Ai Weiwei (Pechino, 1957 - ) - Sunflower Seeds (2010) - Tate Modern UK
Usa e Cina ai ferri corti
di Vincenzo Rampolla
Nella Nuova Era di Xi Jinping non c'é spazio per la libertà individuale nè per il dissenso o la critica. Il presidente cinese Xi Jinping (abbreviato Xi) il 24 ottobre 2017 vota al 19° Congresso del Partito Comunista nella Grande Sala del Popolo e si porta a casa il mandato di Presidente a vita.
Un uomo e un Partito Comunista mai così potenti.
La Cina tragicamente, rapidamente retrocede. Che vuol dire? Vuol dire ritornare ai cupi tempi di una crudele dittatura che estorce rispetto e obbedienza con la dinamica del terrore.
Nel NY Times del ‘98 T. Friedman scrisse: Quando 900 milioni di contadini cinesi avranno un telefono cellulare e inizieranno a chiamarsi e a parlarsi, allora finalmente anche la Cina diventerà un paese più libero e aperto.
Oggi i cinesi sono 1,4 miliardi, 19.5% degli abitanti del pianeta. Uno su cinque.
A settembre 2016 ho potuto stringere la mano a Ai Weiwei, artista cinese di fama mondiale, nella sua mostra a Palazzo Strozzi a Firenze. Lunga barba coltivata e occhi che scavano e guardano con dolcezza.
Dopo 81 giorni di isolamento – ricorda - per un giro di vite contro tutte le voci critiche contro il regime gli è stato demolito lo studio di artista. Ai assisté online alla distruzione, informato dai suoi fedeli rimasti in Cina, non dalle Autorità. Loro non avvertono. Mai. Agiscono, senza spazio per commenti o critiche. Quelle soprattutto. Nella Nuova Era di Xi restano inammissibili, fin dai tempi di Mao.
Oggi Ai vive in Germania con la famiglia, sotto gli occhi dei media del pianeta per la sua protesta politica a favore dei rifugiati.
Per evitare contaminazioni, ai bambini tibetani sono state vietate le attività a sfondo religioso durante le vacanze scolastiche, mentre crescono a dismisura i giornalisti, gli intellettuali e gli accademici stranieri che, pur di mantenere il lavoro in Cina, hanno orientato i propri interessi sui temi graditi al regime.
È il Pensiero di Xi, infilato nella Costituzione e nei libri di testo delle scuole e nei vagoni propaganda delle metropolitane cinesi: la sua visione del futuro, il cosiddetto Manuale spirituale interattivo. Il dissenso è reato e la ragazza che ha osato imbrattare di inchiostro il poster del Presidente è stata arrestata e spedita all’ospedale psichiatrico per essere curata.
Sempre più lontana dai valori e dai principi alla base delle società occidentali, con la Cina non si discute. Chi l’ha detto? Noi lo diciamo, la Cina va avanti da sé. Va studiata. Xi ha creato una società in cui nessuno conosce la verità.
Quella ufficiale diffusa dal Partito, a ogni generazione viene riscritta, attualizzata, creando il caos in un Paese in cui nessuno sa in che credere e dove tutti tremano prima di esprimere la loro opinione. È nel bozzolo di questa cortina di silenzio che si sta avvolgendo la Repubblica Popolare.
E Donald Trump (abbreviato Donald), dov’è finito?
Nella spirale della tenzone tra Usa e Cina, all'aumento da parte della Casa Bianca dei dazi del 10% sulle merci cinesi, Xi ha risposto sparando a zero dazi su $60 miliardi di prodotti americani.
Prova di forza che ha affondato i listini azionari e le materie prime. L'adozione di misure unilaterali e l'aumento delle tariffe sono un danno solo per i cittadini e le imprese dei due Paesi, dice l'ambasciatore cinese a Londra e aggiunge: La Cina non vuole una guerra commerciale, ma la combatterà se sarà messa all'angolo.
Donald intanto si prepara a applicare una nuova aliquota del 25% ai $325 miliardi di merci cinesi finora esenti da dazi: Comportamento da bulli, silura Pechino che definisce il protezionismo il nemico comune del mondo. Sempre l’ambasciatore sostiene che l'attrito commerciale tra Cina e Usa è una questione di apertura e connettività contro l'esclusione e il protezionismo. Solito gergo per iniziati.
Facciamo i conti. Inseriamo l’aumento dal 9 maggio dell’aliquota da 10% a 25% su $200 miliardi di merci cinesi importate dagli Usa, eleviamo il controvalore complessivo tassato dagli Usa a $250 miliardi e includiamo la bordata cinese che dal 1 giugno porterà al 25% la tariffa su $60 miliardi di merci Usa che approdano in Cina. Il conto parla chiaro: il danno che Pechino arreca ($75 miliardi) supera quello inferto da Washington ($63 miliardi).
Donald incassa e strepita e scatena una guerra contro Huawei, leader delle telecomunicazioni. Mercoledì scorso la Casa Bianca ha sferrato un secondo attacco a Xi, colpendolo con due pesanti ingiunzioni: divieto alle aziende americane della telefonia di utilizzare nelle loro reti i prodotti delle società che mettono in pericolo la sicurezza nazionale e inserimento di Huawei nella black list (cosiddetta entity list Usa) con i nomi delle aziende che per rifornirsi negli Usa devono ottenere il via libera del Governo - documento convalidato seduta stante dal Dipartimento di Commercio. Donald ignora che gli smartphone Huawei usano prodotti Usa di Intel, Broadcom, Micron, Seagate, Western Digital e il software di Google.
Trascinato dall’impeto anti-Cina, ci è cascato: secondo gli esperti queste aziende saranno proprio quelle penalizzate dal colpo basso di Donald.
Huawei ne uscirebbe rinforzata iniziando a produrre in proprio i componenti di cui necessita per i suoi smarphone e svincolandosi da Google con il proprio sistema operativo Honor Os su cui lavora da più di un anno. Un’ulteriore restrizione contro Huawei potrebbe infatti indurla a sviluppare in casa la ricerca tecnologica per accrescere l’autonomia. In pratica il piano di Donald diretto a indebolire l’avversario cinese, gli si è ritorto contro.
Che succederà ora con dazi e tariffe più alte? In vista delle elezioni del 2020 il gioco si fa duro e con le incertezze odierne è improbabile che si raggiunga un accordo in breve tempo. Nelle ultime ore sono lievitate le probabilità di un altro scenario secondo il quale Cina e Usa adotterebbero una strategia di rischio calcolato. Non si esclude un ultimo scenario inquietante, pur se al momento poco probabile: una vera e propria guerra commerciale gravida di speculazioni in borsa senza controllo.
Nel contempo, in un’ottica di contenimento della Cina, gli Usa coltivano una strategia di maggiore presenza in India e nel Pacifico. Chi la spunterà? L'alleanza tra Usa, Giappone, Australia e India procede, favorita da più alleati in campo rispetto alla Cina, piccoli ma numerosi.
Sempre sornione il ruolo dell'India, con una posizione di rilievo nell'area.
La strategia Usa è paradossalmente prodotta dall'isolamento cinese generato dalle mire espansionistiche di Xi. Diventato avido e rapace in ogni continente, ha in parte compromesso i rapporti con i vicini. In Asia, lungo la BRI (Belt and Road Initiative), la Nuova Via della Seta con l’apertura tra EO e Europa di due corridoi, uno terrestre (Silk Road Economic Belt) e uno marittimo (Maritime Silk Road) ha svelato la strategia del Sogno cinese: sviluppare la società, l’economia e il territorio della Cina e potenziare i legami e le comunicazioni tra Asia, Africa ed Europa.
Diversi Paesi stanno rivedendo le loro relazioni con la Cina bloccando alcuni investimenti. Thailandia, Maldive, Filippine, Pakistan, Malesia riesaminano diversi progetti, un centinaio in particolare, avviati in investimenti infrastrutturali che Xi ha portato avanti in maniera decisiva. Nasce il timore di una eccessiva dipendenza diplomatica e economica e del futuro asservimento a Pechino. Nell’UE, Grecia e Polonia hanno aderito alla BRI, l'Italia ci è andata vicino ma la cosa è sfumata. Perché? Perché gli Usa si sono mossi a massima velocità per impedire che un partner UE vi entrasse. E Xi apre la sua presenza anche in America Latina, da lui definita estensione naturale della BRI e mette le radici in Venezuela e Brasile, suoi storici fornitori di soia.
Xi lancia la sfida a Donald nel giardino di casa con un’avanzata silenziosa nei Caraibi e nella America Centrale.
L’Africa intanto è diventata ormai un dominio di Xi, dopo avere concesso dal 2012 prestiti per $143 miliardi a 45 Nazioni e avere siglato nel recente Forum Cino-Africano altri $60 miliardi in prestiti per infrastrutture e sviluppo economico. Il Continente è sotto controllo.
Che cosa vogliono i cinesi nel confronto tra Usa e Cina? Per l’enorme mercato interno dell’auto cercano urgentemene produttori tecnologici, non disponibili in tempi brevi. Devono poi rimuovere, ad esempio, la pessima reputazione di produttori di bassa qualità, nomea già migliorata con i solidi rapporti bilaterali con i paesi dell'Est Europa. Non basta.
Per Donald l'obiettivo indiretto nella guerra commerciale è l'Europa. Perché tanta agitazione alla vigilia delle elezioni europee? Anche se le cose mutano rapidamente, manca in Europa l’unanimità. Forse non ci sarà mai.
Londra è sempre stata il principale ostacolo a una vera politica europea unitaria per i suoi interessi diversi dagli altri membri UE e la Cina ha sempre usato Londra come propria base per gli investimenti europei. Non a caso la Brexit è una spina nel fianco di Xi.
Guardiamo ora come sta andando la crescita cinese. Rallenta. Dati economici alla mano, quelli veri, analizziamo la proiezione della Cina.
Pechino deve risolvere i problemi di inefficienza del sistema produttivo, di quello finanziario, dell’indebitamento, dell’eccesso di partecipazioni miste tra pubblico e privato, che sommati alla mala gestione del mercato del lavoro si sono incancreniti. Chi conosce la verità sulla situazione interna della Cina?
Facciamo i conti. Dall’agosto 2015, dopo il crollo della borsa di Shanghai e con le svalutazioni dello yuan, i Treasury cinesi sono in continuo calo - ultimi dati al 31.3.2019 e confronto dei Titoli di Stato Usa posseduti dalla Cina con il cambio Fed dollaro/yuan - e sono scesi a $1,12 trilioni, valore più basso degli ultimi due anni.
Per arrivare all’equilibrio si è recuperato in parte con massicci interventi esterni in borsa e con le esportazioni più competitive, includendo una tirata d’orecchi ai nuovi imprenditori, il volemose bene alla cinese, per moderare l’eccesso di rischio nei loro investimenti. Ma dov’è finito il famoso cambiamento da tempo sbandierato da Xi e di cui la Cina ha urgente bisogno? Che fanno i dirigenti cinesi? Nulla, assolutamente nulla.
L’attuale primo ministro di Pechino Li Keqiang (abbreviato Li) quando era segretario del partito nella Provincia di Liaoning, scoprì che non poteva prendere decisioni sulla base dei dati che riceveva dai funzionari locali.
Essendo valutati sui risultati economici della propria zona, per accattivarsi i superiori i loro resoconti sulla crescita o sugli investimenti venivano truccati e ancora oggi la somma dei PIL dichiarati da ogni unità territoriale cinese è superiore al PIL del Paese! Li creò il Li Index e lavorò giorno e notte per correggere al ribasso il PIL di ogni Provincia. Niente da fare. Oggi è ricorso agli economisti delle Università di Hong Kong e di Chicago e i risultati sono appena usciti ad aprile dalla Brookings Institution - primario think tank non profit di Washington con 300 analisti di massimo livello -. Risultato: dal 2008 al 2016 correzione al ribasso del PIL cinese in media dell’1,7% ogni anno; prodotto lordo delle costruzioni al ristagno e gettito IVA industriale negativo dal 2014.
Dalla crisi del 2008 la Cina ha continuato a crescere a un ritmo medio di 6% e non di 8% e il debito totale reale di Stato, imprese e famiglie, oggi al 250% del Pil, sarebbe più alto.
A.Rees, economista di Unicredit, ha spinto a fondo l’indagine, cercando la sola verità che nessun cinese potrebbe truccare: l’analisi delle vendite alla Cina degli altri Paesi. Alla fine la crescita nel 2018 forse non è stata negativa, ma ben al di sotto del dato ufficiale 6,5%. Truccare i dati pare essere lo sport nazionale. Lo scrive oggi a caratteri cubitali, il China News: Scandalo nazionale, 1 milione di morti e $38 miliardi dilapidati nel progetto di massima priorità per Xi su inquinamento atmosferico con apparecchiature, impianti e dispositivi manipolati, 6 stazioni nazionali sabotate, falsi ispettori e rapporti regolarmente falsificati, pur di salvare la carriera e ruffianarsi la gerarchia con un rituale: Va tutto bene.
E allora? Partita Usa-Cina tutta da giocare. L’obiettivo supremo di Xi è il 2049, centenario della fondazione del Partito Comunista Cinese. Stiamo a vedere.
Anche l’Iran sta a guardare, martellato dalle sanzioni di Donald su banche e petrolio, firmate lo scorso novembre, con il fuoco sacro alla vigilia delle elezioni di metà mandato ... Nel crocevia per l’Oriente, Alī Khāmeneī studia guardingo il gatto e il topo. Dice un proverbio persiano: se i due trovano un accordo, il droghiere è rovinato.
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