Piano Juncker: oltre il 2018 per accelerare gli investimenti
di Edoardo Del Vecchio – Action Institute
A novembre 2014 il neoeletto presidente della Commissione Europea Jean Claude Juncker aveva dato il via al Piano di Investimenti per l’Europa della Commissione Europea, il cosiddetto “Piano Juncker”. A un anno e mezzo di distanza i risultati sembrerebbero essere estremamente positivi, tanto che la Commissione ha proposto di prolungare il piano oltre il 2018 e possibilmente renderlo permanente. Action Institute fa il punto della situazione per raccogliere le migliori raccomandazioni proposte a livello nazionale e internazionale.
Il piano, tra le altre cose, prevede lo stanziamento di €21 miliardi per la creazione di un Fondo europeo per investimenti strategici (Feis). Il totale dello stanziamento del Feis verrà impiegato nei prossimi tre anni per creare strumenti assicurativi mirati a coprire attività di credito ad alto rischio portate avanti dalla Banca Europea per gli Investimenti (Bei) e dal Fondo europeo per gli investimenti (Fei), i quali finanzieranno rispettivamente progetti infrastrutturali e piccole e medie imprese (Pmi). In questo modo Bei e Fei, pur sbloccando strumenti finanziari ad alto rischio, potranno mantenere i massimi rating finanziari e così trovare altri investitori, privati e pubblici, con i quali co-finanziare progetti di interesse europeo, arrivando a un totale moltiplicatore x15 rispetto all’investimento iniziale.
Oggi, a un anno e mezzo dal lancio del piano, una riflessione sui risultati raggiunti risulta quanto meno doverosa. Secondo Jyrki Katainen, vice-presidente della Commissione Europea, l’effetto leva generato dal Feis sarebbe andato oltre le aspettative, catalizzando capitali per 23 volte tanto quanto investito nel primo anno. Di fatto, secondo i dati pubblicati dalla Commissione a inizio giugno, il Feis ha approvato in tutto 64 progetti infrastrutturali garantendo fino a €9,3 miliardi. A questi si aggiungono 185 accordi per aiutare 141.800 Pmi per un totale di 3,5 miliardi di euro. In Italia, secondo quanto riportato dal Sole 24 Ore, il Feis ha investito €1,4 miliardi di euro in otto progetti infrastrutturali, generando altri €4,9 miliardi in investimenti e creando 3.200 posti di lavoro. A beneficio di 44.840 Pmi il Fondo ha inoltre siglato 28 accordi per un totale di €353 milioni che dovrebbero mobilitare investimenti per €7,8 miliardi. Katainen attribuisce gli ottimi risultati raggiunti anche al “buon funzionamento del sistema delle banche di promozione nazionale”, aggiungendo che gli altri paesi “possono seguire l’esempio italiano”.
Nonostante questi risultati estremamente positivi, la Commissione continua a lavorare costantemente per migliorare il piano. Tra le novità già introdotte figurano:
• La piattaforma online che riunisce i promotori dei progetti e gli investitori per aumenterà la visibilità dei progetti;
• Il polo europeo di consulenza sugli investimenti che offre assistenza tecnica ai progetti;
• Il potenziamento dello sportello per le Pmi;
• Le semplificazioni normative per abbinare al Feis i Fondi strutturali e di investimento europei (fondi Sie).
Infine, è importante notare che è stata per la prima volta introdotta una clausola di flessibilità sul calcolo del debito pubblico: i contributi degli Stati membri ai nuovi investimenti del Feis saranno ora dedotti dal calcolo dei loro deficit e debiti nazionali. Questo è un risultato storico che dà l’avvio a un’inversione di tendenza rispetto all’amministrazione Barroso, caratterizzata da austerity e consolidamento in bilancio.
Tuttavia, molti vedono nell’iniziativa significativi margini di miglioramento. Lo stesso Katainen ha sottolineato al Brussels Economic Forum del 9 giugno come il rilancio degli investimenti in Europa debba essere associato a nuove riforme economiche mirate a far convergere le norme sugli investimenti a livello europeo, in modo da attrarre una crescente quantità di capitali internazionali. A questo stesso proposito, Confindustria denuncia che, a oggi, l’Italia non sembra essere orientata ad affrontare una revisione decisa delle normative di maggiore impatto sugli investimenti.
Altro tema scottante è la riduzione dei fondi a disposizione di programmi europei d’investimento come Connecting European Facility e Horizon 2020. Confindustria stessa suggerisce di considerare la possibilità di destinare parte dei ritorni generati dall’impiego del Feis al rifinanziamento di entrambi i programmi oppure, in una logica di compromesso, di valutare l’introduzione di eventuali meccanismi che vincolino le risorse sottratte a Horizon 2020 al finanziamento di progetti che abbiano una forte componente di R&I nella definizione delle regole di implementazione del Fondo.
A rincarare la dose Bruegel sottolinea una grave carenza di informazioni sui progetti finora finanziati. Sembrerebbe infatti che solamente 5 dei 55 investimenti esaminati da Bruegel fino a ora sarebbero realmente innovativi rispetto a investimenti finanziati precedentemente, rendendo il Feis un mero esercizio di rebranding di attività di finanziamento europee già esistenti. Per questo motivo il think tank, pur riconoscendo la validità dell’idea dietro al Feis, indirizza alla Commissione due raccomandazioni strategiche.
1) Il Feis dovrebbe essere usato solamente per progetti realmente innovativi e che non riescono a finanziarsi sul mercato. A questo proposito sottolinea l’importanza di migliorare la trasparenza dei progetti al fine di evidenziare il tasso di rischio e le corrispondenti misure offerte dalla Bei per attrarre gli investitori interessati. Progetti rischiosi e innovativi attrarrebbero più investitori privati se la share della Bei nei finanziamenti dei progetti fosse più alto di quanto sia oggi (o, equivalentemente, se il moltiplicatore del co-finanziamento fosse più basso).
2) D’altro lato, la Bei dovrebbe finanziare in proporzione molto minore i cosiddetti progetti a basso rischio per evitare di tagliare fuori il mercato privato e le banche nazionali che se ne potrebbero occupare da soli. Per essere chiari, nei casi analizzati da Bruegel la quota dei finanziamenti per progetti ad alto rischio da parte della Bei è intorno al 27,7%. Al contrario, per progetti a basso rischio la quota arriva fino al 48%.
Sostanzialmente, Bruegel sostiene che per attrarre gli investitori privati le percentuali dovrebbero essere invertite (50% per progetti ad alto rischio e 20% per progetti a basso rischio). Il “favoloso” moltiplicatore sarebbe più basso, ma il volume totale degli affari molto più grande, premendo davvero sull’acceleratore per gli investimenti in Europa. In conclusione, il Piano Juncker lascia sperare in un’Europa più intelligente, più attiva e più unita nel campo degli investimenti. Tuttavia, le criticità qui evidenziate sottolineano ampi margini di miglioramento che potrebbero contribuire notevolmente a fare uscire l’Ue dalla stagnazione.