Mrutyunjaya Dash (Rourkela, Odisha, India - ) - A World of Inequality
La grande livellatrice
di Bruno Lamborghini
In un mio precedente articolo (Paul Krugman e la globalizzazione) mettevo in evidenza come la globalizzazione in atto nel mondo dopo la caduta dell’Unione sovietica, trenta anni fa, in particolare la globalizzazione sfrenata della finanza, avesse generato, assieme ad altri fattori, una crescente diseguaglianza dei redditi e delle ricchezze.
Con gravi conseguenze, bene analizzate da Piketty, in termini di mancato sviluppo, di polarizzazione e divario tra ricchi e poveri (senza più classi medie) e crescente insoddisfazione sociale in tutto il mondo.
Ora il Mulino ha pubblicato un libro di Walter Scheidel, intitolato “La grande livellatrice” (in inglese “The Great Leveler: Violence and the History of Inequality from the Stone Age to the Twenty-First Century”) che espone la lunga storia delle diseguaglianze dall’età della pietra sino ad oggi quale causa della violenza e delle crisi della società umana, ieri ed ancor più oggi.
Nel libro si sottolinea che da quando gli esseri umani hanno iniziato a coltivare la terra e a trasmettere i loro beni ai figli si è realizzata una ripartizione squilibrata delle risorse.
Nel corso di migliaia di anni, dice Scheidel in modo forse un po’ sarcastico, solo quattro forze “livellatrici” si sono mostrate efficaci nel ridurre le diseguaglianze, e cioè le grandi guerre, il fallimento degli stati, le rivoluzioni e le epidemie, come la Peste Nera, cioè eventi traumatici che, grazie alla morte di milioni di persone ed al sequestro delle proprietà, hanno violentemente ridotto le diseguaglianze, ma hanno portato situazioni drammatiche peggiori della malattia da curare.
Numerosi interventi di politiche redistributive attuate in vari paesi attraverso prelievi fiscali sui patrimoni e sui redditi con l’obiettivo di affrontare e ridurre le diseguaglianze non hanno avuto effetti, se non limitati e di breve termine.
Al contrario, le disparità di reddito sono aumentate quasi ovunque, anche nei paesi scandinavi, considerati un esempio di politiche redistributive attraverso la fiscalità progressiva, ma anche nei paesi emergenti, dove si sono generate condizioni di crescente e continua violenza e disagio sociale.
La domanda è dunque: dobbiamo accettare per forza condizioni strutturali di diseguaglianza o è possibile introdurre politiche redistributive in grado di “livellare” redditi e ricchezze al fine di consentire e regolare lo sviluppo riducendo gli squilibri economico-sociali ?
La storia dell’Unione Sovietica, in cui lo stato comunista si poneva come obiettivo il livellamento coatto dei redditi e delle ricchezze ha dimostrato chiaramente il suo fallimento, portando all’impoverimento della popolazione e non impedendo peraltro una concentrazione delle ricchezze in pochissime mani.
Oggi tendono a prevalere nel mondo governi demo-autocratici basati su politiche populistico-sovranistiche che appaiono favorire fenomeni ulteriori di polarizzazione delle ricchezze attraverso tassazioni regressive (si veda la politica fiscale di Trump), con aumento delle aree di povertà e di disagio sociale.
In parallelo, vi è una crescente richiesta, peraltro ancora destrutturata, da parte di un numero elevato di fasce di disagio sociale, per nuove regole e nuove politiche in grado di riequilibrare le condizioni economiche e di tutela di vita, nei paesi occidentali (i gilet gialli francesi, la ricerca di una Brexit falsamente salvifica, l’estrema destra in Germania, e quanto sfocia in negativo con la rabbia e l’odio diffuso verso i poteri forti) e in tanti altri paesi (si veda il Cile in cui ci si rivolta contro l’iniquo ed inefficiente impiego delle rilevanti risorse del paese). Né potrà essere esente da ciò anche la ricca Cina.
La questione aperta è quindi se questi crescenti bisogni collettivi potranno portare a regolare e governare meglio i processi di redistribuzione delle risorse e dare luogo a percorsi di sviluppo equilibrati ed equamente distribuiti, non in chiave solo nazionale, ma a livello planetario, se possibile.
Altrimenti, non vi è dubbio che la strada delle recessioni e delle crisi sociali porterà inevitabilmente a stagnazione generale con diseguaglianza incontrollata delle risorse e crollo di produttività e sviluppo.