Kevin Charles (Pro) Hart (Broken Hill, NSW, Australia, 1928 - 2006) - The Chinese Miners
La Cina delle miniere di terre rare e i minatori
di Vincenzo Rampolla
I media governativi cinesi hanno sposato l'idea, dicendo che la dipendenza degli Usa dalle terre rare (abbreviato terre) è un asso nelle mani di Pechino. Il presidente Xi Jinping l’ha ventilato all'inizio della settimana scorsa, durante la visita dei giacimenti di terre medie e pesanti di Jiangxi e l’ha ribadito questa settimana.
Quelle terre sono il prodigio della chimica, capaci di incredibili risultati. Una dose di cerio basta per le turbine eoliche, l’ittrio è per schermi più luminosi, il samario dà lunga vita alle batterie e con il neodimio nei magneti degli auricolari si può trasmettere il suono senza fili.
Se all'improvviso Xi nel duello con gli Usa aizzasse Trump, in pochi decenni l’hi-tech ne sarebbe travolta. Gli esperti non sembrano comunque preoccupati da tale scenario catastrofico: Se la Cina interrompesse completamente la fornitura, allora ci sarebbero problemi, limitati al breve termine. Le terre sono numerose, coinvolgono la chimica, la geopolitica e la storia, ma la chiave che le distingue è chiara e una sola: le terre rare non sono così rare … secondo l'US Geological Survey sono un gruppo di 17 elementi moderatamente abbondanti, affini chimicamente, capaci di legarsi con altri minerali.
Una volta estratti dalla terra, la sfida è la chimica, non la miniera. Convertirli da un agglomerato di diversi minerali in elementi separati è un processo vario, complesso, difficile, lungo, costoso, pericoloso, rischioso e richiede cicli di interventi con bagni e continui lavaggi.
È questo uno dei motivi per cui gli Usa non sono stati contrari a cedere alla Cina la raffinazione delle terre. È un business pericoloso e disordinato, perché non lasciarlo a qualcun altro… spregiudicato per le violazioni delle regole ambientali, inattaccabile per la manodopera a bassissimo costo e astuto sfruttatore di giacimenti di terre come sottoprodotto dell’estrazione del ferro. E il monopolio del mercato e i colossali profitti, dove vanno a finire?
Nel ‘79 la Cina di Deng Xiaoping si rinnova e si lancia in politiche a sostegno del commercio estero e degli investimenti economici e nell’85 nel deserto dei Gobi in Mongolia avvia su larga scala l’estrazione di terre dal giacimento del Distretto di Bayan Obo.
Nascono un’enorme area industriale e il Centro di Ricerche di Baotou - città oggi di 2,5 M di abitanti, 50.000 alla fine degli anni ‘50 - forte di migliaia di tecnici e scienziati e con la più grande miniera a cielo aperto del mondo, 1.000 metri di profondità e estesa per 48 km²; nelle foto satellitari Nasa del 2012 appare come uno dei crateri neri disseminati nel caos degli accampamenti delle abitazioni dei minatori.
La Cina immette sul mercato 8.500 t di terre, il 21 % della produzione globale contro le 13.400 t degli Usa, primo sul pianeta. Nell‘86 nasce il Programma 863 per un vasto sfruttamento minerario e per lo sviluppo dei settori hi-tech. Supera gli Usa nell’estrazione e nel ‘92, dinanzi al Politburo Deng Xiaoping proclama: Se i Paesi Arabi hanno il petrolio, allora la Cina ha le terre rare.
Alla fine degli anni ’90, le terre acquistano una visibilità sempre maggiore per le proprietà adatte a illimitate applicazioni tecnologiche e per i costi di produzione insostenibili dal resto del mondo; la Cina conquista il monopolio della produzione, fornisce oltre il 90 % delle terre del pianeta e porta alla chiusura molti giacimenti dei Paesi occidentali, tra cui la Mountain Pass in California.
Nel 2007 le terre cinesi toccano la quota massima del 97 % della produzione mondiale.
Nel 2010 il Presidente Xi annuncia di ridurre del 40 % le quote di prodotti da esportare: atto di salvaguardia dell’ambiente, subdola maschera di protezionismo verso le aziende utilizzatrici di terre. La scintilla che fa scattare il provvedimento è un annoso conflitto territoriale con il Giappone per le isole Senkaku che vede il sequestro di un peschereccio cinese da parte dei giapponesi.
Il caso arriva sui tavoli della Word Trade Organization che dopo un serrato scontro di 5 anni impone alla Cina l’annullamento della riduzione delle quote.
La conseguente impennata dei prezzi delle terre induce i Paesi occidentali a rientrare nel business, ma i cinesi abilmente abbassano i listini e il vecchio giacimento di Mountain Pass viene acquistato dal Consorzio americano Molycorp Minerals con alle spalle una società cinese che regge le fila. Appaiono le prime intese nascoste. Dopo un paio di anni di estrazione dichiara bancarotta, incapace di reggere la concorrenza cinese.
Il monopolio di Xi è ora legge sui mercati e pilota le oscillazioni dei prezzi, con isterismi in borsa e quotazione dello scandio puro - per applicazioni aerospaziali - che da $2.500 si gonfia a $20.000.
Nel 2018 la Cina ha estratto 120.000 t, pari all’85% della produzione mondiale, a cui si aggiungono le quantità prodotte clandestinamente stimate in 13-15.000 t.
Nel 2017 Australia, Brasile e Russia hanno fornito rispettivamente 20.000 t, 15.000 t e 3.000 t, mentre le riserve mondiali di terre sono stimate a 120 Mt con 850 depositi in tutto il mondo.
Oggi Xi punta al Piano Made in China 2025, il mastodontico programma di innovazione tecnologica con cui sogna la leadership dell’hi-tech, della robotica e dell’AI.
Nel prossimo quinquennio, è probabile che la Cina continui a dominare il mercato globale delle terre, forte delle elevate riserve naturali, delle scorte e dell’incontrastata capacità produttiva, pesante freno alla ripresa e all’espansione di una produzione alternativa al di fuori del Paese.
Che succederebbe se la Cina tagliasse le forniture di terre agli Usa?
Vecchia storia, che si ripete. In un rapporto del 2014 sulle conseguenze dell’incidente diplomatico con il Giappone, emerge che in pratica, nonostante il piano della Cina, il suo blocco ha avuto scarso effetto. I contrabbandieri cinesi hanno continuato ad esportare terre manipolando i conti e i fornitori giapponesi hanno escogitato astuzie per utilizzare meno materiali.
Alla fine la produzione è salita in altre parti del mondo. Una strategia politica volta a influenzare un Paese limitandone le forniture, non funziona. I mercati non si arrendono, sussultano e speculano e si adattano e nel 2019 i risultati sarebbero identici.
Se la Cina chiudesse il rubinetto delle terre, nel breve termine le scorte pubbliche e private continuerebbero a rifornire settori primari come quello militare e i nuovi dazi farebbero lievitare i prezzi dei beni hi-tech e di altri da questi dipendenti, come il petrolio - le terre sono essenziali in molti processi di raffinazione - e forse si potrebbe andare avanti senza duelli, mettendo da parte le antiche ruggini, le libidini di potere e le elezioni in calendario.
Chi potrebbe comunque escludere colpi di testa da parte dei due duellanti?
La società chimica americana Blue Line Corp e le miniere australiane di terre Lynas hanno già proposto nuove strutture produttive negli Usa e in tutto il mondo i depositi di terre sono cresciuti in risposta alle minacce alle porte. In caso di divieto, la miniera di Mountain Pass tornerebbe alla ribalta e anche se è stata chiusa dopo che i cinesi hanno fatto crollare i prezzi, la struttura è intatta e ha ripreso la produzione a gennaio 2019.
Ne ha parlato qualcuno? Stime recenti suggeriscono che stia già estraendo il 10% di terre (esclusa la loro lavorazione) e se necessario potrebbe di nuovo funzionare a pieno ritmo.
Non è come partire da zero. Estrarre terre è relativamente semplice, ma quanto costa il processo di raffinazione? Negli Usa un impianto di purificazione e separazione dovrebbe soddisfare standard ambientali molto più elevati e costosi di quelli cinesi.
Non per nulla la Cina ha passato gli ultimi anni a imporre fusioni societarie in modo che il 99 % delle terre estratte legalmente nel Paese sia prodotto solo da 10 società, con vari gradi di controllo statale. Operazione questa da sorvegliare con accortezza, mentre l’australiana Lynas, trasloca le terre in Malesia per raffinarle e controllarne la lavorazione.
Non c’è da stupirsi: Australia-Usa contro Cina, intesa alla luce, si gioca a carte scoperte. E l’arbitro? l’UE, gli Arabi … dov’è in regime di monopolio?
Dai dati sulla produzione cinese del primo trimestre 2019 la quota della sua produzione globale è scesa all’81% e le aziende sono diventate molto più efficienti nell'ottenere economie sulle terre pesanti, le più costose, come il disprosio, venduto a $530 al kg. Il cambiamento è visibile nel magazzino del complesso di Tianjin, una delle rare fabbriche al mondo che usa le eccezionali qualità magnetiche di polveri di terre per realizzare potentissimi magneti.
Proprietaria é l’americana Molycorp che, guarda caso, acquista le sue terre dai cinesi. E chi raffina quasi interamente quelle terre? I cinesi. Sempre loro. È così che funziona. Dietro le quinte, tutti si mettono d’accordo e i ripiani dei magazzini traboccano di bidoni ben allineati, pieni di lucenti barre blu di neodimio, super-magnetico, ogni bidone 60x30 cm di diametro e 250 kg (!!) di peso per l’elevatissima densità del terra. Anche l'industria petrolifera mondiale ha iniziato a utilizzare meno lantanio, terra richiesta dalla raffinazione del petrolio. Non sorprenderebbe se da un giorno all’altro il petrolio rincarasse.
È del giugno 2018 la diffusione di un Libro Bianco del Ministero dell’Ambiente cinese che, messo alle strette, dettaglia i danni ambientali causati dall'industria delle terre, attività sporca e senza regole, ammissione che, sebbene imbarazzante per Pechino, avrebbe potuto giustificare le nuove tariffe all'esportazione delle terre.
Dimenticanza sottile e diplomatica per legittimare in cambio il condono e avviare come risarcimento un'ampia bonifica ambientale.
La lavorazione delle terre è nociva perché il minerale di origine è spesso associato in piccole quantità al torio, materiale radioattivo e in grandi quantità a tossine cancerogene (acidi solforico, cloridrico e fluoridrico molto concentrati, ammoniaca, soda caustica e solfati). Le terre, contengono fino al 12% di ossido di torio, sostanza che viene separata nella lavorazione; le sue varietà naturali radioattive cessano di irradiare dopo un periodo variabile tra 1- 900 giorni. Emette particelle alfa non nocive ma produce un gas radioattivo deleterio per la salute. Se inalato può aumentare il rischio di cancro a polmoni, pancreas e reni. È insolubile in acqua e se ingerito mette in grave pericolo il fegato. Trasportati dal vento questi inquinanti contaminano acqua e campi nel raggio di km.
L'eccessiva estrazione di terre degli ultimi anni ha intasato fiumi, provocato frane, emergenze ambientali, incidenti, disastri e gravi danni alla sicurezza e alla salute delle persone e all'ambiente. Nel Distretto di Bayan Obo, tra Baotou e il Fiume Giallo, interi villaggi sono stati evacuati e reinsediati altrove in torri di appartamenti dopo le segnalazioni di alti tassi di cancro e di problemi di salute associati alle numerose raffinerie locali di terre.
In un anno, prima di sfociare nel Fiume Giallo, le aziende di Baotou sputano 10 Mt di acque reflue pompate in dighe di decantazione in un bacino artificiale di 4km², il più grande del mondo risalente agli anni '50 di Mao Zedong. Distesa infinita di fango grigio viscoso con sostanze chimiche tossiche e scorie minerarie radioattive da 3 a 10 volte superiori alla norma, a 12 km dal centro città.
Il Governo cinese ha speso $350-400 M per estrarre la maggior quantità possibile di acque sotterranee inquinate e pompare nel suolo enormi quantità di acqua pulita per diluire i residui prima che raggiungano il Fiume Giallo. Ha creato un magazzino per la gestione dei rifiuti con un organico di 400 dipendenti, eppure l’acquitrino è un testimone di quanto sia lontana la bonifica cinese.
Il Fiume Giallo, che finisce nel Mare Bohai, il golfo più interno del Mar Giallo, è talmente inquinato che un terzo di esso è classificato come inutilizzabile.
Un’inchiesta del 2007 condotta su un percorso di 13.400 km di fiume, inclusi alcuni affluenti, ha rivelato che vi sono stati scaricati 4.290 Mt di rifiuti e scarichi industriali e la pericolosità dei rifiuti ha richiesto che il bacino venga sorvegliato dai militari.
I villaggi circostanti sono decimati. Cani randagi spettrali vagano nei campi di grano e di mais inariditi, strutture arrugginite di serre sventrate e dismesse tumulano grovigli di sacchi abbandonati. La rivista governativa Caixin riferisce di decine di migliaia di capre e capi di bestiame morti e di caprette nate gravemente deformate.
Su ordine di Pechino, imprese statali hanno smantellato le raffinerie di Baotou e le hanno ricostruite altrove, lontane dalla contaminazione radioattiva. Raccontano Li e Wang, due minatori intervistati: All'inizio non c'era acqua dal rubinetto, quindi abbiamo bevuto dai pozzi. L'acqua sembrava buona, ma aveva un cattivo odore, era la stessa pompata di continuo in bacini di dighe e in affluenti, ogni giorno una massa d’acqua alta 2-3 metri, hanno detto i tecnici. Oggi appena ci avviciniamo alla città, si sente un nauseabondo odore di zolfo e circoliamo con mascherine. Un tempo si coltivavano cavoli, melanzane, pomodori e angurie, poi le colture si sono disseccate, le nostre pecore sono morte e nel vicino mercato molte pecore avevano due file di denti, alcuni dei quali lunghi da non poter chiudere la bocca. Sette vicini sono morti di cancro. I miei denti si sono ingialliti e si curvavano - aggiunge Li e si stringe nelle spalle. - sporgevano storti dalle gengive annerite e con strane angolature. Alcune centinaia di nostri colleghi sono stati licenziati negli ultimi mesi. Non capiamo queste cose. Siamo qui solo per guadagnarci da vivere.
Raffinata destrezza cinese di fondere gli spettri di Seveso con i raggi γ di Chernobil.