Marco Cuba-Ricsi (from Gaithersburg, MD - United States) - Deforestation (2016)
Cause ed effetti della deforestazione nel mondo
di Costanza Ludovica Crivelli Visconti
Immaginiamo una Terra privata della presenza e dell’attività dell’uomo: tutto scorrerebbe naturalmente, tra ere glaciali ed interglaciali. L’umanità, invece, ha avuto ed ha ancora un significativo impatto sull’equilibrio dell’ecosistema del Pianeta, in quanto modifica le condizioni ambientali in esso vigenti.
Tra i cambiamenti ambientali ed ecosistemici causati dall’uomo, uno in particolare ha catturato la mia attenzione per la sua attualità: la deforestazione. Essa, come ogni altra attività umana sulla Terra, non ha un unico ed immediato effetto, ma numerosi, tra cui il rilascio in atmosfera di una quantità sostanziale di CO2 e di metano derivante dai futuri allevamenti, la desertificazione del suo suolo e la perdita di biodiversità.
FORESTE E DEFORESTAZIONE
Definisco come foresta un’area che si estenda per almeno mezzo ettaro, con alberi dall’altezza non inferiore ai 5 metri, e le cui chiome coprano almeno il 10 % del cielo, seguendo così la definizione offerta dalla FAO.
Attualmente le foreste occupano il 30.8% della superficie terrestre, ovvero circa 4,06 miliardi di ettari; più del 50% delle foreste nel mondo, vale a dire più della metà del terreno ricoperto di foresta, appartiene a soli 5 paesi: Russia, Brasile, Canada, Stati Uniti e Cina.
È fondamentale conoscere la distinzione tra l’estensione totale di terreni soggetti a deforestazione ed il forest area net change (fanc) ovvero la somma algebrica tra ciò che è stato perso attraverso deforestazione e ciò che è stato acquisito attraverso fenomeni naturali o progetti artificiali di riforestazione.
Il forest area net change tra il 1990 al 2020 ammonta a 178 milioni di ettari di foresta persi (pari a circa la superficie della Libia).
La buona notizia è che dividendo in 3 decenni questi 30 anni, si nota come il ritmo di deforestazione stia diminuendo: dal 1990 al 2000 si deforestavano annualmente circa 8 milioni di ettari, dal 2000 al 2010 se ne deforestavano all’anno circa 5 milioni, tra il 2010 ed il 2020 annualmente se ne sono deforestati 4,74.
Una cattiva notizia è invece che, nonostante il gioco di parole, nell’ultimo decennio c’è stato un rallentamento del rallentamento (infatti, il passaggio da 5 milioni di ettari a 4,74 è un risultato meno significativo rispetto a quello ottenuto nei due decenni precedenti).
Una perdita di 178 milioni di ettari in 30 anni, su un totale odierno di circa 4 miliardi, potrebbe sembrare poco significativa; tuttavia, gli effetti legati a questa perdita sono tutt’altro che poco significativi, soprattutto se il processo andrà avanti nei prossimi decenni.
Come abbiamo avuto modo di spiegare, il forest area net change non corrisponde alla superficie totale di terreni deforestati: capiamo quindi come quei 178 milioni di ettari persi in 30 anni nascondano una perdita di terreni dovuta alla deforestazione molto più alta, contemporaneamente bilanciata da altri terreni che venivano riforestati. Ebbene, gli ettari persi a causa della deforestazione sono circa 420 milioni, un territorio grande più del doppio della Libia.
Ciò che si comprende dal seguente grafico è come, assieme alla significativa diminuzione negli ettari deforestati negli ultimi due decenni ci sia stata anche una parallela diminuzione degli ettari riforestati; la somma algebrica di questi numeri non ci dà altro che il forest area net change dell’ultimo trentennio.
Fonte: Global Forest Resources Assessment 2020, FAO
A livello locale ciò che preme sottolineare è come le zone maggiormente soggette a deforestazione siano le foreste tropicali, ed in particolare il Sud America (il cui fanc nell’ultimo decennio era in negativo, con una perdita di 2,5 milioni di ettari all’anno), e l’Africa (il cui fanc nell’ultimo decennio era parimenti negativo e contava una perdita di ben 3,9 milioni di ettari all’anno). Se il trend di deforestazione degli ultimi 30 anni del Sud America è in diminuzione, quello dell’Africa è al contrario in aumento.
Fonte: Global Forest Resources Assessment 2020, FAO
PRIMO EFFETTO: MENO ALBERI PIÙ CO2
Annualmente, da fenomeni naturali come l’utilizzo degli animali del terreno, la concimazione e la decomposizione conseguente, le eruzioni vulcaniche e l’attività oceanica, derivano circa 770 Gt, dove Gt sta per gigatone ovvero 1 miliardo di tonnellate; contemporaneamente, processi chimici e fisici inseriti nella fotosintesi e nelle attività oceaniche riassorbono leggermente più di quanto la Terra emetta (440 Gt assorbiti dalle foreste e 330 Gt assorbiti dagli oceani) (Skeptical Science).
Tutti gli ecosistemi che contribuiscono al riassorbimento di CO2 sono detti “pozzi” (“sinks”), e le foreste rappresentano dei cruciali pozzi di assorbimento di carbonio grazie al processo di fotosintesi che le contraddistingue – infatti quando le singole molecole di CO2 vengono a contatto con le foglie delle piante, attraverso la fotosintesi clorofilliana esse vengono scisse in un atomo di C, che rimane alla pianta come materia, e O2, che viene rilasciato (Global Carbon Project). Quindi, per quanto riguarda le emissioni naturali, il bilancio è positivo.
I fenomeni naturali vengono riassorbiti sempre e comunque dai pozzi, e quella piccola quantità di Gt che avanza, ovvero che i pozzi naturali possono assorbire in più, non basta ad assorbire tutti i Gt emessi dall’uomo. Attraverso l’attività antropica infatti l’uomo ha emesso nel 2019 globalmente circa 38 Gt di CO2 che i pozzi non sono riusciti ad assorbire del tutto (EU Commission Report on CO2 emissions, 2020): le foreste e gli oceani sono riuscite ad assorbire soltanto il 50% (nel 2020 leggermente di più, aumento da attribuire allo stop delle attività causato dalla pandemia) del CO2 umano, ovvero circa 19 Gt. Il resto si è disperso nell’atmosfera come gas serra.
È evidente come la diminuzione nell’assorbimento forestale di CO2 naturale ed antropico negli anni a venire sarà direttamente proporzionale alla quantità di alberi abbattuti.
Un ulteriore aspetto da considerare è che, siccome durante la fotosintesi clorofilliana gli alberi hanno conservato in sé gli atomi di C, di cui sono loro stessi formati, niente impedisce la loro ri-conversione in CO2, in presenza di condizioni favorevoli come il calore. A tal proposito, le stime su quanto C le foreste globali abbiano stoccato in esse si aggira attorno ai 900 Gt (Yude Pan et al., 2011), di cui 44% nel terreno, 42% nella biomassa (materiale utilizzato per la fotosintesi) e 13% nel legno e nei materiali morti della pianta.
Si comprende come le foreste abbattute non per convertire il legno in altro materiale, ma solo per dar vita a pascoli o campi di agricoltura, siano quelle che producono più CO2 nell’immediato: infatti, attraverso il fumo emesso bruciando i tronchi (è più facile infatti bruciare una foresta piuttosto che abbattere un albero per volta e portarlo via), assieme alla conseguente decomposizione dei rami e legni residui, e infine con la disintegrazione del suolo causata dalla necessità di renderlo coltivabile, si rilascia una quantità di CO2 pari quasi al 100% del C contenuto nella pianta.
Al contrario, la deforestazione con lo scopo di produrre mobili in legno o carta non rilascia CO2 nell’immediato perché non sottopone la pianta a calore, tuttavia, quando la carta ed i mobili verranno smaltiti (dopo anni o decenni, nel caso in cui non venissero riciclati), sarà quello il momento in cui il C che compone il materiale tornerà CO2, essendo necessario portare a temperature elevate i materiali affinché possano essere smaltiti.
SECONDO EFFETTO: EMISSIONI INDOTTE DI METANO
Secondo un report di Greenpeace 2019 si comprende che l’80% dei terreni deforestati (quindi circa 8 milioni all’anno) è destinato alla produzione di carne e soia, e l’80% di questa soia prodotta a sua volta destinata al mangime per animali da macello.
I bovini allevati in maniera intensiva per la produzione di carne inquinano attraverso il metano da loro emesso, il che ha un forte impatto sul cambiamento climatico.
In questa sede si vuole dare un’idea di come la deforestazione abbia un impatto sull’inquinamento di metano, e non di quanti bovini siano allevati nel mondo o quanto inquinino; in altre parole, trovare in quale misura la deforestazione partecipa a questo inquinamento, e i dati ci mostrano come questo impatto sia particolarmente significativo nella foresta Amazzonica.
Secondo il censimento bovino del 2014 (LG Italia) circa il 60% dei bovini del mondo (610 milioni di bovini) si trova tra India, Brasile e Cina, distribuite in maniera equa.
In media l’Amazzonia in questo ultimo decennio (2010 – 2020) è stata deforestata di circa 2,5 milioni ettari di foresta all’anno (nei decenni precedenti si sfioravano i 5 milioni), ovvero circa 1/4 della deforestazione mondiale.
Anche in Amazzonia circa l’80% della deforestazione è causata, direttamente o indirettamente, dall’allevamento di bestiame, per cui circa 2 milioni di ettari di foresta l’anno. Il numero di bovini presenti in Brasile si aggira attorno ai 200 milioni di esemplari.
Quello che segue è un calcolo del tutto sperimentale, che ho attuato dal momento che non ho trovato dati e risposte soddisfacenti alle mie domande.
Unendo i dati di sopra ciò vuol dire che in Brasile, annualmente, ci sono circa 4 milioni di bovini destinati al macello che producono metano (calcolo: la media del peso tra mucche e buoi da carne è circa 1000kg, e il peso una volta macellate è circa 500kg, e vengono esportati 2 miliardi di kg).
Una singola mucca produce ogni anno in media 100 kg di gas metano (Science daily). Di conseguenza, il Brasile produrrà circa 400.000.000 (400 milioni) di kg di gas metano all’anno, ovvero 400.000 tonnellate all’anno.
Probabilmente al mondo esistono paesi che inquinano esattamente quanto il Brasile (come India e Cina), eppure quello che ci interessava fare in questa sede era studiare come la deforestazione fosse collegata alle emissioni di metano, ed è chiaro che, almeno in Brasile, l’80% del suolo deforestato è destinato ad accrescere i kg di metano prodotti.
ALTRI EFFETTI DELLA DEFORESTAZIONE
Come accennato in apertura, va ricordato che la deforestazione, oltre al rilascio diretto di CO2 ed indotto di metano, implica desertificazione e perdita di biodiversità: temi questi che sarebbe interessante affrontare in sede di ricerca più approfondita.
CONCLUSIONI
Il modo più efficace per ridurre la deforestazione è quello seguito fino ad ora, ovvero adottare politiche basate su report affidabili di organizzazioni internazionali o altri enti di ricerca. Un grande limite delle Nazioni Unite peraltro è quello di non poter imporre le sue risoluzioni, ma solo di elaborare politiche nell’interesse comune e lasciare poi la decisione al buon senso (e agli interessi economici) dei singoli Stati membri.