Il senso del lavoro della Generazione Z
di Bruno Lamborghini
Il mondo del lavoro sta affrontando una profonda crisi: nonostante una elevata disoccupazione, cresce la difficoltà delle aziende di trovare personale, ed in particolare personale qualificato. Le carenze del sistema scolastico/universitario ne sono certamente una causa, in specie per le professionalità tecniche, ma vi sono altre ragioni da analizzare.
Proseguono infatti ondate di dimissioni dal lavoro, le cui motivazioni vanno dall’insoddisfazione per i livelli retributivi mediamente più bassi in Italia rispetto ad altri paesi e falcidiati dall’inflazione, anche a diverse cause, quali ruoli inadeguati e frustranti, difficili rapporti con colleghi e capi, incomprensione degli obiettivi aziendali, lavoro remoto/ibrido, necessità di riequilibrio tra vita e lavoro, soprattutto dopo l’esperienza Covid. Chi ha iniziativa e mezzi tende ad andare all’estero.
Si manifestano anche comportamenti di ridotto impegno e disinteresse nel lavoro, il cosidetto Quiet quitting che colpisce diverse fasce di età, ma in particolare alcune fasce di giovani. Le preoccupazioni si accentuano nel reclutamento di nuovo personale ed in particolare con riferimento ai giovani della cosidetta Generazione Z (da 20 a 27 anni) per i quali stanno emergendo comportamenti completamente nuovi nei confronti del lavoro, comportamenti che vanno presi in considerazione.
Spesso si parla di giovani che non hanno voglia di lavorare, di fannulloni, di Neet, senza ambizioni, ma non è così. Nella Generazione Z si sono create nuove condizioni verso il lavoro in modo profondamente diverso rispetto alle generazioni precedenti. Una recente indagine condotta in vari paesi da una società di selezione, Hunters Group, sulle aspettative dei giovani Z ha evidenziato alcuni elementi interessanti che dovranno essere tenuti in conto dalle imprese se vorranno reclutare nuove risorse. La retribuzione è importante ma vi sono anche altre ragioni per le scelte di lavoro.
Secondo Hunters Group il 59% dei giovani nella scelta del posto di lavoro indica l’importanza della crescita professionale, il 28% i contenuti del lavoro in sé, e si guarda con interesse anche le presenze di leader carismatici. Il Censis ha stimato che il 50% dei giovani non intende impiegarsi in attività non condivise. In base all’analisi di Hunters Grup, nella crescita professionale si considerano in particolare le modalità della formazione erogata ed il piano di carriera, non nel lungo periodo, come spesso viene prospettato dall’azienda, ma nel breve periodo, tenendo presente che la Generazione Z tende a porsi un orizzonte temporale di breve su 2 o 3 anni.
Un altro elemento decisionale è la presenza di lavoro in remoto ritenuto da molti un’esigenza. L’engagement appare motivato anche dai valori, in specie etici, che l’azienda esprime e pratica, così come l’attenzione ad ambienti accoglienti e formativi espressi dall’azienda. Richiedono in particolare che l’azienda investa su di loro in modo strutturato ed innovativo con attività di mentoring .La formazione deve essere continua, non frontale, ma personalizzata e pratica, non in e-learning ma on the job, unendo esperienza fisica con ambiente digitale arricchente. Si apprezza autonomia nel lavoro, ma con guide e punti di riferimento finalizzati al reale sviluppo individuale.
Alessandro Rosina, docente di demografia all’Università Cattolica ha evidenziato il rischio per i giovani di entrare in una fase di disorientamento, determinata da salari inadeguati, part time involontari, precariato prolungato, e gravi carenze nei processi formativi di competenze professionali, con conseguente impatto sulla volontà di impegno e fiducia.
Il calo demografico fa sì che in Italia la popolazione sotto i 30 anni rappresenti ora solo il 27%, a fronte di un 50% negli anni 60. Si sta quindi sempre più accentuando il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, con perdita ogni anno di migliaia di unità di forza lavoro. Le condizioni di incertezza, precarietà, bassi salari determinano crescenti difficoltà nel “metter su” famiglia e avere figli con conseguenti gravi effetti sul futuro del lavoro.
Persone e competenze divengono quindi sempre più “merce rara”, difficile da trovare. Per questo diviene sempre più necessario cercare di trovare nuove soluzioni affrontando i cambiamenti e adattando le strutture organizzative e formative. Occorre considerare che la Generazione Z con le sue nuove esigenze nel rapporto di lavoro, può anche favorire i cambiamenti organizzativi e di un lavoro più adeguato alle nuove condizioni economiche, sociali ed anche con utilizzo intelligente e diffuso delle tecnologie digitali e A.I. generativa.
Va ricercata maggiore partecipazione e interesse personale di tutti con positivi effetti in termini di produttività, ma anche di innovazione competitiva. Occorre investire in formazione, rivitalizzandola verso processi di apprendimento permanente in azienda (learning company) e trasformando le organizzazioni verso forme più flessibili, orizzontali, non gerarchiche, basate sull’apporto diretto e condiviso di tutti partecipanti.