive and Progressive Agreement for Trans Pacific Partnership, di fatto creato sulla base del precedente TPP, a cui nel 2021 la Cina (ma anche Taiwan !) ha fatto richiesta di partecipare, anche se in realtà, la Cina ha certamente difficoltà ad aderire agli obiettivi del CPTPP, quali la contrarietà ad applicare nuovi dazi, l’applicazione di regole condivise per l’accesso ai mercati nazionali ed agli acquisti pubblici, la tutela dei diritti dei lavoratori, ecc. Comunque la richiesta dimostra la volontà del governo cinese di entrare in accordi multilaterali nella grande area del Pacifico di suo specifico interesse.
Ora, con la nascita del RCEP che appare avere per la Cina obiettivi meno vincolanti del CPTPP in materia di tariffe, copyright ed in cui la Cina può svolgere il ruolo di membro fondatore, questo accordo può rappresentare un momento storico per lo sviluppo free trade in un’area di grande potenziale (di fatto già in gran parte dipendente commercialmente dalla Cina).
Quindi la domanda che viene immediata è: questo accordo rappresenta l’uscita degli Stati Uniti da iniziative riguardanti l’area del Pacifico, che così esse vengono lasciate alla Cina? O gli Stati Uniti, la cui costa occidentale si affaccia sul Pacifico e quindi essi non possono non avere pieno interesse verso quell’area strategica, intendono cercare nuove forme di partecipazione?
La politica di Trump è stata assolutamente chiara, adottando una netta opposizione verso la Cina ed anche verso la politica multilateralistica (più di parole che di fatti) di Obama, ma è rilevante che anche l’Amministrazione Biden abbia di fatto confermato il concetto trumpiano di America First ed il fermo contrasto verso la Cina, così come manifesta uno scarso interesse per l’area del Pacifico, pur considerando gli attuali accordi, più a carattere politico, nell’area attraverso il gruppo Aukun tra USA, Australia e Regno Unito ed il Quad tra USA, India, Giappone e Australia, in chiave anticinese. Questo atteggiamento si manifesta anche nell’accordo multilaterale USMCA per il Nordamerica tra USA, Messico e Canada, in cui vi è una clausola che prevede di non avere accordi con “non market economies”, ovvero la Cina.
Accanto alle dichiarazioni trumpiane (non smentite da Biden) che gli USA non intendono più svolgere il ruolo di “guardiano” del mondo come in passato, si conferma il conflitto, auspicabilmente solo commerciale, con la Cina e la preoccupazione verso l’ecosistema asiatico che la Cina sta costruendo. Proseguendo in tale direzione, si sta configurando una evoluzione verso il rafforzamento di un duopolio politico-economico a livello mondiale tra l’area Nordamerica-Europa e l’area Cina-Pacifico, con in mezzo tra i due contendenti la Russia di Putin ed il “sogno neo-sovietico” di gestione di una terza area, quella Eurasiatica. Restano per ora non direttamente coinvolte altre importanti aree mondiali, come l’India, l’America Latina, l’Africa ed il Medio Oriente islamico e israeliano, ma le crescenti dinamiche geopolitiche porteranno cambiamenti anche in queste aree,
In tale contesto, l’accordo RCEP appare costituire un ulteriore passaggio verso una configurazione internazionale che renderebbe più difficili anche le azioni che devono essere sempre più condivise su base planetaria contro le pandemie e per la sostenibilità ambientale ed anche un indebolimento delle posizioni internazionali degli Stati Uniti e dell’Europa.
L’accordo RCEP non avrà comunque vita facile, tenuto conto che alcuni partecipanti come Australia e Nuova Zelanda non appaiono disponibili ad accettare un ruolo politico dominante della Cina, come del resto anche altri paesi del Sud-Est asiatico, ma indubbiamente l’accordo consentirà di sviluppare crescenti scambi commerciali tra i paesi partecipanti. Va anche evidenziato che l’India ed il suo grande mercato non appaiono coinvolti, almeno per ora.
La decisione della Cina di aderire a questo grande accordo multilaterale è un evento particolarmente significativo, perché la Cina appare forse per la prima volta disposta ad aderire a regole commerciali comuni, pur avendo già aderito al WTO, forse solo in modo formale.
Occorre tenere presente che la lunga pandemia ha determinato importanti effetti sull’economia cinese, con un indebolimento produttivo, maggiori costi energetici (la Cina dipende per le risorse fossili da forniture esterne, disponendo solo di carbone), maggiori costi di sostenibilità ambientale, minor traino dell’export, crisi del settore immobiliare, nuovi orientamenti governativi sullo sviluppo delle aziende cinesi high tech, eventi che possono rallentare o modificare il precedente cammino di sviluppo.
Questo comporta per la Cina la necessità di ampliare nuove relazioni commerciali ed anche di altra natura, in un clima di maggiore fiducia reciproca con paesi-partners in un’area di comuni interessi (tra l’altro con paesi in cui vivono ed operano numerosi abitanti di origine cinese). Si tratta anche di estendere collaborazioni nella ricerca ed in campo tecnologico, oltreché per investimenti infrastrutturali, come la Cina da tempo sta attuando in Africa.
Questo contesto può ampliare i contrasti tra Est ed Ovest, ma potrebbe anche ridurre i rischi di confronto tra gli Stati Uniti e la Cina, limitando le rispettive aree di interesse e promuovendo lo scambio tra le due aree dei veri asset del mondo che si apre al futuro, cioè le persone, le intelligenze, le competenze e non più solo la concorrenza dei beni fisici.
In questo quadro, si pone anche il ruolo dell’Unione Europea nei confronti della sua partecipazione attiva e non passiva allo straordinario sviluppo del mercato dell’Asia-Pacifico ed anche per la promozione di un suo contributo attivo al progresso ed alla pace, quale area aperta agli scambi nel mondo di idee e di intelligenze ed alla promozione della libertà, della collaborazione e del valore etico e sociale delle persone e delle istituzioni.