Anonimo (anno 1951) - Hospital room - Tempera
L’esperienza di un direttore sanitario
di Elio Marmondi
Quando, ormai molti anni or sono, mi sono affacciato alla professione medica, ritenevo (e per certi versi lo ritengo tuttora) che il miglior medico fosse quello che conosce tutte le teorie più avanzate della clinica e della pratica medica.
Al cittadino-paziente dovevano essere prescritti tutti gli esami di laboratorio, radiologici e di diagnostica strumentale, conosciuti. All’epoca era molto di moda parlare di “check-up completo”, e proporre “tutto a tutti”.
Ben presto mi sono reso conto che questa non era medicina preventiva, anzi costituiva una falsa sicurezza a chi vi si sottoponeva.
Corretto era, invece, prescrivere una serie di esami finalizzati a mettere in luce la presenza o meno della patologia sospettata o “prediagnosticata”, attraverso la più accurata visita, che i segni e i sintomi della semeiotica medica proprio il bravo clinico sapesse evidenziare.
Ho imparato che questo fatto era ciò che, poi, sarebbe stata definita” appropriatezza”, confermato, peraltro, dall’EBM (Evidence-based medicine) un sistema messo a punto nella seconda metà del secolo scorso che consente di confrontare la soggettività diagnostica del medico ad una sorta di oggettività derivata dalla analisi delle più comuni pratiche fornite dalla letteratura scientifica a livello internazionale.
La medicina basata sulle prove di efficacia rappresenta, quindi, l’applicazione dei metodi razionali e quantitativi nella valutazione della pratica clinica e riguarda sia l’attività diagnostica sia le procedure terapeutiche. Valutare l’efficacia di un’attività diagnostica o di una procedura terapeutica è necessario, ma non sufficiente, perché occorre tenere conto anche della valutazione economica. Se tale analisi non risultasse positiva, sarebbe forse più opportuno, per pochi casi, ricorrere alla struttura sanitaria più vicina e più competente.
È comunque tuttora vero che oltre il 90% degli esami diagnostici prescritti risulteranno poi negativi a conferma che spesso gli esami vengono prescritti, più che dalle reali esigenze di salute del paziente sulla base dei contenuti ed i principi della “medicina difensivistica”, cioè esami prescritti per mettere il più al sicuro possibile il medico di fronte al continuo dilagare delle denunce contro di lui molto spesso derivate dalla immotivata richiesta di danaro con la complicità di avvocati compiacenti.
Mi sono, poi, accorto che anche il fatto di ritenere” nuovo” come sinonimo di “bello”, in altre parole “efficace” in quanto nuovo era del tutto sbagliato. Soprattutto in ambito farmaceutico (ma non solo) ho potuto apprezzare come spesso, il vecchio farmaco in uso da anni (che assai spesso costa” due lire”) fosse quello più efficace per determinate patologie, lasciando quello” nuovo” (e più costoso) alle patologie più indicate. L’esempio più classico è dato dall’uso degli antibiotici di ultima generazione (fino a 50 volte più cari) certamente utilissimo per determinate patologie, ma del tutto inutile, rispetto a quello delle prime generazioni, per la gran parte delle altre. Oltretutto, come igienista, posso affermare che una politica di antibiotici non corretta porta, e di fatto ha già portato, a selezionare agenti patogeni resistenti a quasi qualunque tipologia di antibiotici risultando, quindi, dannosa non solo per l’individuo, ma anche per l’intera società.
Su questi presupposti ho impostato i concetti che saranno poi applicati a tutte le attività sanitarie: quelli di efficacia ed efficienza. Rilevo, a tal proposito, come occorra sempre tenere presente che l’efficienza non vada mai raggiunta a scapito dell’efficacia, pena il non raggiungimento dell’obiettivo fondamentale: la salute del cittadino-paziente.
Tutto quanto sopra anche in funzione del fatto che le risorse finanziarie da impegnare in Sanità non sono risultate infinite. Il processo di aziendalizzazione, l’introduzione degli strumenti di budgeting e la loro attuazione l’hanno nettamente evidenziato.
Quante volte ho assistito all’acquisto di attrezzature medicali nuovissime sul mercato, poi nettamente sottoutilizzate o non rispondenti a reali bisogni diagnostico-terapeutici.
Ho, infatti, imparato come sia importante, prima della decisione della Direzione Strategica, sottoporre l’acquisto ad una valutazione di “break even point”, in altre parole valutare quanti esami diagnostici o quanti pazienti da sottoporre alla terapia proposta siano necessari affinché i relativi ricavi per l’azienda sanitaria siano in grado di coprire almeno i costi d’investimento.
Ritengo, quindi, importante da parte del medico, e parlo anche da parte di quello di formazione prettamente clinica, la conoscenza dei principi fondamentali del “management sanitario” che sono la base per un’efficace ed efficiente corretta gestione della sanità del XXI secolo e, sull’altro versante, risulta fondamentale il pieno e vero coinvolgimento del clinico nella gestione e nelle scelte strategiche da parte delle direzioni delle Aziende Sanitarie, attraverso quello che è già stato definito” governo clinico”.
Mi piace, infatti, sottolineare come, ancora una volta, il “gioco di squadra” tra tutti gli attori di sistema possa essere l’arma vincente anche nella difficile gestione del sistema sanitario. Troppo spesso, infatti, negli ultimi anni ha prevalso, nelle decisioni apicali, la sola valutazione economica, quando non politica, a scapito di quella sanitaria. Ciò ha portato a far ritenere al clinico “solo burocrazia” tutte le considerazioni di natura economico-amministrativa e non di natura squisitamente clinica.
Elio Marmondi già Direttore Sanitario: IRCCS Istituto Neurologico C. Besta-Milano ed Azienda Sanitaria Locale della Provincia di Varese